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il meglio è nemico del bene

  • Il metodo

    Intelligenza creativa: il meglio è nemico del bene

    Voltaire, in Candido, afferma: “il meglio è nemico del bene”.

    Viviamo in un mondo dominato dalla ricerca della perfezione. 

    In ufficio le prestazioni perfette sono l’apogeo – per molti, la vera e propria definizione del successo. 

    Eppure, come scopre Candido, c’è un difetto intrinseco in questa logica. 

    Perché la perfezione è uno standard che non si può mai raggiungere e in definitiva non offre altro che infelicità per chi la ricerca.

    A tal proposito consiglio il libro Nessuno ci chiede di essere perfetti nemmeno Dio di di Harold S. Kushner 

    Alcuni studi di Thomas Curran, Andrew Hill “ Perfectionism and burn-out are close friends – best avoid them” hanno identificato perché il perfezionismo sia tanto diffuso quanto problematico sul posto di lavoro.

    Il lavoro è generalmente centrato sulla prestazione – e una scarsa prestazione implica costi significativi che, nel caso peggiore, determinano licenziamenti. 

    Quando il perfezionismo è alimentato da una pressione simile, i risultati della prestazione, invece che una motivazione, sono fonte di grave stress. 

    Un’altra spiegazione per lo stretto legame tra perfezionismo e burnout sul lavoro è da ricercare nei momenti in cui, come quello attuale, le opportunità di cambiare lavoro o avanzare nella carriera sono limitate. 

    Questa incapacità di sottrarsi ad un ambiente di lavoro sempre più stressante e meno piacevole, può determinare nei perfezionisti il burnout.

    E’ importante quindi chiarire che la perfezione non è un criterio per il successo. 

    Invece la disciplina, la flessibilità, la perseveranza, la curiosità sono qualità di gran lunga migliori del perfezionismo. 

    Come società tendiamo a portare in alto il perfezionismo come segno di virtù, di realizzazione. 

    Eppure la storia del Candido di Voltaire è eloquente: la perfezione è elusiva quanto accattivante. 

    Concentrarsi su l’impeccabilità in definitiva è controproducente.

    Per coltivare le potenzialità accennate, occorre comprendere meglio come l’intelligenza creativa attiva la nostra energia e il nostro benessere.

    Cos’è l’intelligenza creativa 

    L’ intelligenza creativa è inclusiva e ha a che fare con l’intelligenza emotiva, l’intelligenza cognitiva e l’intelligenza fisica.

    Nietzsche diceva: ”non mi fido di quei pensieri che non siano nati all’aria aperta, non mi fido di quei pensieri che non siano una festa anche per i muscoli “.

    E’ una caratteristica innata di ogni uomo. 

    Ci contraddistingue come persona umana. 

    Tutti siamo creativi, a patto di voler entrare in contatto con questa nostra potenzialità.

    L’intelligenza creativa è l’insieme che appartiene al tutto che è ben oltre la somma delle parti. 

    Quando c’è armonia tra il mio pensiero cognitivo, emotivo e la vitalità del corpo, la pienezza e il successo del risultato possono andare ben oltre l’immaginato. 

    Ha a che fare con l’intuizione e il coraggio.

    Ciò presuppone un distacco dalla “norma” e un’apertura al dialogo interno, in primis con se stessi. Imporre delle regole non porta al cambiamento.

    • Cosa devo sapere su ciò che mi limita ?
    • Cosa devo “guarire” perché il nuovo possa uscire?
    • Come posso esprimere sempre il meglio a favore del bene ?
    • In che modo il lavoro su di Sé’ coincide, si incastra con il modello aziendale ?

    Il business model competitivo e machista continua ad essere basato su  performance,competitività e la tensione è sempre solo rivolta all’eccellenza e alla velocità.

    Il mercato è competitivo, dobbiamo anticipare il mercato ed essere leader.

    Tutti siamo leader.

    Conoscete qualche azienda che sul proprio sito non abbia scritto “ leader di mercato”?

    E’ una tensione continua e pressante ad essere il migliore, a dare il meglio.

    Ed è utopico non vivere l’ansia da prestazione.

    Ma un conto è fare meglio ciò che ciascuno di noi sa fare, un conto è essere il migliore se non corrisponde a ciò che sappiamo e vogliamo fare.

    L’intelligenza creativa, finalizzata al bene, genera successo garantito

    SVANTAGGI < Che vantaggi abbiamo a  focalizzarci esclusivamente sui nostri obiettivi e risultati individuali? 

    Probabilmente la garanzia di un benessere economico (siamo così sicuri oggi ?) una crescita di carriera, il rafforzamento di sicurezze materiali, case, macchine, vacanze.

    Ma a che prezzo?

    Un costante stato di tensione, ansia, stress, contrazioni muscolari, insonnia, bruciori di stomaco.

    Una vita spesa a lavorare in smart working, dove c’è molto working e poco smart.

    Cosa perderemmo se ci togliessimo un po’ del “nostro fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    visibilità, rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “ speciale”, crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

    Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    VANTAGGI< Che vantaggi  trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Ecco come l’intelligenza creativa implica diversità ed inclusione: accoglienza delle nostre diverse forme di intelligenza ed inclusione del concetto di servizio come human skill che genera business. Qui un approfondimento.

    Come esprimere l’intelligenza creativa?

    L’intelligenza creativa è la capacità naturale (cioè che ci è data per natura umana) di attivare il pensiero nella direzione di una nuova creazione attraverso connessioni tra il nostro sentire, esperienze pregresse, informazioni date, acquisite o acquisibili, e scambio delle stesse con il nostro contesto di azione.

    Il nostro cervello è già “programmato” per creare meraviglia. 

    Il nostro pensiero fa da antenna trasmittente/ricevente. 

    Il nostro corpo porta l’azione nel mondo reale.

    Il nuovo, in questa accezione, assume una diversa identità staccandosi dalla stretta interpretazione di unico e inimitabile, e si distende al senso di cosa fatta, manifestata da poco.

    Etimologicamente le parola “diverso” e “divertente”, strettamente legate all’esplorazione della nostra intelligenza creativa, hanno la stessa radice.

    Divertire dal latino divertere, part.pass. di “diversus”, volgere altrove in direzione opposta.

    Entrare in contatto con il nuovo e il diverso implica anche il rischio di sbagliare, addirittura di fare figuracce.

    Accettare l’imperfezione e entrare in contatto con il giudice severo interiore che ognuno di noi ha è il primo passo per attivare la nostra intelligenza creativa.

    L’intelligenza creativa diventa strumento sostanziale per un nuovo umanesimo in azienda e per la nuova espressione di leadership che deve essere sempre più a servizio, inclusiva e trasversale.

    Dal meglio per te, al bene per l’azienda: connessioni intelligenti tra creatività e azione

    Una sorta di espansione a favore del gruppo, non solo nell’intento del soggetto in prima linea, ma come reale effetto che si sostanzia nel percepito di tutti i collaboratori. Una crescita a tutto tondo.

    Abbiamo parlato qui dell’atto creativo in azienda

    Creare in azienda significa principalmente apportare valore nella ricerca di equilibrio tra gravità e leggerezza connettendosi, ancora una volta, alla totalità dell’individuo e puntando al suo bilanciamento per sostenere il suo slancio creativo.

    Il meglio del singolo dovrebbe essere resettato a favore della crescita simultanea: il superamento del valore della conquista per raggiungere l’identità aziendale a tutto tondo.

    Ecco alcuni spunti di condivisione in tal senso:

    • dare valore al singolo, che agisce in funzione di tutta l’azienda
    • avere il coraggio di abbassare la soglia di competitività a favore di un più elevato grado di collaborazione
    • sostenere il benessere ( valore collettivo) a favore del meglio ( valore individuale)
    • informare sulla possibilità di attivazione del proprio maschile e femminile alla ricerca di un balance comportamentale e di azione che favorisca un riequilibrio di forze nei collaboratori.

    Tutti siamo creativi

    Intanto ricordiamo sempre che l’intelligenza creativa non va intesa come espressività artistica. Essere artisti vuol dire essere creativi, ma non tutti i creativi sono artisti.

    L’intelligenza creativa  presuppone

    • fiducia in se stessi
    • fede nel valore della nostra esistenza
    • gioia nel ricevere e nel dare
    • leggerezza nelle aspettative
    • libertà di pensiero

    Anche persone molto creative, non riescono ad essere creative in ogni cosa e in ogni momento. Come mai?

    L’intelligenza creativa per funzionare al meglio ha bisogno di tre fondamentali elementi:

    • L’esperienza nel campo
    • L’abitudine alla creatività
    • La passione

    Il primo elemento necessario è quello di essere esperti in un particolare ambito. Non è possibile essere creativi se non si conosce bene l’argomento.

    Mozart aveva talento, ma se nessuno gli avesse insegnato la musica, non avrebbe mai potuto esprimerlo pienamente.

    Il secondo elemento è di avere fiducia nella propria creatività tanto da farne una abitudine. Qui subentra l’utilità di allenarsi continuamente alla creatività.

    Ci sono parecchi modi per tenersi costantemente in allenamento. A partire da quelli più semplici, come ad esempio cercare di essere meno abitudinari.

    I migliori risultati creativi si ottengono quando è presente la passione.

    Se c’è passione per un particolare ambito, ti impegni per il piacere di farlo. 

    Una forte passione può compensare un talento non elevato e permettere ottimi risultati. È proprio la passione che permette di essere costante e di persistere anche quando i risultati si fanno attendere.

    Il colpo di genio creativo non avviene infatti senza impegno ed intento.

    L’intelligenza creativa ci fornisce strumenti concreti per distribuire il meglio a favore del bene, e vivere l’azienda in piena espressione di Sé nella ricerca di senso.

    Non esiste innovazione senza intelligenza creativa. 

    Trasforma il benessere organizzativo e lo sviluppo umano delle tue persone nella risorsa più importante per il successo del tuo business.

    Un confronto condiviso è il primo passo che possiamo fare insieme, a costo zero.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Il daimon del purpose personale e aziendale

    Il purpose personale è il nostro demone

    Aristotele introdusse per primo il concetto di eudaimonia, che etimologicamente significa eu=bene e daimon= demone. La buona riuscita del tuo demone. Ciascuno di noi ha dentro un demone. Lo sapevi?

    Qual’è la tua virtù? Virtù, in greco aretè, significa capacità e non ha nulla a che vedere con retaggi cristiano religiosi.

    Perché sei qui?

    Cosa ti spinge a fare nella vita l’ingegnere, piuttosto che il cuoco, il maestro ecc.?

    L’hai già scoperto il tuo demone? 

    Se l’hai scoperto, ne sei posseduto e se ne sei posseduto, lo realizzi perché lo sei, perché non c’è separazione, e quando lo realizzi raggiungi la tua eudaimonia, la buona riuscita del tuo demone, la tua autorealizzazione. 

    Come facciamo a conoscere il nostro daimon?

    Il prof. Galimberti, in una sua conferenza, ci riporta il “Conosci te stesso” dell’Oracolo di Delfi. Se non conosci te stesso, come fai a sapere qual è il tuo demone? Non lo trovi sui social o alla televisione, neanche nei testi o facendo mille corsi. Certo, alcuni stimoli esterni ti possono aiutare, ma devi fare un lavoro maieutico, di autoriflessione, devi capire chi sei. A qualsiasi età, non solo giovani, anzi, sempre più spesso ci sono adulti in azienda che, per 5 giorni alla settimana, realizzano scopi appartenenti al sistema organizzativo di cui fanno parte e nel weekend, quando potrebbero approfittare di questo tempo, scappano da se stessi come il peggior nemico. Spesso le attività del weekend sono un’ulteriore distrazione da Sé.

    Quindi?

    Il secondo grande tema dell’oracolo di Delfi è “secondo misura”. Magari sei un manager, ma non sei bravo come i 100 top manager di Forbes. I greci ci dicono “non tentare di essere come loro, trai ispirazione, ma esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura, perché altrimenti prepari la tua “rovina”. Non significa non fare il meglio che puoi, inizia per prima cosa a conoscere i tuoi limiti, le tue credenze autosabotanti, i tuoi desideri, le cose che ti piace fare, quelle che ti vengono bene senza averle imparate.

    Esplora Interessi: Prova nuove attività, hobby o esperienze per scoprire cosa ti appassiona. L’esplorazione di interessi può portarti a scoprire aspetti di te stesso che potrebbero contribuire al tuo purpose.

    Ascolto di Sé: Presta attenzione ai tuoi sentimenti, emozioni e intuizioni. Cosa ti fa sentire appagato? Cosa ti entusiasma? Ascoltare sé stessi può essere una guida preziosa per identificare il tuo purpose.

    Analizza Esperienze Passate: Rifletti sulle tue esperienze passate, sia personali che professionali. Quali attività o momenti ti hanno dato maggiore soddisfazione e senso di realizzazione?

    Conversazioni Significative: Parla con amici, familiari o mentori su ciò che trovi significativo nella vita. Altre persone possono offrire prospettive utili e aiutarti a identificare aspetti importanti di te stesso.

    Coaching o Consulenza: Considera la possibilità di lavorare con un coach o un consulente che può guidarti nel processo di scoperta personale e aiutarti a identificare il tuo purpose.

    Sperimenta il Volontariato: Il volontariato in organizzazioni non profit o comunitarie può offrire opportunità per contribuire alla società e nello stesso tempo scoprire ciò che ti appassiona.

    Impara Dall’Errore: Non avere paura di provare nuove cose e anche di sbagliare. L’esperienza e l’apprendimento dagli errori possono essere parte integrante del percorso di scoperta personale.

    Fai Domande Profonde: Poni domande profonde a te stesso, come “Cosa vorrei lasciare come eredità?” o “Quale segno voglio lasciare del mio passaggio?”. Le risposte a queste domande possono aiutarti a definire il tuo purpose.

    Per i greci esisteva solo la “giusta” misura. La “giusta” misura era per esempio il timpano che permetteva di costruire il tempio. Perché la giusta misura crea la giusta bellezza, cioè la giusta proporzione degli elementi. Per i greci la categoria della “giusta” misura aveva a che fare con la mortalità dell’uomo. Quella era la misura di tutte le misure. ‟Katà Métron”, dicevano i greci, come contenimento del desiderio, della forza espansiva della vita che, senza misura, spinge gli uomini a volere ciò che non è in loro potere, declinando così il proprio ‟demone”, la propria disposizione interiore non nella felicità (eu-daimonia), ma nell’infelicità (kako-daimonia), che quindi è il frutto del malgoverno di sé e della propria forza, obnubilata dalla voluttà del desiderio, che diventa un buco nero, perché sempre alimentato dalla mancanza.

    Anche secondo Carl Gustav Jung, ognuno di noi possiede il suo “demone” e per realizzarsi pienamente deve scoprirlo. Il daimon diventa così l’equivalente della vocazione, dell’energia positiva e creativa che ciascuno possiede. Diventa allora centrale scoprire il proprio demone e risvegliarlo. La tradizione orientale ci parla di IKIGAI (sense of life) o SANKALPA, intento. L’intento nello yoga è una connessione con la verità più alta(san) e “voto” (kalpa) denotare una volontà affermativa di fare qualcosa o raggiungere qualcosa di spirituale.

    Viene identificato con una precisa determinazione, uno scopo, una affermazione. Anche se il daimon esiste dentro di noi dalla nascita, la vita in società e le convenzioni potrebbero sopirlo, anestetizzarlo. Scoprire il proprio genio e riportarlo alla luce significa compiere un profondo scavo dentro di sé. Il daimon è la quintessenza della creatività e quindi è possibile che gli altri non lo comprendano: le idee che ci ispira potrebbero essere originali o strambe, coraggiose o temerarie. Secondo lo psicologo esistenzialista Rollo May vivere seguendo il proprio genio è un’impresa difficile, ricca di ostacoli, ma in grado di regalare le migliori soddisfazioni. Seguire il proprio daimon non significa, secondo questi psicologi, aderire al canone del “genio e sregolatezza” responsabile delle fini tragiche di tanti artisti. Il daimon può spingere a traguardi inediti, imprese ardite, perfino pensieri dissimili dalla massa, ma è sempre orientato al dominio di sé, alla calma, alla felicità. Chi ha smesso di lottare contro il proprio daimon e cammina al suo fianco è tutt’altro che uno squilibrato. Aristotele diceva infatti che la felicità è “vivere in armonia col proprio buon demone”. 

    Cosa impedisce di avere chiaro il proprio daimon personale?

    Complessità Individuale:

    La personalità e le esperienze di vita di ciascun individuo sono uniche. Identificare il proprio purpose richiede una comprensione approfondita di sé stessi, compreso il riconoscimento dei propri valori, passioni e talenti.

    Pressioni Esterne:

    La società, la famiglia e altre influenze esterne possono esercitare pressioni sulla definizione del successo in modi che non riflettono necessariamente i desideri più profondi e autentici di una persona.

    Cambiamenti Continui:

    Le persone cambiano nel corso della vita a causa di esperienze, maturità, nuove conoscenze e cambiamenti di prospettiva. Ciò può rendere difficile stabilire un purpose fisso, poiché esso può evolversi nel tempo.

    Paura del Giudizio:

    La paura del giudizio degli altri o il timore di non rispondere alle aspettative possono limitare la sincerità con se stessi e rendere difficile il riconoscimento e la ricerca del proprio purpose.

    Mancanza di Consapevolezza:

    Alcune persone potrebbero non essere consapevoli dell’importanza del purpose personale o potrebbero non aver mai dedicato il tempo necessario per esplorare se stesse e i propri valori profondi.

    Crisi di Identità:

    Eventi significativi o periodi di transizione nella vita, come cambi di carriera, perdite personali o crisi esistenziali, possono portare a una riflessione più profonda sulla propria identità e purpose.

    Culturali e Sociali:

    Le influenze culturali e sociali possono spingere gli individui a seguire determinate carriere o stili di vita che potrebbero non essere in armonia con il loro vero purpose.

    Mancanza di Esperienze Diverse:

    L’assenza di opportunità per sperimentare una varietà di attività e contesti può rendere difficile scoprire ciò che davvero appassiona e motiva.

    Aspettative non realistiche:

    Alcune persone possono avere aspettative irrealistiche rispetto a cosa significhi trovare il proprio purpose. Cercare un significato profondo può richiedere tempo e pazienza.

    Riflessione Continua:

    Trovare il proprio purpose non è un evento singolo, ma piuttosto un processo in continua evoluzione. La riflessione continua e la volontà di adattarsi sono fondamentali.

    Affrontare queste sfide richiede tempo, È un viaggio personale che può richiedere pazienza, ma è anche un’opportunità per crescere, imparare e vivere una vita più autentica e significativa.

    Esiste anche il demone aziendale

    L’eudaimonia lavorativa consiste nel riconoscimento e nella valorizzazione di una serie di specifiche capacità, funzioni caratterizzanti una vita lavorativa degna di essere vissuta. Un problema che si agita da secoli nelle viscere dell’occidente: il lavoro separato dalle ragioni del vivere.
    Quando lavoriamo non produciamo soltanto beni o servizi, ma produciamo noi stessi.

    Un certo modo di intendere, progettare e vivere il lavoro ha depauperato la nostra esistenza. L’ha trasformata spesso in una farsa in cui ci ritroviamo a recitare un copione che spesso sentiamo insensato e che non ci aderisce. Il lavoro non sembra in grado di penetrare nel cuore dell’uomo e di ‘alimentarne’ l’esistenza. Non si preoccupa di significare la vita umana, e da essa ottiene in risposta disagio e apatia. Ancora per molti è una semplice parentesi di routine, che divide dal fine settimana, dalle ferie o dalla pensione. Ricettacolo di nevrosi e frustrazioni, individuali e collettive, fa sovente emergere il peggio dell’essere umano in fatto di pochezza morale, cinismo e povertà interiore. La grande separazione tra vita e lavoro è antica quanto la civiltà occidentale. Si pensi solo alla netta distinzione tra l’otium (il tempo dedicato alla pienezza creativa e alla creazione di sé) e il negotium (il tempo del lavoro gravoso e dell’arricchimento monetario)

    Il principio di ‘performanza’ e di ‘prestazione’, ha ridotto il senso del lavoro a due sole accezioni: 

    1. azione produttiva finalizzata all’efficace ed efficiente raggiungimento dello scopo sulla base di un progetto produttivo; 
    2. merce retta dal mero calcolo di un tornaconto, assorbita nella contabilità monetaria. 

    Nessuno spazio ulteriore. Preda dei gorghi dell’utile, dell’utilizzabile e del monetizzabile, il lavoro purtroppo spesso si è ‘de-esistenziato’. Il principio di prestazione ha oscurato un altro essenziale significato presente nel termine ‘lavoro’: “quando sono al lavoro sto male”, “nel lavoro riesco a realizzarmi”, “sul lavoro c’è un clima pesante”, che non evocano azioni o prodotti; non mettono in gioco le dimensioni proprie della prestazione; ma ricordano che il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, piuttosto una ‘modalità di esistenza’, uno spazio di vita, un luogo dell’esistere. Una dimensione in cui diamo forma a quello che siamo e a chi vogliamo essere. Lavorare significa innanzitutto ‘vivere’. Il problema allora è: quale vita produce il nostro lavoro?

    Dobbiamo rivedere, riformulare le coordinate che reggono il nostro vivere: rendere il lavoro un rinnovato motore di civiltà. Perché tale idea possa mettere radici occorre che vi sia chi dissodi il terreno e lo fertilizzi. Parlare di ben-essere lavorativo significa ribadire che il profitto non ha senso, per un autentico imprenditore, se scisso dal bene comune. Il vero imprenditore è un ‘avvaloratore’ del mondo, vive e opera per portare, anche attraverso gli utili della sua impresa, un contributo al compimento e al miglioramento del mondo. La misurazione dell’agire in termini di ‘quanto vale’ va costantemente affiancata da considerazioni circa il ‘che cosa esso vale’ alla luce di un progetto partecipato di ben-essere individuale e collettivo.
    Lavoro capace di essere occasione di crescita materiale e, contemporaneamente, spirituale, etica, estetica, relazionale. Occorre avere il coraggio di compiere il ribaltamento prospettico considerato eretico da tanta parte del pensiero occidentale: lo sviluppo integrale delle capacità dell’uomo non va cercato dopo o senza il lavoro, una volta assolte e risolte le sue necessità. L’essere umano è chiamato a incontrare la sua umanità mentre rende davvero umane le sue necessità materiali. Diventa tanto più uomo quanto più aspira a ‘esistenziare’ tutte le sue espressioni, a cominciare dal lavoro produttivo, al fine di farne occasione di buon esistere. Dobbiamo spiritualizzare la materia.

    La “precarietà” di cui spesso si sente parlare, non deriva soltanto dalle clausole del contratto di lavoro: precario è colui che non riesce a dare spessore esistenziale al vivere e continuità di significato alle attività. È chi non è in grado di riunificare il fare all’interno di un disegno unitario, chi non sa o non può raccordarlo a una compiuta idea di sé, degli altri, del mondo. Precario è colui che non vive il lavoro, ma si limita a ‘consumarlo’senza uno scopo, una meta, un senso. Ciò che vale per le persone, vale a maggior ragione per le imprese e per tutti i sistemi organizzativi. La prospettiva eudaimonica aziendale vuole rifuggire da un certo strisciante buonismo. Non ha niente a che fare con un generico appello ai buoni sentimenti. Neppure cade nell’equivoco di interpretare il benessere come dimensione manipolatoria, strumentalmente utilizzabile per ‘possedere’ mente e cuore di chi lavora per poi migliorare produttività e competitività. Il ben-essere eudaimonico, è bene sottolinearlo, trova il suo fine in se stesso: è una scelta etica. Un modo per onorare e rispettare l’essere umano. 


    L’eudaimonia lavorativa si sviluppa a partire dalle seguenti, concretissime domande

    • La persona è lavorativamente nelle condizioni di agire e di vivere in modo pienamente umano? 
    • Può cioè godere delle opportunità per disporre sul lavoro delle sue capacità fondamentali? 
    • Riesce quindi, attraverso il suo lavoro, a essere una ‘persona migliore’, per sé e per gli altri? 

    Sembrano domande che poco hanno a che fare con la dimensione lavorativa, ma è proprio da questo pregiudizio che dobbiamo il prima possibile liberarci! L’autentico ben-essere lavorativo costituisce un bene intangibile in grado di dotare di valore e di qualità profonda qualsiasi sistema produttivo, pubblico o privato, e da cui non si può più prescindere per rendere le imprese italiane davvero innovative e ‘civilmente’ competitive

    L’eudaimonia lavorativa è decisiva per la riduzione dell’assenteismo, la riduzione del numero di errori, l’aumento della produttività, l’innalzamento della percezione del valore del prodotto presso la clientela, il contenimento della conflittualità sindacale, tanto per citare alcuni indicatori traducibili in valore monetario. Il nostro è da troppo tempo un Paese fondato sullo spreco.

    ‘Non distruggere, non offendere, non sprecare risorse’In primo luogo risorse umane! Enormi giacimenti intellettuali, morali e sociali giacciono inutilizzati, spesso in paurose condizioni di abbandono, in ogni settore e ambito, generando un clima di apatia che talvolta sfocia nell’indifferenza, nel cinismo, e quindi nell’inefficienza e nell’improduttività. 

    Penso che oggi ci sia tremendamente bisogno di aiutare le persone a pensare a ciò che fanno e a che cosa fanno di loro stesse nel corso della loro attività lavorativa. 

    • Quali ‘se stesse’ producono? 
    • Quale umanità generano? 
    • Quale mondo determinano? 

    L’importanza di comunicare il purpose aziendale

    Il purpose aziendale si riferisce alla ragione d’essere di un’azienda, il proprio senso e scopo, oltre al semplice perseguimento del profitto. Un purpose aziendale chiaro può fornire una guida strategica e ispirare i dipendenti. Molte aziende oggi cercano di integrare il loro purpose aziendale con impatti sociali e ambientali positivi. Questo può contribuire alla creazione di un marchio solido e alla fidelizzazione dei clienti. L’identificazione e la comunicazione di un purpose aziendale possono anche essere uno strumento per attirare talenti motivati e sostenere la cultura aziendale. In sintesi, sia il purpose personale che quello aziendale sono orientati verso una direzione significativa e ispiratrice. Nel contesto aziendale, un purpose chiaro può anche contribuire al successo a lungo termine e al coinvolgimento dei dipendenti. Dopo aver fatto chiarezza tra  purpose personale e aziendale, è importante tradurli in azioni concrete allineate. Ecco alcuni passi che potresti considerare:

    Purpose Personale:

    • Allineamento delle azioni: Assicurati che le tue azioni quotidiane siano in linea con i tuoi valori e il tuo purpose personale. Questo potrebbe comportare la definizione di obiettivi personali che riflettano ciò che è davvero importante per te.
    • Crescita personale: Cerca opportunità di apprendimento e crescita personale che contribuiscano al tuo sviluppo in linea con il tuo purpose. Ciò potrebbe includere corsi, esperienze di volontariato o connessioni con persone che condividono i tuoi valori.
    • Bilanciamento vita-lavoro: Cerca un equilibrio tra la tua vita personale e professionale, assicurandoti che entrambe le sfere contribuiscano al tuo benessere e al perseguimento del tuo purpose personale.
    • Individuare i Punti di Convergenza: Cerca i punti in comune tra il tuo purpose personale e quello aziendale. Identifica come i tuoi valori personali possono integrarsi nella cultura aziendale e nei suoi obiettivi.
    • Coinvolgimento e Conversazioni: Coinvolgiti in conversazioni con colleghi e leader aziendali per comprendere meglio il purpose aziendale e condividere il tuo purpose personale. Questo favorisce la trasparenza e la comprensione reciproca.
    • Stabilire Obiettivi Personali Allineati: Identifica obiettivi personali che siano allineati con gli obiettivi aziendali. Ciò può contribuire a un senso di scopo e direzione nella tua carriera.
    • Partecipare a Iniziative Aziendali: Partecipa attivamente a iniziative aziendali che riflettano il purpose dell’organizzazione. Questo può includere progetti sociali, iniziative di sostenibilità o attività di volontariato.
    • Proporre Miglioramenti e Innovazioni: Proponi idee e iniziative che integrino il tuo purpose personale e contribuiscano al successo dell’azienda. La creatività e l’innovazione possono derivare da una connessione significativa con il lavoro.
    • Rivedere e Aggiornare Periodicamente: Periodicamente, rivedi il tuo purpose personale e assicurati che sia allineato agli sviluppi aziendali. La flessibilità e la capacità di adattarsi sono cruciali.

    Purpose Aziendale:

    • Integrazione nelle decisioni aziendali: Assicurati che il purpose aziendale sia integrato nelle decisioni aziendali strategiche. Questo potrebbe influenzare la scelta di progetti, partner commerciali e iniziative sociali.
    • Coinvolgimento dei dipendenti: Comunica chiaramente il purpose aziendale a tutti i livelli dell’organizzazione e coinvolgi i dipendenti nel processo. Esso implica la storia dell’origine, perché è nata l’azienda, la sua mission e i suoi valori. E’ importante verificare che i collaboratori siano a conoscenza. 
    • Impatto sociale e ambientale: Se il tuo purpose aziendale include un’impronta sociale o ambientale positiva, sviluppa iniziative e progetti che contribuiscano a questi obiettivi. Questo può migliorare la reputazione aziendale e la fiducia dei clienti.
    • Misurazione e adattamento: Implementa indicatori chiave di performance (KPI) che riflettano il progresso verso il tuo purpose aziendale. Monitora costantemente e adatta le strategie se necessario.
    • Coltivare una Cultura di Supporto: Crea un ambiente in cui i dipendenti si sentano liberi di esprimere il proprio purpose personale e contribuire al raggiungimento del purpose aziendale. Una cultura di supporto favorisce l’entusiasmo e il coinvolgimento.
    • Condividere Successi e Esperienze: Condividi i successi e le esperienze legate all’implementazione del purpose aziendale. Questo può ispirare altri colleghi e contribuire a costruire una cultura orientata al purpose.

    In generale, sia il purpose personale che quello aziendale richiedono un impegno continuo e un adattamento in risposta alle sfide e alle opportunità che possono emergere nel tempo. Integrare il tuo purpose nelle tue azioni quotidiane contribuirà a mantenere la coerenza e a dare significato al tuo percorso personale e professionale.

    Come il purpose personale incide sulla crescita aziendale

    Ho tracciato, secondo me, le leve principali:

    Maggiore Motivazione e Impegno: Avere un chiaro purpose personale può fornire una fonte intrinseca di motivazione. Quando le azioni quotidiane sono allineate con i valori e gli obiettivi personali, si sperimenta un maggiore impegno nel perseguire i propri obiettivi.

    Senso di Direzione: il purpose personale agisce come una bussola nella vita, offrendo una guida e un senso di direzione. Sapere cosa è veramente importante aiuta a prendere decisioni più consapevoli e orientate agli obiettivi.

    Resilienza: Chi ha un chiaro purpose personale tende ad essere più resilienti di fronte alle sfide. Una chiara comprensione del motivo per cui si stanno affrontando determinate difficoltà può fornire la forza emotiva per superarle.

    Soddisfazione Personale: Il raggiungimento di obiettivi in linea con il proprio purpose personale contribuisce a una maggiore soddisfazione personale. Questa soddisfazione non è legata solo al successo esterno, ma anche alla sensazione di aver vissuto in coerenza con i propri valori.

    Benessere Emotivo: La coerenza tra le azioni quotidiane e il purpose personale può promuovere il benessere emotivo. Sentirsi autentici e in armonia con se stessi può contribuire a una maggiore felicità e stabilità emotiva.

    Successo Professionale: Nel contesto lavorativo, avere chiarezza sul proprio purpose può guidare le scelte di carriera, facilitare la creazione di reti significative e contribuire al successo professionale a lungo termine.

    Relazioni Significative: Un purpose personale chiaro può influenzare la scelta delle relazioni personali e professionali. Coltivare connessioni con coloro che condividono valori simili può portare a relazioni più significative e appaganti.

    Impatto Sociale: Il purpose personale può ispirare azioni volte a fare una differenza nel mondo. Chi vede il proprio successo collegato a un impatto positivo nella società può sperimentare una gratificazione più profonda.

    Adattabilità e Crescita: Avere un purpose personale non implica rigidità, ma piuttosto flessibilità. Può favorire l’adattabilità e la crescita personale, consentendo di affrontare nuove sfide con un orientamento chiaramente definito.

    In conclusione, il purpose personale può giocare un ruolo chiave nel determinare il successo individuale fornendo una guida interna, una fonte di motivazione e una base per decisioni significative. Tuttavia, è essenziale considerare che il successo è multidimensionale e influenzato da molteplici fattori.

    E se il purpose personale non è allineato a quello aziendale?

    Quando il purpose personale di un individuo non è allineato a quello aziendale, possono verificarsi una serie di sfide e conseguenze sia per l’individuo che per l’organizzazione. Ecco alcuni degli effetti che possono emergere quando c’è una mancanza di allineamento tra il purpose personale e quello aziendale:

    • Mancanza di Motivazione: L’individuo potrebbe sperimentare una mancanza di motivazione e impegno nel lavoro se non riesce a vedere un collegamento significativo tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali. Ciò può portare a un calo della produttività e della soddisfazione lavorativa.
    • Sensazione di Incongruenza: L’incongruenza tra il purpose personale e quello aziendale può generare una sensazione di disconnessione e incongruenza. Questo può influenzare negativamente il benessere emotivo e la stabilità psicologica dell’individuo.
    • Insoddisfazione Lavorativa: L’individuo potrebbe sentirsi insoddisfatto del proprio lavoro se percepisce che le attività quotidiane non contribuiscono al raggiungimento del proprio purpose personale. Questa insoddisfazione può influire sulla permanenza a lungo termine nell’organizzazione.
    • Stress e Affaticamento: La mancanza di allineamento può generare stress, poiché l’individuo potrebbe sentirsi costantemente sottoposto a pressioni in contrasto con i propri valori e aspettative personali. Ciò può portare a un aumento dello stress e dell’affaticamento.
    • Bassa Resilienza alle Sfide: La mancanza di un legame tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali può ridurre la resilienza dell’individuo di fronte alle sfide e alle difficoltà. La mancanza di un motivo significativo può rendere più difficile affrontare le difficoltà con determinazione.
    • Ridotta Creatività e Innovazione: L’allineamento tra il purpose personale e quello aziendale può favorire la creatività e l’innovazione. Quando manca questo allineamento, l’individuo potrebbe non sentirsi motivato a contribuire con idee innovative e a cercare soluzioni originali.
    • Clima Organizzativo Negativo: L’assenza di allineamento può influire sul clima organizzativo generale, portando a un’atmosfera meno positiva e collaborativa. La mancanza di un senso condiviso di purpose può ridurre la coesione all’interno del team.
    • Rischio di Rotazione del Personale:Gli individui il cui purpose personale non è allineato a quello aziendale potrebbero essere più inclini a cercare opportunità di lavoro altrove. Ciò può aumentare il rischio di rotazione del personale per l’organizzazione. E’ quindi fondamentale per l’azienda promuovere la trasparenza riguardo proprio purpose, incoraggiare la partecipazione dei dipendenti nella definizione del purpose e cercare di creare un ambiente in cui gli individui possano vedere il significato e l’importanza del proprio contributo. Inoltre, gli individui possono cercare opportunità all’interno dell’organizzazione che rispecchino meglio i loro valori personali e cercare di integrare il proprio purpose personale nelle attività quotidiane.

    Eudaimonia o Purpose oppure Eudaimonia e Purpose?

    Credo a questo punto abbia senso riprendere i due concetti di eudaimonia e purpose e riflettere come insieme siano la colonna portante della nostra trasformazione, nel momento in cui scegliamo con chiarezza il nostro intento di vita.

    L’eudaimonia rappresenta la realizzazione umana e la felicità complessiva. Abbiamo visto come nella filosofia greca, in particolare nell’etica aristotelica, l’eudaimonia è considerata la realizzazione più alta che deriva dal perseguimento delle virtù morali, dall’attività razionale e dalla piena espressione delle potenzialità umane. L’accento è sulla vita ben vissuta, guidata da valori etici e virtù.

    Il purpose riguarda il motivo o la ragione d’essere. A livello personale, il purpose individuale si riferisce allo scopo o al significato che un individuo attribuisce alla propria vita. A livello aziendale, il purpose aziendale indica la missione o il contributo che un’organizzazione cerca di apportare alla società, oltre al mero guadagno finanziario.

    Sebbene tu possa riflettere su entrambi i concetti e integrarli nella tua filosofia di vita, la scelta tra eudaimonia e purpose può dipendere da ciò che consideri più significativo. E qui entrano in gioco:

    i tuoi Valori Personali: Se dai molta importanza alla virtù, all’etica e alla piena realizzazione personale, l’eudaimonia potrebbe essere un focus significativo.

    il Cercare Significato: Se sei in cerca di un significato più specifico o di uno scopo particolare nella tua vita, potresti concentrarti maggiormente sul purpose individuale.

    il Contributo Sociale: Se attribuisci grande valore a contribuire positivamente alla società o all’ambiente attraverso il tuo lavoro o le tue azioni, il purpose aziendale potrebbe essere cruciale.

    Molte persone trovano un equilibrio tra eudaimonia e purpose, cercando di vivere in modo etico, perseguendo la realizzazione personale e contribuendo al bene comune. Spesso, perseguire uno scopo che risuona con i propri valori etici può portare a una maggiore eudaimonia. La chiave potrebbe essere considerare entrambi i concetti in modo complementare, poiché un purpose significativo può arricchire la vita, portando a una maggiore realizzazione eudaimonica. In ultima analisi, la scelta dipende da ciò che risuona di più con la tua visione del mondo e con i tuoi obiettivi personali.

    Se sei interessato ad approfondire questo tema c’è un nuovo corso “Potenzia le tue risorse e rendile manifeste”. Per informazioni scrivici a info@myhara.it

  • Il metodo

    Essere squadra o fare squadra per stare bene in azienda?

    Essere squadra ha a che fare con la nostra mente coscienziale, fare squadra con la nostra mente animale.

    D’altro canto, noi siamo catalogati come una specie animale umana, come dice Rossella Rustici e non siamo catalogati come specie umana consapevole.  Per diventare consapevoli dobbiamo agire sulla nostra mente umana coscienziale.

    Siamo composti da:

    • mente umana in cui si sviluppa la nostra coscienza 
    • mente animale, del mammifero, rettiliana

    Ogni giorno c’è una lotta tra la mente animale e la mente umana.

    In questa lotta spesso la nostra mente umana, la nostra coscienza perde colpi

    viene assorbita dalla mente animale.

    E’ fondamentale che la mente coscienziale mantenga la sua scala di valori

    (amore, etica, responsabilità, vita, gioia, bellezza, tipiche di una mente spirituale, dove spirituale non deve essere confuso con religioso)

    I desideri della mente animale sono quelli di ricercare le zone di comfort per adattarsi all’ambiente. L’adattamento alle zone comfort ci porta a cercare di avere sempre più cose possibili. L’avere non è l’essere della mente coscienziale. Nella mente coscienziale sono presenti emozioni come: provare gioia, serenità, fare le cose con empatia, amore, aiuto, rispetto,non calpesta ecc.  

    Quando la mente coscienziale colpisce gli altri e l’ambiente a cui si rivolge tutti ne restano contaminati e si produce in generale più serenità, collaborazione, vita, positività ecc. 

    Quando non riesco a collegarmi alla scala di valori positivi, continuo a stare legata alla mente animale (mi arrabbio, non rispetto gli altri ecc) Mancando la scala dei valori della propria coscienza, manca la consapevolezza se ciò che sto facendo sia giusto o sbagliato per me, se faccia bene o no anche agli altri. La mente animale ha le regole dell’adattamento all’ambiente per sopravvivere (le leggi di capobranco, del gregario, del maschio alfa, del potere, lotta per il territorio, ecc.) Non ha la consapevolezza del giusto o sbagliato.

    La nostra mente coscienziale non si adatta all’ambiente per sopravvivere, come fa la parte animale che cerca sempre zone di comfort. Ma adatta l’ambiente a se stessa, alle proprie energie. Si può capire la lotta che c’è tra la parte animale e la mente coscienziale. Sono nettamente in opposizione

    Proviamo dunque a chiedere ad a un collaboratore o a un candidato durante un colloquio di selezione, cosa significa fare squadra o essere squadra e non dovremmo stupirvi se le risposte che otterremo oscilleranno tra affermazioni romantiche, ma poco concrete come “essere in perfetta sintonia con i colleghi” e tra dichiarazioni di intenti più simili a slogan elettorali quali “tutti uniti verso un comune obiettivo”.

    Difficile sviluppare un’abilità così fondamentale e da tutti dichiarata di possedere, se in partenza, già nel singolo individuo c’è confusione.  

    Essere squadra significa definire prima la propria scala di valori e verificare se corrisponde a quella del team, prendere accordi sulle questioni organizzative e comportamenti condivisi, che concilino efficienza, efficacia, gratificazione ed espressione personale di ogni membro della squadra.

    Per essere squadra è importante farsi domande

    Alcune di esse potrebbero essere:

    • Cosa mi impegno a fare per accrescere la sinergia del team e mantenere alto il mio livello di soddisfazione e motivazione personale?
    • Cosa perderei se togliessi un po’ del “mio fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    • visibilità, 
    • rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “speciale”, 
    • crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso, o scopo, è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Qual è lo scopo di essere o fare squadra?

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio non emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

     Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    • Che vantaggi trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo e dell’essere squadra? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Bisogna lavorare dall’interno, verso l’esterno.

    Un gruppo va costruito dall’interno e va guidato con strumenti che permettano alle persone di mantenersi nella propria centralità ed unicità, armonizzandosi poi con il team, anche di fronte a momenti di alta pressione lavorativa.

    Tu non sei speciale, sei unico.

    Tutto ciò nasce dall’osservazione, prima di sè stessi, dall’aver registrato una memoria nel corpo fisico di forze interne ed esterne che si allineano, per poi imparare a dosarle nel gruppo, per nutrirlo ed arricchirlo. I nostri corpi hanno l’intelligenza necessaria per relazionarsi e ciò che si manifesta sono leggi della fisica che regolano tutta la materia, dai filamenti cellulari ai corpi dell’universo. C’è un’armonia sottostante e il nostro corpo la conosce. Se la ricorda.

    La scelta tra  essere  o fare squadra  coinvolge il singolo su tutti e 3 i livelli:

    • fisico
    • mentale
    • emotivo

    L’energia del corpo fisico è la prima leva potente di comunicazione non verbale che non tradisce. Si accede ad una lettura facilitante, se ci si pone attenzione.

    Vantaggi e Svantaggi dell’essere o fare squadra da remoto o in presenza

    Vero è che nel team in remoto è una lettura estremamente difficile quella del corpo fisico, anche se con un buon allenamento ci si può affinare. Sicuramente si può bilanciare con il cinestesico.

    Ma la postura del corpo fisico è fondamentale nell’essere team ed è estremamente contagiante, soprattutto a livello inconscio.

    Per quanto riguarda la mente, abbiamo accennato all’importanza della scala dei valori che sono la caratteristica della mente coscienziale o spirituale.

    Quali sono i valori che guidano le nostre giornate e le nostre relazioni.

    Esercizio

    Prova a svolgere questo semplice esercizio in due parti:

    1) dalla seguente lista di valori, individua i 10 più importanti per te.

    2) ordinali per importanza. 

    In questo modo avrai una gerarchia chiara e precisa nel caso in cui due valori siano contrastanti su una determinata questione.

    Abbondanza, comodità, eccellenza, impegno, pazienza, serenità, abilità,  perdono, accettazione, educazione, indipendenza, perfezionismo, severità, adattabilità, coerenza, efficacia, perseveranza, affetto, efficienza, integrità, persuasione, sicurezza, affidabilità, compassione,  intelligenza, piacere, sincerità, allegria, competenza, eleganza, portamento, socializzazione, altruismo, competizione, intimità, positività, solidarietà, ambizione, comprensione, empatia, intuizione, potere, amicizia, comunità, equilibrio, spiritualità, amore, equità, leadership, precisione, controllo, tradizione, lealtà, prestigio, stabilità, apertura, cooperazione, esperienza, libertà, privacy, successo, appartenenza, coraggio, etica, prudenza, supremazia, apprendimento, correttezza, fama, maturità, puntualità, sviluppo, approvazione, creatività, famiglia, merito, purezza, tempo, armonia, credibilità, fede, minimalismo, relazioni, tenerezza, assistenza, crescita, fedeltà, natura, religione, umanità, astuzia, curiosità, felicità, reputazione, umiltà, autenticità, decisione, fiducia, obbedienza, responsabilità, umorismo, democrazia, forza, onestà, rettitudine, utilità, autorità, denaro, generosità, onore, ricchezza, autostima, determinazione, gentilezza, ordine, riconoscimento, verità, avventura, devozione, giustizia, organizzazione, rischio, visione, bellezza, dignità, gratitudine, orgoglio, rispetto, vulnerabilità, benessere, disciplina, grazia, ottimismo, sacrificio, calma, gruppo, pace, saggezza, cambiamento, divertimento, guadagno, partecipazione, salute, carriera, dovere, igiene, patriottismo, semplicità

    Se abbiamo chiari i nostri top ten di valori, la capacità di essere team sarà direttamente proporzionale a quanto riusciamo ad esprimere gerarchicamente quelli per noi più importanti.

    Se per esempio, nella tua lista di valori la tranquillità è più in alto rispetto all’orgoglio, deciderai di lasciar cadere quelle provocazioni.

    Se invece l’orgoglio viene prima, deciderai di rispondere a tono rinunciando alla tua tranquillità pur di difendere il tuo onore.

    Comprendere, in base alla propria scala di valori, se l’essere squadra sia per i collaboratori più funzionale in presenza, da remoto o un mix di entrambe ha proprio a che fare con la graduatoria dei valori e permette l’espressione vitale ed autentica delle persone.

    Non c’è una ricetta che possa funzionare per tutti. E sicuramente c’è poi una strategia che debba tenere conto del sistema. Il sistema migliora e si potenzia però solo quando il team è vitale e valorizzato, e per essere squadra è necessario attivare la mente coscienziale dei singoli.  Sicuramente la scala dei valori può essere un buon suggerimento.

    Se sei interessato a confrontarti anche con altre realtà su questi temi, ci vediamo il 6 ottobre a Milano per l’evento dal vivo “Il Team Sublime”: Come sostenere il cambiamento di stato del team da «solido» a «gassoso» e viceversa. Puoi prenotare il tuo posto cliccando QUI.

  • Il metodo

    La gestione del tempo libero fa paura

    Per molte persone il tempo libero sembra essere un miraggio, per altre il tempo libero rappresenta un vero disagio.

    La paura dell’ozio accompagna l’umanità dall’inizio della sua esistenza, ma negli ultimi decenni ha raggiunto proporzioni gigantesche. 

    Già Pascal nel Seicento faceva notare che le miserie dell’uomo sono riconducibili alla sua incapacità di stare da solo in una stanza. John Lennon ha proseguito ricordandoci che spesso la vita è «una cosa che ci succede mentre siamo impegnati a fare altro». 

    Molte discipline spirituali hanno in comune la ricerca di consapevolezza, un termine che spogliato di pretenziosità significa fermarsi ed essere coscienti della nostra esistenza. Oggi l’ozio è diventato nientedimeno che un’eresia, perché sulla paura dell’ozio si regge l’intera macchina economica. E sappiamo bene gli eretici che rischi corrono: un rogo più o meno metaforico. Forse allora la cosa migliore è che gli oziosi si armino di ironia e di un pizzico di furbizia.

    Il termine di “oziofobia” (traduzione italiana di ociofobia) deriva dallo psicologo spagnolo Rafael Santandreu. Con questo termine lo psicologo voleva definire la paura di non avere qualcosa, quindi la paura della gestione del tempo libero.

    E’ una paura sempre più dilagante, soprattutto in questa società e nei nostri sistemi organizzativi, dove predomina la politica del fare.

    Sono molte le persone che fanno esperienza di disagio quando non hanno cose da fare. Si tratta in genere o di paura di annoiarsi oppure di non sapere bene cosa fare perchè, fuori dal lavoro, non si hanno altri interessi.

    L’ozio diventerà il problema più urgente, difficilmente l’uomo riuscirà a sopportare se stesso. Friedrich Durrenmatt

    La gestione del tempo libero è ciò che “rimane” nel momento in cui sono stati svolti i compiti e le attività strettamente necessarie nell’arco di una giornata.

    Le attività quotidiane di sussistenza, come mangiare e dormire, possono essere considerate parte del tempo libero, ma in realtà non lo sono. Il nostro corpo ha delle necessità biologiche che è strettamente necessario soddisfare per mantenerlo in buona salute. Per questo motivo il tempo dedicato al riposo e al nutrimento è comunque un “lavoro necessario”. Anche le incombenze della preparazione dei pasti e della loro organizzazione logistica (fare la spesa, cuocere il cibo,ecc.) sono spesso fonti di stress.

    Sebbene in apparenza ci sembri un controsenso, andare in palestra o a svolgere altri sport non può essere considerato tempo libero, perché richiede impegno, dedizione, fatica, costanza, organizzazione. Lo sport genera benessere fisico e psichico duraturo, così come tutte le espressioni artistiche. Quando però diventano degli impegni costanti e cadenzati, che richiedono sforzi di volontà, smettono di essere parte delle attività svolte nel “tempo libero” e diventano parte del programma settimanale a cui ci sentiamo in dovere di attenerci.

    Il tempo dell’ozio non esiste più. 

    Molti pensano che il tempo libero sia tempo “perso” perchè non produttivo, addirittura ci si sente in colpa. Questo è frutto di una società che mette al primo posto l’efficienza e la produttività.Guai ad oziare!

    Ad alcuni di noi la gestione del tempo libero fa paura perchè ci obbliga ad entrare in contatto con noi stessi e talvolta anche con il vuoto. Avere del tempo libero può significare entrare in contatto con le nostre emozioni, anche quelle che non ci piacciono.

    La conquista del tempo libero come spazio per ritemprarci sembra sfumata.

    Eppure abbiamo bisogno di riposo.Estremo bisogno. Siamo frenetici come le api, guidati dal pilota automatico, sedotti da falsi bisogni. Il riposo ci aiuterebbe ad essere più forti, più creativi e a lavorare meglio. Molti di noi pensano che “ dentro di noi non ci sia nulla di particolare da scoprire” così ci neghiamo tutti gli spazi di introspezione, l’opportunità di chiederci chi siamo, dove stiamo andando, cosa vogliamo.

    Che cos’è allora il vero tempo libero? 

    Si tratta di un arco di tempo durante il quale non abbiamo alcuna attività da svolgere, che possiamo dedicare a noi stessi in attività non schedulate, non strutturate, non finalizzate a un “vantaggio esterno”.

    Lo spiega bene lo storico francese Alain Corbin quando lo descrive come un perimetro personale «governato dal piacere e in cui dimentichiamo le imposizioni temporali stabilite dalla società e creiamo un tempo per noi».

    La gestione del tempo libero va misurato in termini di qualità.

    ll sintomo più visibile di chi soffre di oziofobia è l’ansia. Si manifesta con grande intensità nel momento in cui la persona in questione non ha niente da fare, ma anche prima di un fine settimana senza programmi e aumenta prima delle vacanze.

    Le persone di questo genere sono fortemente influenzate dalle ideologie di efficacia e produttività. Danno maggior priorità ai successi rispetto alla felicità. La cosa peggiore è che misurano i loro successi in termini quantitativi e non qualitativi. Si vantano delle tante attività svolte o dei tanti obiettivi raggiunti. Non menzionano la reale qualità di questi successi,

    Rafael Santandreu, padre del concetto di “oziofobia”, dice che dovremmo imparare ad annoiarci di più. Non c’è niente di male in questo. Non c’è niente di terribile nel passare un’ora a fissare la parete e a pensare a delle stupidaggini. Non solo non c’è niente di sbagliato in questo, ma è necessario. Si tratta di un aspetto che si incastra perfettamente nel concetto di equilibrio. Va bene lavorare e avere vari interessi, ma è altrettanto giusto risposare ed annoiarsi di tanto in tanto.Santandreu rivela che le menti oziose sono molto più produttive. Afferma anche che “la proporzione ideale sarebbe un’ora di lavoro e 23 di ozio”. Non dimentichiamo che i leoni vanno a caccia solo una volta alla settimana e che Cervantes ha scritto il suo Don Chisciotte della Mancia nei momenti di svago in Castiglia. Non è rimasta traccia del suo impiego come esattore delle tasse, invece il risultato del suo ozio ha determinato una trasformazione della lingua e della letteratura spagnola che è giunta fino ai nostri giorni.

    Come si supera la paura della gestione del tempo libero?

    La paura del tempo libero si supera innanzitutto liberandosi dell’ansia che nasce dal sentirsi in obbligo di essere produttivi a tutti i costi. Le menti oziose sono molto più accurate, veloci ed efficienti perchè non vanno in corto circuito. 

    Rendendosi conto che siamo noi i detentori del nostro potere personale e della nostra energia e che la gestione del tempo riguarda la scelta che facciamo nel mettere al centro della nostra vita il fare e la gestione del tempo.

    il fare, l’essere sempre impegnati ci fa sentire vivi, ci porta sempre “ fuori da noi” in un tentativo di fuga e di compensazione da noi stessi.

    Conosco molto bene questa modalità on-off perchè la mia natura è quella del fare sempre tremila cose, perchè mi piaccionp, perchè sono curiosa, perchè se gli altri hanno bisogno, lavoro o vita privata, io devo esserci. 

    Tanto più se lavoro nella relazione d’aiuto. 

    Non posso rinnegare la mia natura, ma posso esplorarla meglio, osservare da cosa mi sto spostando o cosa non voglio sentire.

    Gli innumerevoli anni di lavoro su di me, mi hanno portato proprio a questo: a riconoscere gli stati d’animo, le emozioni che prendono il sopravvento come un osservatore esterno, senza identificarmi in quelle emozioni, situazioni ecc. ed integrare la mia necessità di oziare nel tempo libero, per essere capace poi di accogliere tutto quello che la vita lavorativa, e non solo, mi presenta.

    Da quando ho integrato che tutto quello che succede, succede “per“ me, sono più rilassata e fiduciosa anche nei momenti veramente critici.

    E’ semplice? No, ma è facile, basta allenarsi.

    E’ veloce? Non lo so, per me non lo è stato, proprio per le premesse di prima, ma potrebbe anche esserlo. Dipende dalla storia di ognuno di noi e da quello che scegliamo di raccontarci.

    Per superare la paura della gestione del tempo libero dobbiamo entrare nella comprensione che il tempo non è il nostro nemico che ci insegue in ogni cosa che facciamo, come se non ne avessimo mai abbastanza. 

    Perché il tempo diventa un nemico? 

    Spesso tutto nasce da un periodo di grande impegno, che viene però affrontato male: si distribuisce in modo sbilanciato l’attenzione alle singole attività, si organizza male la giornata, si vuole fare tutto e subito, si fa fatica a delegare o a chiedere un aiuto. E anche quando non si rinuncia a piccole “concessioni” di piacere, queste vengono relegate in un tempo misero e vissute con ulteriore aumento della frenesia. 

    Il tempo libero non va vissuto come una colpa,o un passaggio tra un’attività e l’altra, va visto come una condizione umana positiva e produttiva.

    Non avere paura di incontrare se stessi, è proprio in quell’incontro che possiamo accedere meglio alle nostre risorse e risolvere tanti conflitti.

    Nella modalità di ozio e tempo libero, diamo più spazio al nostro emisfero destro la parte del cervello destro, lo spazio della sintesi, delle soluzioni e dei suggerimenti, delle nuove possibilità e delle idee.

    Da alcuni  studi è emerso inoltre che  i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress,  sono molto più alti durante il weekend per alcune persone, rispetto ad altre. Ma come, il weekend non era fatto per rilassarsi?

    Sembra che  siamo proprio noi donne a preferire i giorni lavorativi a quelli dedicati alla gestione del tempo libero. Il motivo?  Probabilmente è dato dal fatto che, nonostante la volontà di stabilire degli equilibri familiari, ancora oggi sono le donne ad assumersi il carico maggiore di impegni e responsabilità domestiche. Secondo lo psicologo Luke Martin, però, l’ansia da weekend è collegabile anche a un altro aspetto della nostra vita, quello della programmazione. In effetti, siamo così abituate a organizzare la nostra vita nei minimi dettagli, incastrando impegni personali e appuntamenti di lavoro, da sentirci un po’ perse quando invece non lo possiamo fare.

    VADEMECUM per la gestione del tempo libero:

    • Avere tanto tempo libero non ti rende automaticamente più felice: se non lo sfrutti adeguatamente, può essere controproducente come averne poco.
    • Dedicati a migliorare la qualità del tuo tempo libero: non è la quantità a fare la differenza, ma il modo con cui lo impieghi.
    • Mantieni sempre un equilibrio tra impiego e riposo: evita di impegnarti in troppe attività o, contrariamente, di oziare per tutto il tempo libero.
    • Godi del tuo tempo libero senza stress: non importi nessun obiettivo vincolante o di svolgere attività che non ti appagano.
    • Non sprecare il tempo a tua disposizione se non sei riuscito a pianificarlo al meglio: improvvisare può essere una scelta vincente (ed avvincente)!
    • Come ogni impegno importante, organizzati affinché tu possa arrivare preparato. Evita di rimandarlo ripetutamente e non sottovalutare i suoi benefici.
    • Il tempo libero contribuisce al tuo benessere e, di conseguenza, alla tua felicità. Assicurati di averne durante la tua giornata e di utilizzarlo al meglio.

    Una volta un contadino disse: «Il tempo c’è, basta prenderselo». Forse il tempo in realtà è tutto libero. Non si tratta di liberare il tempo, ma di liberare noi stessi. Un’impresa talmente semplice e a portata di mano da risultare impossibile per le nostre vite e menti complicate.

    Se vuoi fare l’esperienza di un fine settimana in cui sperimentare uno “spazio ozioso consapevole”  dedicato al “ sentire”, all’insegna del benessere fisico e soprattutto energetico,con una serie di strumenti (distensione immaginativa, forest bathing, mindfulness, camminate consapevoli, tecniche di respirazione, pratiche di ascolto del corpo, ecc)  che ti verranno proposti per entrare meglio in contatto con le nostre risorse, lontano dalla solita routine, a contatto con il silenzio dei boschi, scrivimi a info@myhara.it

  • Il metodo

    La gratitudine è l’anima dell’innovazione e della vita sostenibile

    Dobbiamo abbracciare la gratitudine ed esserne generatori in azienda e nella vita

    «Ogni volta che al mattino ci svegliamo è una nuova benedizione. Sono riconoscente per le cose che ho visto e avuto, ma anche per le cose che stanno per arrivare nella mia vita»

    Joe Vitale

    E’ stata una benedizione l’anno appena trascorso! Non sto scherzando e non ho bevuto nulla…

    Siamo alla fine dell’anno e il pensiero preponderante che sento in questi giorni è gratitudine per questo anno che mi ha permesso di attivare potenzialità che tenevo assopite.

    Un anno straordinario per aver scardinato alcune credenze che avevo che mi limitavano. 

    • Ho recuperato una relazione che da anni mi faceva soffrire e che ormai avevo dato per “estinta”, pur lasciandomi una costante vena di tristezza. E ho imparato che se lasci il cuore aperto e continui a mandare amore, anche quando ti risulta difficilissimo, per prima cosa cambi tu e anche intorno qualcosa succede, sicuramente non con i tuoi tempi, ma chi l’ha detto che i tuoi siano quelli giusti?
    • Ho riprogettato concretamente il tempo nella mia agenda per lavorare sulla crescita, per me vitale, del senso di myHARA nelle aziende e dello scopo di myHARA per me.
    • Ho riscoperto il gusto del coaching individuale, rispetto alle preponderanti attività di team che ho svolto con myHara negli anni precedenti e oggi mi sento in armonia con questo “ibrido” tra one to one e lavori di gruppo perché rende le mie giornate nuove, creative e soprattutto sento che la bellezza della relazione d’aiuto, se messa intimamente a servizio, rende tutto più semplice. Non facile, ma semplice. 
    • Ho rafforzato la qualità della mia pratica e conoscenza dello yoga, rendendolo non qualcosa di separato da me, ma in me. Per me lo yoga è dentro. Mi accorgo sempre più che non pratico con l’intenzione di aggiustare o correggere qualcosa, ma con l’intenzione di permettere alla stessa intelligenza che fa sbocciare i fiori in primavera o brillare le stelle di notte, di manifestarsi pienamente in me! Non mi interessa essere una perfetta yogin, so che la sfida sarebbe inutile e sarebbe uno spreco di energie, ma mi interessa vedere con gioia i miei continui miglioramenti. Come dice Naropa: “La suprema condotta è assenza di sforzo”
    • Ho ridimensionato, scoprendo che esperienze, luoghi, contesti che prima mi sembravano scontati oggi acquistano più gusto, diventano un po’ più speciali e li apprezzo di più (vedi cinema, ristoranti ecc)

    Recuperare- Riprogettare-Riscoprire- Rafforzare-Ridimensionare: prova a vedere anche tu con queste cinque “R” cosa è cambiato nel tuo anno?  A me ha aiutato molto proprio per esercitare la gratitudine.

    Cosa c’entra la gratitudine con l’innovazione e la vita sostenibile?

    E’ il cuore!

    Come diceva Steve Jobs: Creatività non è fare ogni giorno qualcosa di nuovo, ma unire i puntini…” e provare a vedere di fare le stesse cose da un altro punto di vista, con una diversa angolazione”.

    La gratitudine è quella forza rivoluzionaria che mi permette di mettere in campo creatività e innovazione, accorgendomi, come punto di partenza di ciò che c’è già.

    E’ il primo passo. Essere grati per ciò che abbiamo e non dare nulla per scontato.

    Ma concretamente. Ogni giorno. Allenarci ad osservare e riconoscere.

    Quante volte a fine giornata di fermi un attimo e pensi a cosa ti è capitato e al motivo per cui sei grato di quella esperienza, persona, ecc.?

    Non c’è bisogno di cercare grandi cose!

    La maggior parte delle persone a questa domanda risponde che non è successo nulla. Che è stata una giornata normale. Normale in che senso? E secondo quale parte di te?

    Quante volte un lavoro, un progetto o un preventivo non vengono accettati senza neanche un messaggio o una conferma? Quante volte un aiuto viene dato per scontato? Qual è stata l’ultima volta in cui hai notato una mancanza di gentilezza e gratitudine in azienda? Qual è stata l’ultima volta in cui ti sei dimenticato o non hai prestato attenzione nel dire “grazie”?

    Credo che ognuno potrebbe fare un nutrito elenco.

    Ora pensa a quante volte ti sei fissato su una singola mancanza da parte di una persona. Lo sguardo è rivolto a ciò che manca. È molto più facile porre attenzione su ciò che manca invece che su ciò che già si possiede: fissarsi sulle mancanze ci viene più facile e spontaneo. Non si pressupone, dunque, che l’altro possa aver avuto i suoi motivi, che si sia dimenticato di esprimere riconoscenza nei nostri confronti. E così, la fissazione non fa bene a nessuno di noi,  né alla relazione.

    Probabilmente la maggior parte di noi crede che la gentilezza e la gratitudine facciano parte della buona educazione. Quindi se sei educato, sei gentile e capace di dire “grazie”. Questa non è gratitudine. E’ buona educazione.

    Certo tra niente e la buona educazione, almeno la buona educazione ci permette di stare nel “quieto vivere” della vita sociale e di essere, quantomeno, accolti.

    Ma la gratitudine è energia potente e rivoluzionaria.

    La gratitudine è potere. 

    E’ quel potere che conduce l’uomo ad una connessione più profonda con la vera natura delle cose.

    «Se sapremo provare Gratitudine nei nostri cuori e diffondere Gratitudine con le nostre vite, rivoluzioneremo l’approccio “mors tua vita mea”, che ha caratterizzato l’umanità fino al XX secolo, e costruiremo un futuro orientato a un nuovo, necessario paradigma: “vita tua vita mea”».

    La gratitudine è un gioco a “somma positiva” per l’ innovazione e la sostenibilità

    La gratitudine è un gioco a “somma positiva”, dove non ci sono né vincitori, né vinti, ma tutti vincono. Allenarsi a vivere nella gratitudine è un processo di crescita che parte dal sentirsi presente in ogni momento, ma soprattutto inizia dall’apertura del cuore per accogliere valore. Solo in questo modo, puoi essere riconoscente nei confronti di te stesso, degli altri e, in senso astratto, per la vita e ciò che la adorna.

    La riconoscenza è la memoria del cuore

    Lao Tse

    La gratitudine ha a che fare con la legge d’abbondanza e la legge d’inserzione.

    La Legge di Abbondanza (o di Sufficienza) afferma che noi siamo naturalmente abbondanti e che siamo in grado di creare qualsiasi cosa desideriamo. Inoltre, viviamo in un mondo abbondante, in cui c’è una quantità illimitata di beni. Ci è stata data la vita e abbiamo accesso al potere di cui abbiamo bisogno per creare la nostra vita.

    Gli economisti insegnano che l’economia è una coperta stretta, i media e la stampa ci parlano continuamente di risorse limitate. Le credenze collettive basate sulla mancanza influenzano la nostra capacità di manifestare i veri desideri del nostro cuore, perché ci fanno pensare che siano difficili da raggiungere. 

    Fare il lavoro che ci piace? Figurati! Bisogna lavorare con fatica per guadagnare il pane! 

    Una relazione soddisfacente? L’amore duraturo e fedele non esiste, sono tutte illusioni! 

    Questa mentalità della mancanza o scarsità in verità ci controlla facendoci diventare schiavi di falsi desideri, che non sono nostri ma nascono dal confronto con quello che hanno gli altri, e attivano in noi l’istinto alla lotta per essere migliori degli altri.

    Molti di noi sentono che ciò che siamo, ciò che abbiamo e ciò che stiamo facendo non è abbastanza. 

    Questa è una grande menzogna. 

    La verità è che “siamo abbastanza”. In questo momento, siamo perfetti, completi così come siamo. Noi desideriamo sempre di più perché ci stiamo espandendo, viviamo in un Universo in continua espansione.

    Va bene desiderare di più, è normale, ma il punto di partenza è che io vado bene così, sono abbastanza e quello che ho è abbastanza. Da questo spazio posso solo essere e avere di più. 

    Ecco perché la gratitudine è così importante perché mi allena a riconoscere ciò che c’è già per poter desiderare il meglio per me.

    Ci sono due modi per applicare La Legge di Abbondanza

    1. Il primo modo è pensare che il mondo è un luogo abbondante. Osserva quanta acqua c’è negli oceani, quanto cielo, quanta vita c’è intorno a te.
    2. Il secondo modo è pensare che hai già tutto dentro di te e che il tuo stato naturale è di abbondanza. Hai tutto ciò di cui hai bisogno dentro di te per creare il tuo lavoro ideale. Hai tutto dentro di te per attirare il tuo compagno ideale, il tuo peso ideale.

    Quando vivi in abbondanza sei connesso al flusso della vita. Mentre segui il processo di auto-trasformazione, ti apri al flusso dell’energia e la tua vita diventa abbondante. Abbondanza significa avere tanto, tutto quello che vuoi. Non è avere abbastanza, è avere di più. 

    Ecco come applicare la Legge di Abbondanza e Gratitudine

    • Sii grato ora. Non aspettare di essere soddisfatto quando riceverai qualcosa. Dì a te stesso: “Sono grato di ciò che ho adesso, amore, felicità e sicurezza provengono dall’interno di me”. Inizia da dove sei e da cosa hai adesso.
    • Se ti sembra di avere poco, sii grato di avere la vista o le tue gambe, di avere il cielo, di avere la vita. Se facciamo un regalo e non riceviamo un grazie, ci passa la voglia di farne un altro: così fa anche l’Universo con noi, se non siamo grati di ciò che abbiamo già, la nostra vibrazione negativa non può attirare nessun altro regalo. 
    • Stabilisci i tuoi obiettivi, immagina di essere già lì e sii deciso a raggiungerli, qualunque cosa accada. Non farti distrarre da apparenti peggioramenti durante il percorso, guarda avanti. 

    L’abbondanza si manifesta quando siamo in pace con dove siamo e con cosa abbiamo adesso e siamo eccitati riguardo alle possibilità future. 

    La Gratitudine e la Legge d’Inserzione 

    La legge d’inserzione semplicemente riporta l’attenzione e la responsabilità su di noi.

    Siamo noi che decidiamo sempre quali tipi di pensieri, atteggiamenti, parole ecc. esprimere, inserire nella nostra vita.

    E’ un po’ come una grande torta (la nostra vita) con moltissimi ingredienti: quello che mettiamo nella nostra torta per ottenere il miglior risultato dipende dagli ingredienti di qualità che inseriamo.

    Se io nella mia vita ho sempre pensieri negativi, lamentosi, di critica, reputo sempre che la colpa sia dell’altro, che ingredienti sto inserendo nella mia torta della vita?

    La legge d’inserzione mi invita a provare per esempio ad inserire nei miei ingredienti un po’ di gratitudine per le persone che ho incontrato, per i risultati che ho raggiunto, per la bellezza che mi circonda, per la telefonata che ho ricevuto, per quel sorriso, ecc.

    Ecco che se inserisco un nuovo ingrediente, il risultato della mia torta cambia.

    Piccoli gesti, per grandi risultati.

    Possiamo decidere noi a cosa pensare! Questo ci dice la legge d’inserzione.

    La gratitudine dà forma all’innovazione e alla vita sostenibile

    Noi siamo esseri pensanti che prendono la forma di ciò che si pensa.

    Cosa ci accade quando iniziamo a sentirci grati? Iniziano a palesarsi eventi e situazioni favorevoli proprio a quello stato mentale. 

    Perché? Perché la gratitudine genera fede, la fede genera aspettativa e l’aspettativa ci fa pensare a eventi e situazioni che appunto ci aspettiamo e che (guarda caso e quasi sempre) si verificano

    Ma non solo…la gratitudine è un meccanismo di purificazione interna che ci consente di fare pulizia di tutta la negatività che abbiamo dentro: pensieri, comportamenti, immagini mentali, etc.

    Spesso subiamo passivamente gli eventi come se non avessimo nessun controllo perché ci piace immaginare che reagiamo ad un mondo oggettivo, mentre in effetti reagiamo ad un nostro mondo interiore (soggettivo) così potente da interagire con la realtà.

    Immaginiamo la vita come un qualcosa “che ci capita” senza renderci conto invece che siamo potenti co-creatori.

    Uno dei fattori che delimitano fortemente il nostro reale raggio d’azione è la negatività

    Chi è il nemico numero uno della negatività?  la gratitudine.

    Dobbiamo ricordare che siamo in presenza di un universo estremamente generoso, un universo che ha creato la vita e che vive lui stesso per perpetrare la nostra esistenza

    Tutto il potere è lì.

    Se entriamo in contatto con questa fonte perpetua di generosità entreremo in contatto con una fonte perpetua di gratitudine che farà brillare costantemente le nostre esistenze.

    Tutti gli stati mentali negativi come ansia, depressione, scarsa autostima, apatia, paranoia, paura possono essere contrastati con la gratitudine.

    Partiamo dal presupposto che tali stati mentali vengono creati nella nostra mente

    La maggior parte delle volte non vi è un reale fattore esterno che provoca quegli stati. 

    Il più delle volte la negatività prende la sua forza da un pensiero che, preso singolarmente, può addirittura sembrare innocuo. Tale pensiero tuttavia, se mantenuto nel tempo, può ingigantirsi sempre di più, portando ad oscurare la nostra mente tanto da non poter più scorgere le luce del sole, cioè la positività della vita stessa.

    Hai ringraziato oggi?

    La gratitudine è la migliore medicina per lo Spirito, ricostruisce le cellule e i neuroni danneggiati, guarisce la tua memoria cellulare, ricollega il tuo DNA ed espande la mente.

    I benefici della pratica della Gratitudine per l’innovazione e la vita sostenibile sono molteplici, crea intorno a te uno scudo protettivo che ti protegge da ogni energia discordante che si sta generando all’esterno.

    Riempiti di GRATITUDINE per le cose semplici, ringrazia per tutte le cose meravigliose che ti circondano, fermati un attimo e sii grato per l’infinito colore blu che l’Universo ci regala nel cielo, in nessun’altra dimensione c’è un blu simile al cielo che ci circonda, apri gli occhi ✨

    Smetti di trovare scuse per praticare questo semplice esercizio, guarda le meraviglie che ti circondano e ringrazia. . . .

    Ringrazia il tuo corpo, qualunque forma possa avere, per essere una macchina perfetta; quello che chiami corpo è stato progettato con alta tecnologia.

    Ringrazia il tuo cervello per aver registrato nella tua memoria, colori, suoni, consistenze, aromi e sapori squisiti.

    Ringrazia le tue emozioni, sono quelle che ti trasmettono l’ “esperienza”.

    Ringrazia, non lesinare mai quando si tratta di essere grato, è impossibile per te anche se te lo spiegano, immaginare tutte le ricompense che l’Universo ti invierà…
    ti assicuro che è infinitamente gratificante quando ti apri a ricevere.

    La gratitudine è la chiave che apre la porta al Tempio della pienezza, dell’innovazione della vita sostenibile.

    I Benefici della Gratitudine per creare un clima aperto all’innovazione e alla vita sostenibile

    • Migliora l’umore del personale. Fare atti di generosità ci fa bene. Ci rende più felici, con la conseguenza di essere più creativi ed ispirati, creativi, resilienti e pronti ad affrontare e risolvere ogni difficoltà.
    • Incoraggia il lavoro di squadra. Facilita il lavoro di collaborazione. Alimenta la curiosità verso gli altri, rende più facile lo scambio di informazioni, riduce i conflitti interni e favorisce la soluzione rapida di problemi.
    • Migliora la reputazione dell’organizzazione. Che viene vista non più come un’azienda che punta solo al mero guadagno, ma che ha valori e cultura, facendola percepire come sicura ed affidabile. E aumentandone la visibilità.
    • Fidelizza i dipendenti. Non solo il personale, ma anche l’umore dei clienti migliora. Un cliente che vede un clima caldo in un’azienda, un clima di aiuto e collaborazione, è più incline a tornare e a parlarne bene ad amici e conoscenti

    Esprimere gratitudine può essere uno sforzo enorme, in particolare mentre cerchiamo di comprendere e gestire meglio noi stessi. Ma quando riuscirai a coglierne il potenziale, e vedere i primi risultati di una ritrovata felicità in azienda, allora non potrai più esimerti dal manifestarla ai tuoi collaboratori.

    Sono molte le azioni che puoi attuare con i tuoi collaboratori:

     – salutali ogni mattina quando arrivano;
     – sorprendili con qualcosa di diverso, come un pranzo o una pausa caffè, tutti insieme;
     – rispetta il loro tempo e non trattarli con superficialità;
     – valorizzali, riconosci gli sforzi anche quando le cose non vanno come dovrebbero e incentivali a fare di più;
     – condividi i successi, ma non farli sentire abbandonati nelle sconfitte;
     – premiali per i risultati ottenuti;
     – ringraziali, non dare per scontato il loro lavoro;
     – programma attività di team building per incentivare l’appartenenza a un gruppo, non solo come lavoratori, ma anche come persone.

    Il nostro percorso di TRASFORM-AZIONE VERA: Dire, Fare, Abbracciare finisce qui.

    Abbiamo in questi 3 mesi condiviso contenuti e strumenti che speriamo possano esserti stati utili. 

    In ogni caso, in qualsiasi momento della tua vita tu possa beneficiarne, sarà per me  un piacere aver dato un piccolo contributo al miglioramento e al benessere di ognuno di noi.

    Il mio augurio è che tu possa sempre più accedere al tuo spazio interiore di infinite possibilità, con vitalità e passione!

    Sempre con infinita gratitudine, ti auguro un sorprendente 2022!

    Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    . IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA

    . L’ABBRACCIARE E L’INCLUSIONE LAVORATIVA

    . LA CULTURA DELLA GENTILEZZA COME INVESTIMENTO

    . LA VERA FELICITA’ IN AZIENDA MANTIENE I TALENTI IN AZIENDA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    Sentirsi insicuri al lavoro: la voce dell’energia maschile e femminile

    “Quando l’insicurezza in cerca di certezza ci domina, il pensiero diviene il nostro nemico” Krishnamurti

    Vi è mai capitato di dover prendere una decisione e sentirvi indecisi?

    Che domanda ovvia!

    Ci sono delle persone che non riescono mai a prendere delle decisioni, dalle più semplici alle più difficili. Queste persone vivono un’insicurezza radicata che non gli permette di vivere serenamente la vita.

    I meccanismi che per lo più mantengono questo stato di insicurezza sono: il sopravalutare eccessivamente gli altri e le difficoltà e/o sottovalutare smisuratamente se stessi e le proprie capacità.

    L’insicurezza, il mettere in discussione, appartiene principalmente all’energia femminile; la forza, la scelta, l’azione all’energia maschile. 

    L’insicurezza è correlata più ad uno stato emotivo, appartiene all’emisfero destro, il nostro cervello “poetico”.

    Quando insicurezza e forza si integrano e il risultato è fiducia.

    Spesso non è facile ammettere di sentirsi insicuri al lavoro, perchè dubbio e insicurezza minano la nostra “performance”, il nostro agire.

    Perdiamo l’equilibrio emotivo e mettiamo radici in un luogo ostile a noi stessi. Un luogo in cui la nostra immagine si cancella in una moltitudine di paure che riflettono ciò che temiamo di essere.

    L’insicurezza sul lavoro è comunemente vista come una debolezza personale, associata spesso alla sindrome dell’impostore. 

    La sindrome dell’impostore è una condizione psicologica caratterizzata dalla convinzione di non meritare il proprio successo. 

    Si tratta di una sensazione assai comune, che colpisce ad ogni età e che sperimenta anche chi ha raggiunto il massimo livello nel suo settore lavorativo.

    Si stima che 8 persone su 10 abbiano fatto esperienza della sindrome dell’impostore che, a dispetto del nome, non è una malattia e non compare sul Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). 

    Diverse le possibili spiegazioni del fenomeno, che non è necessariamente legato a ansia o depressione e sembra piuttosto connaturato nella natura umana. 

    Chi è molto preparato e stimato nel proprio lavoro tende a credere che le persone che incontra siano altrettanto in gamba, e quindi a sentirsi in difetto: è il fenomeno opposto alla distorsione cognitiva che porta le persone poco competenti a sopravvalutarsi.”

    Se sei interessato a “misurare” la tua sindorme ad uso personale: https://paulineroseclance.com/pdf/IPTestandscoring.pdf

    Tali convinzioni, legate alla nostra natura umana, ci rendono cauti e pieni di risentimento nelle relazioni. 

    Il confronto con gli altri diventa “esclusivo” (nel senso proprio che tende ad “escludere”) piuttosto che inclusivo. 

    Quindi l’insicurezza diventa il driver per gli sforzi cronici che facciamo per metterci alla prova: sarò bravo quando avrò superato il mio ultimo successo.

    E così ogni volta, l’elogio che segue il successo viene rapidamente svuotato dall’insicurezza successiva. 

    Lo psicanalista austriaco Alfred Adler  introdusse  il concetto di complesso d’inferiorità.

    Affermava che le persone insicure sostengono una costante lotta di superiorità che può persino ripercuotersi in modo negativo sulle loro relazioni, in quanto possono sentirsi felici rendendo infelici gli altri. 

    Inoltre, qualificava questo genere di comportamenti come tipici della nevrosi.

    Non tutte le persone insicure sono caratterizzate da questo modo di essere. Dipende dal grado di sfiducia che hanno verso le loro capacità o i loro successi. 

    L’insicurezza, quando non è patologica e cronicizzata, non ha nulla a che vedere con l’avere dei legittimi dubbi di fronte ad una scelta o al mettersi in discussione di tanto in tanto, o al chiedere consigli/pareri/opinioni.

    L’insicurezza può essere  la molla che ci permette il miglioramento.

    La condizione di insicurezza inevitabilmente ci permette di metterci in discussione e collocarci “a tu per tu” con la nostra parte più autentica. 

    A dimostrarlo è una ricerca psicologica effettuata da Ketty May, Claire Shipman e Jill Ellyn Riley.

    Le donne risultavano più insicure dei coetanei maschi e più propense a mettersi in discussione per migliorare questo aspetto del loro carattere. Crescendo proprio le donne risultavano aver acquisito autostima, grinta e successo nella vita. Esse diventavano più consapevoli di se stesse rispetto ai coetanei più sicuri e determinati nella fase adolescenziale.

    Da dove nasce il nostro “sentirsi insicuri” al lavoro?

    Diventiamo o siamo insicuri?

    La ricerca sulle donne e le minoranze in ambito professionale, ad esempio, ha chiarito che l’insicurezza è molto più un problema sociale che psicologico. 

    Mentre le donne sono costituzionalmente sicure quanto gli uomini, un cocktail di messaggi contrastanti e feedback personali venati di pregiudizio – essere più assertive ma meno conflittuali, essere autentiche ma meno emotive – le mette in circostanze che farebbero vacillare chiunque.

    Alcuni studi hanno dimostrato che le donne sperimentano maggiore insicurezza al lavoro  degli uomini (Emberland & Rundmo, 2010; Mauno & Kinnunen, 2002) mentre altri non hanno osservato differenze nell’insicurezza lavorativa di donne e uomini (Berntson, Näswall, & Sverke, 2010). Rosenblatt et al. (1999), pur avendo trovato livelli maggiori di insicurezza lavorativa negli insegnanti maschi rispetto alle insegnanti femmine, hanno osservato che l’insicurezza aveva un impatto più forte sull’atteggiamento delle donne rispetto al lavoro, piuttosto che sull’atteggiamento degli uomini. Infine, in uno studio realizzato su impiegati di banca e del settore health care, Mauno e Kinnunen (1999) hanno osservato effetti negativi prolungati dell’insicurezza al lavoro sul benessere delle donne ma non su quello degli uomini. Näswall e De Witte (2003) hanno trovato risultati contraddittori nel medesimo studio.

    Le analisi di Katty Kay (conduttrice di Bbc world news America) e della giornalista Claire Shipman sostengono che il fattore principale ad ostacolare la parità tra i sessi sia insito nella donna stessa: la sua profonda e innata culturale insicurezza. Le autrici sostengono che, nelle interviste a donne di successo e professionalmente affermate, vi era un fattore sfuggente: l’insicurezza.

    Le donne attribuivano i loro successi a fattori esterni, e i loro insuccessi a fattori interni. 

    Ciò che emerge, al di là del retaggio antropologico e sociale noto (l’uomo concentrato sul lavoro in quanto sostegno economico della famiglia così come cacciatore che procurava il cibo alla prole, la donna più facilmente nella dimensione familiare che accudisce e di cui si prende cura) è che l’insicurezza non riguarda il gender role ma è qualcosa di più profondo che attiene alla comprensione e conoscenza della nostra energia maschile e femminile e all’armonizzazione di queste forze.

    Proprio per l’aspetto predominante del femminile che si apre all’emotività, alla riflessione, al pensiero intuitivo e creativo è facilmente comprensibile come la donna sia più portata ad attribuire i propri insuccessi a fattore interni e viceversa i successi, quasi casualmente alle circostanze esterne.

    Tutto ciò rafforzato dalla storia del vissuto della donna nelle diverse ere storiche.

    Parimenti, potremmo oggi convenire che l’uomo non “attento”, è più portato ad attribuire  la propria insicurezza e il proprio insuccesso a fattori esterni in quanto meno incline ad esplorare il proprio mondo emotivo.

    L’energia maschile volta all’azione, al pensiero analitico, al razionale può sicuramente venire in soccorso quando tendiamo a soprassedere troppo a lungo nell’interregno tra la paura di sbagliare o il senso di colpa ( peraltro spesso alimentato da  insicurezza e dubbio) e la direzione verso cui vogliamo agire.

    Allo stesso modo l’energia femminile volta all’introspezione apre a scenari di dubbio e di incertezza che possono essere opportunità migliori di ascolto e di inclusione di pensieri, atteggiamenti e/o persone che non avevamo preso in considerazione.

    Ciò che è certo è che Il distacco da queste 2 forze energetiche porta alla chiusura e al lavoro in solitaria. 

    Uno sguardo coraggioso e consapevole a noi stessi e all’ambiente di lavoro dove siamo inseriti ci offre la grande opportunità di essere presenti nel qui e ora e di nutrire e dare forza alla fiducia, leva fondamentale il superamento dell’insicurezza e per l’azione.

    L’obiettivo non sarà evitare sentimenti di insicurezza, ma riconoscerli come cause anche di un sistema e “sfruttarli” per offrire la giusta (per il sistema e per noi) manifestazione di noi stessi. 

    Non si tratta né di conquista né di privilegio. 

    E’ un dono che riceviamo e diamo a nostra volta. 

    Significa imparare a “stare” nella nostra forza.

    Come si alimenta il sentirsi insicuri al lavoro?

    Con il dialogo interiore negativo, il rimuginio continuo e la messa al vaglio di cose dette e fatte, etichettate come “inadeguate”. In base a cosa noi diciamo a noi stessi, rischiamo di alimentare di continuo la spirale dell’insicurezza: “Chissà se ho fatto bene, chissà se potevo dire/fare meglio, chissà, chissà, chissà. Perché non ci ho pensato prima!, ecc.

    Alimentiamo la nostra insicurezza ogni volta che usiamo parole negative verso noi stessi: magari facciamo bene 100 cose in una giornata, ma ci ricordiamo solo quell’unica venuta male e ce la ripetiamo nella testa 400 volte, quasi come se, ripetendola, potesse cambiare l’accaduto.

    Alimentiamo la nostra sicurezza tutte le volte che restiamo attaccati, come cozze alla roccia, al nostro bisogno di controllare. Il controllo, quando eccessivo,  è un’esasperazione dell’energia maschile, al di là dell’essere uomini o donne.

    Alimentiamo la nostra insicurezza quando tendiamo costantemente  al perfezionismo. Il nostro Osservatore Interno è sempre vigile ogni giorno e pronto, come la maestrina dalla penna rossa, a dirci cosa è bene, cosa è male, cosa è giusto e cos’è sbagliato. E se ci avviciniamo ad una nuova forma-pensiero dove non esiste giusto e/o sbagliato? Se accogliessimo queste come categorie di giudizio della nostra mente? Se provassimo a vederci sempre in continuo mutamento, per cui nessun giudizio o pensiero è impermanente e definitivo ?

    Vi invito a rileggere questo articolo.

    Ecco i suggerimenti per trasformare il sentirsi insicuri al lavoro e nella vita in un’opportunità di crescita:

    Allena le tue capacità personali: è vitale acquisire consapevolezza nelle proprie abilità, capacità e competenze. Le abbiamo tutti. Allenale ogni giorno fino a raggiungere l’eccellenza. Ci vuole coraggio, pazienza, determinazione e perseveranza. Col tempo esse verranno premiate donando molteplici soddisfazioni.

    Affronta i pensieri negativi: metti a tacere la “vocina interiore” che ti scoraggia e fa sabotare tutte le buone intenzioni. Affronta tutti i tuoi limiti con coraggio. Solo così passerai all’azione.

    Cambia il tuo focus d’azione: focalizzati sulla tua crescita personale in maniera positiva accogliendo anche gli imprevisti. Rifletti su quale opportunità l’imprevisto stesso ti sta offrendo. Solo così potrai affrontare tutto con una marcia in più che ti contraddistingue quando perseguirai i tuoi obiettivi.

    Permettete a voi stessi di sentirsi insicuri al lavoro.

    Avete visto LUCA, il nuovo film della Disney Pixar?

    C’è un personaggio di fondamentale importanza: Bruno.

    Bruno è quella voce nella testa dei personaggi che impedisce loro di fare quello che vogliono fare, perché evoca le peggiori paure e tende sempre a scoraggiarli.

    E così i due ragazzini, mentre scendono in bicicletta a rotta di collo dalla collina, con il vento che li scompiglia, il sole che li illumina, il mare che li aspetta e la velocità che li accende, urlano “ Silenzio Bruno!”

    Ecco provateci anche voi: Silenzio Bruno!

    Certo, spegnere l’Osservatore interno nella nostra  testa che ci parla costantemente per proteggerti da esiti negativi può non essere così semplice, soprattutto da adulti. 

    Può aiutarci tenere a mente che tutti si sentono insicuri e che i maggiori successi sono arrivati ​​da persone spinte da profonde insicurezze personali.

    Allo stesso modo, sappi che l’insicurezza non è né un riflesso dei tuoi punti di forza né legata alla tua felicità. 

    Non cercare di porre fine all’insicurezza ma accettala e ascolta il messaggio che porta per te: quale è l’aspetto di te che può avere ancora più ampi margini di espressione?

    Cosa ti sta chiamando?

    L’insicurezza d’altronde non è che un richiamo. 

    Come ogni altra nostra manifestazione del corpo e della mente: come sempre occorre imparare ad esserne consapevoli.

    L’insicurezza ci suggerisce che siamo stati colpiti. 

    Succede anche quando ci innamoriamo!

    Avvertiamo di essere trascinati in un mondo a noi non famigliare, di non riuscire ad opporre resistenza, e che qualcosa sta chiamando in causa i nostri desideri e bisogni.

    Facciamo dunque della nostra insicurezza il trampolino di lancio…

    Non arrenderti e se necessario chiedi aiuto.

    Confrontati. Il confronto e la ricerca di informazioni ti impedisce di commettere errori, in più aumenta il senso di appartenenza che riduce la tua paura di fallimento come singolo e fortifica il senso di inclusione e l’opportunità di crescita come gruppo.

    Fai del tuo lavoro uno scambio in cui le tue potenzialità di agire ed accogliere, fare e sentire, programmare e creare, creino sinfonia con il contesto in cui operi.

    Un uomo che conosce se stesso non è mai disturbato da quello che la gente pensa di lui. 

    È l’uomo che non conosce se stesso che è sempre preoccupato dell’opinione che gli altri hanno di lui.

    Offri alla tua insicurezza la grande possibilità di guidarti alla scoperta di te, in armonia con gli altri e per il raggiungimento di una vittoria che generi nuove possibilità e nuove sfide da superare insieme. 

    Non c’è giudice, non c’è errore, solo correzione!

    E ricorda : SILENZIO BRUNO!

    IMAGE CREDITS: Roberto Weigand

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.