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la prima diversity e inclusion sei tu

  • Il metodo

    Il maschile e il femminile che possono aiutarci nella vita professionale e personale

    Quanto la definizione di ruolo e la classificazione di gender penalizza in azienda quello che in realtà oggi le aziende stanno cercando?

    Se è vero quello che emerge dai Forum dedicati alle Risorse Umane e dai recenti report del World Economic Forum relative alle competenze più importanti per il 2025 quello che le risorse umane faticano a trattenere e/o a ricercare sono collaboratori talentuosi, desiderosi di esprimere autenticità, creatività e passione, oltre che ovviamente le competenze specificatamente richieste.

    Le competenze per il 2030 secondo il WEF sono aumentate, da 12 a 16: quello che emerge è una contaminazione più intensa tra mondo fisico, digitale e biologico con l’urgenza, nonostante il progresso dell’intelligenza artificiale (AI), robotica, internet delle cose (IoT) di un lavoro sempre più “umano”. Sottolineo “più”, non “meno” umano perché la tecnologia sostituisce i lavori più ripetitivi e automatizzabili ma, di fatto, cambia la mentalità del lavoro, subentrano nuovi lavori e ancora, soprattutto, siamo in un cambiamento culturale dell’idea di lavoro.

    Se il vecchio schema del sacrificio, della vita dedicata al lavoro è stato desacralizzato, oggi è sicuramente più chiaro quello per cui non si è più disposti, ma ancora non si è ufficialmente riconosciuto, il nuovo way of working che coinvolge tutte le generazioni.

    Si parla ormai da tempo di Diversity, Equity & Inclusion (DE&I) si fa riferimento a un insieme di programmi, di tecniche e di strategie volte a riconoscere e a valorizzare le differenze individuali, così da massimizzare il potenziale di tutti i dipendenti, nessuno escluso.

    Certamente negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti in tal senso, ma c’è ancora molto da percorrere. Le differenze da considerare sono molte: età, etnia, religione, disabilità, sesso, orientamento sessuale, credo politico, status economico, ecc.

    La base di partenza è che, lì dove c’è diversità, c’è anche bisogno di inclusione.

    Se osservassimo e riconoscessimo il concetto di inclusione con un altro sguardo?

    Inclusione implica riconoscere e dare potere alla mente duale, che per sua natura, ragiona per categorie, ruoli ecc. 

    Ma non c’è bisogno di inclusione.

    Si tratta di entrare in una terra sconosciuta che implica svelare e accogliere quello che c’è, come potenzialità che si sprigiona. Il maschile e femminile sono forze archetipiche primordiali, originarie, sono lo “scrigno prezioso” che, una volta aperto, genera la più potente espressione di vitalità, intuizione, creatività e innovazione. Proprio come diceva Michelangelo di fronte ad un blocco di marmo: “Quando guardo un blocco di marmo, io riesco a scorgervi dentro la scultura. Tutto ciò che mi rimane da fare è togliere i residui.”

    Allora non si tratta di includere, ma di togliere i residui, per permettere la manifestazione vera.

    Nel desiderio e nell’urgenza che abbiamo in azienda di avere persone motivate, riconosciute, proattive e competenti potrebbe trattarsi di spostare il focus.

    Dalla rincorsa al riconoscimento della diversità ed equità di genere, al bisogno di “liberare” le persone da categorie e schemi precostituiti, che per lo più, si traducono in pressioni per i collaboratori che reagiscono con senso di stanchezza, passività e frustrazione.

    Non si tratta di “diversità di genere” ma di “liberazione dal genere” a favore di unicità e autenticità che si scontrano con l’emozione della paura e del controllo, che ben conosciamo nei nostri sistemi organizzativi e che peraltro non sono da biasimare o eludere, ma non per funzionano se ciò che cerchiamo è autenticità, passione e creatività.

    L’unicità coinvolge la nostra natura istintiva, archetipale, direi quasi animalesca, che esiste, ed è l’ingrediente più importante per l’espressione della nostra forza vitale.

    Non si tratta certo di rendere le nostre aziende una giungla…

    Vogliamo persone contente o persone felici in azienda?

    C’è una bella differenza!

    La contentezza non permette al successo di manifestarsi, perché “contento” deriva da continere, contenere, trattenere. Ciò che alimenta il successo è la felicità.

    Originariamente la parola latina “felice” significava «fertile, ricco di messi e frutti».

    La persona felice continua a nutrire il suo terreno e a mettere semi, che diventano frutti e fiori rigogliosi.

    Quando l’animale sociale ingabbia l’animale selvatico, che vive libero e potente in ognuno di noi, la strada diventa una giungla di visioni contrapposte e terrifiche, ma quando l’animale selvaggio risolleva la sua testa e si libera dal giogo, allora e solo allora, tutto diventa semplice e chiaro. 

    Siamo natura nella natura, la natura non è altro da noi.

    La fusione tra maschile e femminile è potentissima proprio perché non si capiscono affatto, proprio perché parlano due lingue diverse, perché mentre lui guarda fuori, lei guarda dentro, perché mentre lui sfida il mondo, lei sfida sè stessa.

    Tutta la ricchezza sta proprio lì, nella difficoltà di superare la mente binaria e trovare una prospettiva più ampia in grado di capire che esistono due verità che si nutrono a vicenda e si alimentano per smuovere l’energia stagnante e generare vita. 

    Viviamo incatenati alle dicotomie: abbiamo preso l’abitudine di imprigionarci dentro una visione univoca che si oppone ad un’altra visione univoca: siamo arroccati senza in realtà un autentico dialogo tra le parti. 

    Eppure la biologia parla una lingua semplice e trasparente; il futuro nasce dall’incontro di nature opposte.

    Stiamo parlando di forze, di energia prima ancora che di gender o di ruolo.

    Tutto ciò che noi chiamiamo gender in realtà è un costrutto, non esiste un gender puro, esistono generi misti che a volte arrivano persino a creare conflitti tra gli impulsi sessuali e la fisiologia.

    La vera ricchezza è l’unicità, scoprire la natura e guidarla in accordo ai sogni, ai desideri, ai talenti. Non esistono nemmeno giochi, colori, abitudini, ruoli per maschi o per femmine, perché in ognuno di noi ci sono entrambi gli aspetti. Ci sono femmine più portate verso le materie scientifiche, verso lo sport o verso giochi scatenati, la lotta e la guerra, e invece maschi che amano la poesia, oppure cucire e giocare con le bambole.

    Tutto questo significa allenarsi al non giudizio, lasciandoli scegliere senza forzature, quello che amano, senza farci domande e dare etichette, lasciando che la natura faccia il suo corso.

    La vera difficoltà che abbiamo, una volta adulti e inseriti in un qualsiasi contesto organizzativo e sociale, è che siamo diventati una sovrastruttura consolidata di maschere e ruoli.

    La nostra corazza ormai è talmente spessa che ci identifichiamo con essa, senza neanche più riuscire a contattare cosa c’è sotto, qual è la nostra scintilla autentica.

    Tutto questo in realtà è stato necessario per sopravvivere e permetterci di stare dentro perimetri e confini, a volte autoimposti, spesso condizionati, per essere amati e accolti dall’altro (persona, sistema, contesto).

    Comprensibile razionalmente, ma oggi che le nuove scienze ci sollecitano ad osservare l’uomo come essere olografico, di cui la mente è la punta dell’iceberg, è necessario risvegliare anche in azienda nuova consapevolezza.

    Ma pensate quanta creatività e potenzialità inespressa?

    Cerchiamo persone motivate, appassionate e talentuose, muovendoci da uno stato di paura e controllo. E’ quasi impossibile che il risultato non sia frustrazione e insoddisfazione generale.

    Se il Femminile è il grembo/terra che accoglie, il Maschile è il seme che feconda la terra; insieme, e solo insieme, possono dare vita alla creazione. Se il Femminile è la nostra capacità di introspezione e profondità, di accogliere, contenere, comprendere, ecco che il Maschile è quella parte di noi che ci consente di agire, determinare, andare nel mondo, dare una direzione, penetrare la realtà fendendola con i nostri significati e con il nostro valore. Solo nel mutuo e reciproco incontro si rende possibile il Processo Creativo, e con esso la reale crescita e trasformazione.

    In che modo il maschile e il femminile possono aiutarci?

    Il presupposto è che entrambi questi aspetti contengono aspetti di luce e di ombra; entrambi sono variegati, con diverse possibilità che per ciascuno di noi si “mixano” in modo del tutto soggettivo e personale. Alcuni aspetti possono essere molto noti, chiari, esperiti nella vita di tutti giorni, altri aspetti possono rimanere nascosti nell’ombra, sconosciuti, relegati nel mondo dell’inconscio. Sappiamo però che rimanere nell’inconscio non vuol dire rimanere inattivo, anzi, spesso ciò che abbiamo relegato nell’inconscio è proprio ciò che ci fa agire in modo apparentemente impulsivo e che a volte guida e domina le nostre azioni.

    E’ fondamentale quindi porsi delle domande:

    • i modelli di Femminile e Maschile che mi abitano, mi aiutano a crescere, a svilupparmi, a seguire i miei desideri autentici, mi permettono di essere chi realmente sono? 
    • riesco ad usare appieno il patrimonio di qualità che un buon Femminile e un buon Maschile mi possono donare? O rimango imprigionata/o in modelli e schemi limitanti e fuorvianti?

    Un Femminile “sano” ci regala una buona capacità di ricevere, stare in ascolto, fiducia nelle nostre intuizioni, una buona comprensione del nostro ritmo personale, un istintivo accordarsi ai ritmi della natura, una naturale predisposizione ad una visione ampia, che tesse connessioni e relazioni, la vicinanza ai misteri delle cose. Ci offre la possibilità di sapere intuitivamente quando è bene coltivare qualcosa, alimentarlo (una relazione, una situazione, un aspetto di noi, ecc.) e quando è bene lasciarlo andare, in modo fluido e in accordo con il naturale trasformarsi della vita. Ci fornisce la giusta quota di aggressività sana per difendere in modo corretto i nostri territori, psichici e fisici. Un Femminile integro è la chiave di accesso per l’ascolto dei nostri desideri più autentici.

    Un Maschile “sano”ci dona focalizzazione, capacità di scegliere un obiettivo e di stabilire i passi per raggiungerlo, determinazione, capacità di agire nel mondo e di concretizzare, un buon uso della parola e del pensiero logico. Un maschile “autentico” ci regala coraggio, disciplina, capacità di rimanere agganciati ai nostri obiettivi, chiarezza di visione, perseveranza.Un Maschile integro è la chiave di accesso alla realizzazione concreta dei nostri desideri più profondi.

    Solo l’incontro fecondo tra maschile e femminile genera crescita e successo

    Faccio un esempio semplice, forse riduttivo, ma efficace: pensiamo a quando in azienda nasce un’idea, un progetto: la persona e il team, nella prima fase, avranno bisogno di accedere alla forza del Femminile per ricevere e ascoltare: intuizioni, visioni, immagini. Verranno “cullate” all’interno del team, come la terra custodisce al buio il seme, ma poi interverrà l’energia Maschile, per apportare quelle quote di propulsione e direzione necessarie per concretizzare, dare una forma, portare nel mondo. 

    Senza energia maschile, le meravigliose visioni del team rimarrebbero solo idee, senza alcuna possibilità di manifestarsi nel mondo concreto.

    Senza energia femminile, il risultato sarebbe mera tecnica, senza contatto con il mondo interiore delle singole persone e del team. E il risultato si vede!

    L’incontro fecondo tra queste due parti consente che il potere creativo, la capacità di determinare e creare, possa svilupparsi e realizzarsi appieno, con vero successo.

    Il maschile viene in aiuto al femminile nella misura in cui ne valorizza l’energia intuitiva e ne tempera gli eccessi, raffinandolo come un diamante. Questo perché la contraddizione interna, il conflitto, la lotta fra opposti, se tollerati, attraversati e vissuti (non sbrigativamente liquidati!) producono ricchezza. Esiste una conciliazione possibile fra i contrari, come accade in una sinfonia in cui si alternano più voci, qui più forti e decise, là più delicate e struggenti. E la bellezza dell’opera si basa proprio sulla complessità, deve ad essa il suo fascino e la sua espressività.

    Femminile e maschile sono allora due forze che si rinforzano a vicenda e che concorrono allo sviluppo più pieno di una personalità. Lo stesso Jung parlava della psiche come di una combinazione di principi maschili e femminili: un’energia dominante che contiene allo stesso tempo anche quella opposta. https://www.energyogant.it/maschile-e-femminile-la-miglior-comprensione-per-trasformare-il-conflitto-in-azienda/

    “Essere dalla parte delle donne non significa sognare un mondo in cui i rapporti di dominio possano finalmente capovolgersi per far subire all’uomo ciò che la donna ha subito per secoli. Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia ‘indifferente’, non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa, ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana.”
    (Michela Marzano)

    Se sei interessato a questi argomenti contattaci. Possiamo presentarti i nostri progetti dedicati alle aziende: 

    • Maschile e Femminile in azienda: la prima D&I sei tu!
    • L’energia che ci muove: il maschile e il femminile che vibra in noi.
  • Il metodo

    Unione&Inclusione o Diversity&Inclusion: il team sublime ha scelto!

    Non avevo previsto la sera del 6 Ottobre 2022 (data in cui abbiamo organizzato a Milano l’evento “Il Team Sublime”) la possibilità di appassionarmi così tanto, al punto di scriverne a lungo in queste settimane, al concetto di team e agli infiniti campi di possibilità che abbiamo ogni giorno di rendere le nostre squadre e le nostre collaborazioni più virtuose.

    Se ti sei perso gli articoli precedenti:

    Concludo questo excursus sul team “sublime” con gli ultimi due ingredienti emersi, poche settimane prima di Natale, che simbolicamente, e spesso anche concretamente, è il momento in cui si alza la soglia della tolleranza e ci si apre più facilmente alla vulnerabilità, o perché si vive il Natale come un’opportunità per trasformare concretamente tensioni e relazioni o talaltra per fare buon gioco a cattiva sorte, almeno per quel giorno.

    Non entro nel merito della trattazione, ma mi soffermo solo pochi istanti sulla sensazione di “resa”, quando lascio andare, lascio emergere, e quel che emerge è quello che c’è.

    Sicuramente da quello “spazio” di consapevolezza, nell’osservare quello che c’è, posso sempre scegliere cosa fare e dove orientare al meglio la mia intenzione. Lo posso fare sempre.

    La bella notizia è che, in primis, siccome noi siamo sempre cambiamento, ogni volta che lasciamo andare ed accogliamo, ci sentiamo più leggeri e allentiamo la tensione, che spesso durante la vita quotidiana, personale e professionale, addirittura non sentiamo.

    Secondariamente posso permettermi di cambiare atteggiamento, credenze ecc.

    E questo è uno strumento meraviglioso e potente per rendere più virtuose le nostre relazioni.

    ·  Quanto il mio pensiero, le mie credenze, i miei pregiudizi inficiano l’opportunità che potrei darmi di essere “diverso” (magari anche migliore) e di accogliere il nuovo, il diverso?

    ·  Come posso accogliere, unire, includere gli altri se parto dalla convinzione che io sono quello che sono?

    ·  Quale tipo di pensiero predomina?

    Come trasformare un team in team “sublime”: gli ultimi 2 ingredienti Unione & Inclusione

    In prima analisi il concetto sembra semplice: l’unione vuol dire vicinanza (reale o virtuale) inclusione significa integrazione della diversità.

    Ma sappiamo bene che non è così!

    Uno dei percorsi che myHARA sviluppa, in merito all’energia maschile e femminile in azienda, si intitola: La prima Diversity&Inclusion sei tu!

    Comprendere (cum prendere= prendere con sé) cosa significa concretamente unione ed inclusione significa entrare in contatto inizialmente con il nostro modo di pensare.

    Ma quanti tipi di pensiero esistono?

    Ci avete mai pensato?

    Esiste il pensiero laterale, il pensiero razionale, il pensiero divergente, il pensiero immaginale, emotivo, critico ecc.

    Per quanto riguarda i concetti di unione ed inclusione li troviamo nel pensiero matematico e, in particolare nella teoria degli insiemi.

    Non mi soffermerò ad approfondire la teoria dei sistemi, in primis, perché nell’ultima prova di matematica, prima della maturità al liceo ho preso 4 e all’Università l’esame di statistica è l’unico che ho ripetuto 2 volte ma, in realtà vorrei sottolineare soltanto come proprio la mente matematica (oggi anche la fisica dei quanti e l’epigenetica, ecc) sia la più vicina alla comprensione e dimostrazione concreta che non tutto è misurabile.

    Nel modello di oggi, Il pensiero critico o razionale, su cui matematica e scienza si basano, è il livello più elevato che si possa raggiungere.  

    Quanta conoscenza e quanta accademia è prodotta nel mondo, opere ingegneristiche, si alzano grattacieli di mille piani…un’intelligenza cognitiva e tecnologica incredibile.

    Esiste anche un’intelligenza creativa…quanta arte viene prodotta!

    Un’intelligenza matematica… i premi nobel, le bombe atomiche, missili intercontinentali.

    Ma tutte queste intelligenze, tutte queste forme pensiero sono separate tra loro e non si coglie, non vede l’unità.

    Il pensiero razionale riflette, elabora, crea un’ipotesi e la verifica.

    La scienza è legata alla misurabilità e teorizza l’oggettività, ma non tutto è misurabile.

    Se davvero vogliamo parlare di unione & inclusione, dobbiamo andare oltre il pensiero critico.

    Cosa misuriamo di un team “sublime”? le performance, gli obiettivi raggiunti?

    Tutto ciò risponde per lo più ad un solo tipo di pensiero.

    Chi raggiunge l’obiettivo?

    Quali subpersonalità di noi? Il manager, l’uomo, la donna, il conformista, il leader, il gregario, il bambino ferito, la bambina ferita, ecc.

    Queste parti separate funzionano attraverso la mente razionale e il nostro pensiero critico, che è duale ed esclusivo.

    “La visione dell’uno è al di là del sapere, la conoscenza dell’uno si ottiene né per mezzo della scienza né per mezzo del pensiero ma per mezzo di una presenza che vale più della scienza”. Plotino

    Secondo Pier Luigi Lattuada, psicologo e psicoterapeuta, fondatore dell’Integral Transpersonal Thinking è necessario recuperare il concetto di integro/integrale che significa etimologicamente non toccato, cui nulla è stato tolto.

    In teoria, e “teoria” non significa capire, ma contemplare, uno sguardo integrale significa dare strumenti, mappe e metodi per permettere alla nostra mente razionale, al nostro pensiero critico di andare oltre e di accedere ad un pensiero consapevole.

    ·  Quanto riusciamo a considerare il nostro team come integro? nel senso etimologico del termine?

    ·  E’ più facile che il nostro team sia più conforme ad un modello che vige in azienda, per cui tutti i team sono simili?

    Nell’esperienza integrale se lasciamo agire il nostro Sé tendiamo verso l’unità.

    Il nostro pensiero critico, la nostra mente duale che separa e clusterizza, ci impedisce di andare verso la nostra unità. Solo andando “oltre” il pensiero critico possiamo fare esperienza del team come UNO e unico e quindi… “sublime”

    Anche il team, come la persona singola, è sempre esperienza ed ermeneutica (intesa come ciò che avviene attraverso l’esperienza)

    Dare valore ad un team integro, significa lasciare emergere le cose come sono e interagire con le altre unità. Non significa essere passivi e rassegnati. Tutt’altro, significa non omologare, non uniformare, ma osservare e riconoscere.

    Come l’essere integrale facilita unione&inclusione?

    Se partiamo da uno spazio di comprensione che i collaboratori sono molto di più di ciò che vediamo e che “utilizziamo” ai fini del business, l’esperienza integrale significa lasciar agire i singoli Sé e, in questo modo, tendere verso l’unità.

    Lasciare agire non significa anarchia e assenza di metodo, anzi significa “vedere” che quando il team si lascia fluire, tollera l’incertezza e incontra più facilmente quello che in psicologia viene definito insight e cioè creatività, essenzialità, intuizione ecc.

    E’ importante allora lavorare con i team per accedere ad pensiero consapevole che li renda “osservatori” dei propri pensieri e di come il team si muove all’interno del “campo” che si è creato.

    Il pensiero critico dominante sente, agisce, pensa ed è totalmente impegnato in questo srotolamento operativo costante, che finisce per sfibrare il team e renderlo privo di linfa vitale.

    Come facciamo a misurare il team “sublime”?

    Non lo possiamo misurare nella sua complessità, ma solo da un punto di vista parziale che è il pensiero critico razionale. E questo è già il primo passo di grande consapevolezza.

    Se lo riduco alla misurabilità, ho una visione limitata.

    Ciò che deve animare il team sublime è il whisfull thinking.

    Con il whisful abbandoni lo sforzo e ti apri alla “resa” e sogni, vivi l’eros inteso proprio come desiderio che si sprigiona e sgorga da dentro.

    Qual è il whisfull thinking del tuo team?

    Il whisfull thinking trascende ed include il pensiero critico, i dati, la misurabilità ma va oltre e crea un “campo” che non è la somma delle parti.

    La caratteristica fondamentale di un team sublime animato da un whisfull thinking è tollerare l’incertezza e fluire attingendo al proprio insight, liberi di sbagliare.

    Allora anche il processo, che spesso è vissuto come un appesantimento od ostacolo, in realtà prende il suo ruolo autentico in quanto processum è il participio passato di procedere ed è una cosa viva, che si muove.

    Lo stesso obiettivo è il mezzo e non il fine per raggiungere qualcosa.

    Solo grazie al nostro intento entriamo in contatto con la direzione. Nell’intento è importante che la mente attentiva riconosca la direzione. Ci vuole energia per disidentificarsi con l’ego e i ruoli ed entrare in contatto con l’unità prima di se stessi e poi del Team

    L’Integral Transpersonal Thinking di Pier Luigi Lattuada ci parla di 4 componenti del Pensiero consapevole(integrale):

    ·  L’io

    ·  Il mondo esterno

    ·  Il campo

    ·  Lo stato di coscienza

    Nel team sublime il campo prende il sopravvento rispetto al pensiero critico e di conseguenza unione& inclusione si armonizzano perché il “campo” che si crea, poiché allineato ed oltre il pensiero razionale, è più spontaneamente unione ed inclusione.

    Unione & Inclusione hanno come espressione armonia, gentilezza, compassione, presenza dei singoli, ecc. che sono in connessione con l’insight condiviso del team.

    ·  Come lo definiresti il “campo” che si crea nel tuo team?

    Per comprendere il campo è necessario conoscere il whishful thinking di ogni singolo collaboratore.

    ·  Quanto tempo dedichi ad “un’intervista approfondita” con i tuoi collaboratori?

    Suggerisco di prendere un quaderno e di scrivere, non registrare, una paginetta per ogni componente del tuo team con sogni, desideri, ambizioni, interessi, passioni personali.

    Verifica poi se ci sono degli elementi comuni, cherchiandoli tra di loro con la penna, ed estrapola i 3 che si ripetono più facilmente.

    A monte, deve essere stato formulato il whisful thinking del team nella sua interezza e che non può essere solo focalizzato sugli obiettivi di business.

    Una volta evidenti tutti questi elementi, il risultato non è la somma di ognuno ma molto di più, è il “campo” di quel team, ed è unico.

    Ora verificare se c’è armonia, unione ed inclusione di tutte le parti, pur nella loro diversità, avviene in maniera più fluida e soprattutto, riprendendo l’inizio di questo articolo, senza sforzo, ma accogliendo la “resa” e lasciando emergere ciò che c’è.

    Lo stato di coscienza del team è ciò a cui dobbiamo prestare cura, perché quello stato è integrale, comprende e trascende il pensiero duale.

    Da quello spazio sarà più potenziante e più vitale agire per il bene del team “sublime” .

    Spero che l’insieme di tutto quanto emerso dal 6 ottobre possa esserti d’aiuto o magari semplicemente darti qualche nuovo spunto di riflessione.

    Tuttavia, se sei interessato a potenziare i tuoi team e a renderli un team “sublime” puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile..

  • Il metodo

    DIRE FARE ABBRACCIARE: l’inclusione lavorativa è un abbraccio di vitalità e benessere

    Come può l’inclusione lavorativa essere considerata un abbraccio strategico? 

    Abbracciare è una parola “poliedrica” in azienda, che va dall’abbraccio fisico tra colleghi, alla pacca sulla spalla, all’accettazione ed accoglienza, sino all’inclusione e trasformazione.

    Abbracciare è una parola di ampio respiro.

    C’è un denominatore comune in tutte queste definizioni, abbracciare=apertura.

    Quindi, se mi apro respiro.

    Se non abbraccio, non mi apro, resto chiuso e non respiro.

    Se non respiro sto male e “muoio”.

    Se abbraccio poco, respiro male.

    Abbracciare quindi è un compito vitale per l’essere umano.

    L’ Inclusione lavorativa quindi ha a che fare con l’abbracciare  e significa:

    • accogliere
    • accettare
    • includere/integrare
    • amare
    • trasformare

    Accogliere racchiude tutte le sfumature dell’apertura all’altro. Dal latino: accolligere, derivato da colligere- raccogliere. A sua volta composto da co– insieme e lègere- raccogliere. Dunque accogliere significa “raccogliere insieme”, ricevere qualcuno o qualcosa, accettare, creare un legame.

    Accogliere vuol dire mettersi in gioco, che esprime una sfumatura maggiore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità.

    Accogliere è un atto di saggezza, nel senso di:

    • imparare che nella vita ci sono cose che non puoi controllare e che ti tocca invece imparare a gestire, dandogli un significato.

    Accogliere significa dunque aprire la porta a chi ti sta bussando, che si tratti di un ospite in casa o di un collega in ufficio. 

    Accogliere per fare entrare, per condividere un’esperienza, per creare scambio.  

    A volte è piacevole ed è molto semplice, altre invece ci chiediamo che senso abbia farlo… 

    Perché dovrei accettare e accogliere l’età che passa, una persona che non mi ispira o gli eventi imprevedibili che arrivano nella mia vita per esempio? 

    Perché fare la fatica di accogliere anche gli errori, i fallimenti o un ambiente che non mi aggrada?

    Talvolta accogliere significa ascoltare non solo ciò che vogliamo sentire, ma anche ciò che ci fa arrabbiare, che non condividiamo o che vorremmo zittire. 

    Per me accogliere è decisamente  più difficile dell’accettare. Significa aprirsi all’ipotesi che, forse, avevamo bisogno di quello che è accaduto per imparare qualcosa di nuovo. Personalmente  vorrei, a volte, imparare senza ripetizioni, buona la prima, invece di essere “ rimandata a settembre”.

    Tuttavia nell’inclusione lavorativa, con l’accezione che ci stiamo dando di accoglienza e accettazione, ci sono sempre 2 aspetti fondamentali:

    • Bellezza e Apprendimento. 

    La bellezza della scoperta, dell’incontro tra persone e culture diverse, l’arricchimento dello scambio, l’apprendimento di esperienze nuove.

    Inclusione lavorativa  significa avere il desiderio profondo di conoscere chi ci sta di fianco, che può essere che ci camminiamo a fianco da anni ma che in realtà non gli abbiamo mai stretto le mano. O non lo abbiamo mai abbracciato. Che siamo rimasti fermi alla prima impressione, o alla seconda, o all’immagine che avevamo di lui anni fa. Mentre fortunatamente evolviamo tutti, ogni giorno, e talvolta dobbiamo fermarci per riconoscerci di nuovo.

    Perché ci risulta così difficile l’inclusione lavorativa

    Quando mi trovo di fronte a questo dilemma, nel lavoro come nella vita, ringrazio il mio amore e la mia passione per lo yoga.

    Nella tradizione orientale Santhosa (= accoglienza, accettazione) è il secondo Nyama (disciplina) degli 8 principi dello yoga. Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e tosha, che significa “soddisfazione” o “accettazione”.

    Questa pratica è caratterizzata da un generale appagamento e contentezza per ciò che è così com’è. Santosha è strettamente legata all’equanimità, in quanto praticarla permette di accettare qualunque circostanza si presenti, inclusi piacere, dolore, successo o fallimento.

    L’Hatha Yoga Pradipika, uno dei testi più antichi della filosofia dei Veda, la descrive così: “Santosha significa appagamento in qualunque circostanza. Possiamo possedere molto o nulla, guadagnare o perdere ma in ogni caso dovremmo coltivare la consapevolezza di possedere più che abbastanza. La situazione opposta è l’insicurezza, che genera stanchezza e instabilità…”. Letteralmente può essere tradotto con “contentezza”: stato d’animo (e le relative dimostrazioni) di chi è molto soddisfatto o si rallegra di una situazione o di un fatto.

    Santhosa consiste nell’arte di sentirsi contenti e appagati, indipendentemente dalle condizioni esterne. 

    Come si fa?

    Non significa non provare mai tristezza, rabbia ecc. ma coltivare la capacità di vedere le cose per come sono, anche se non sono come vorremmo noi e coglierne l’aspetto positivo.

    La perdita del lavoro, le relazioni difficili, le difficoltà economiche rendono spesso arduo coltivare l’accettazione ma Santosha vuol dire anche sviluppare la speranza mantenendo un atteggiamento positivo verso il futuro: se adesso stiamo attraversando un periodo duro, non è detto che duri per sempre. 

    Sviluppare fiducia, equanimità, non farsi sopraffare dalle aspettative ma osservare ciò che la vita ci offre, vedere sempre la metà piena del bicchiere, non scoraggiarsi se le difficoltà perdurano, sono tutti aspetti che riguardano il Santosha.

    Spesso la non-accettazione nasce dalla paura, dal non sentirti all’altezza, pensare che non hai la forza o le capacità per superare una determinata situazione. 

    Nel Sutra 42 di Patanjieli troviamo questa bellissima definizione “il risultato dell’appagamento (santhosa) è la felicità totale”

    Dunque accogliere, in questa ottica, risponde ai nostri scettici perché. 

    Accogliere non equivale a subire passivamente gli eventi, ma diventa una scelta strategica: accolgo quello che ho davanti, perché solo accettandolo posso conoscerlo meglio. E quando conosco meglio qualcosa o qualcuno, le mie difese si abbassano e riesco anche ad essere più lucido e creativo, riesco a trovare nuovi spunti e soluzioni.

    Lavorare sull’inclusione lavorativa significa ispirare, innovare e creare

    Dovrei lasciare che le cose siano così come sono? 

    Dovrei rinunciare al cambiamento e rassegnarmi che tutto rimanga com’è?

    L’idea che l’accettazione sia rassegnazione è molto forte perchè tendiamo ad avere una visione cristallizzata delle posizioni emotive. Così se accettiamo rimaniamo fermi ad accettare per sempre, se rifiutiamo, rifiutiamo per tutta la vita. 

    L’idea che la posizione emotiva sia un passaggio di un processo che si sviluppa e muta sembra improbabile.

    Accettare è un passaggio emotivo in cui riconosciamo che qualcosa è avvenuto; qualcosa che è già avvenuto. Non abbiamo il potere di rifiutarlo perchè è già presente. Non lo cambieremo attraverso il rifiuto, che, spesso è proprio anche il rifiuto della sua esistenza. 

    Lo cambieremo attraverso il riconoscimento del fatto che c’è già nella nostra vita.

    Accettare = fare i conti con quello che è già avvenuto con tutto l’impatto che ha su di noi. 

    Non significa che dobbiamo mantenerlo con noi per sempre, né significa rassegnarsi alle sue conseguenze. 

    Se desideriamo che il cambiamento sia possibile, il punto di partenza fondamentale è accettare ciò che è già avvenuto, e focalizzarci sull’inclusione lavorativa con una visione aperta a tutto ciò che è.

    Altrimenti continueremo a combattere contro i mulini a vento, per negarlo. 

    La strada dell’accettazione è un percorso, non una meta, e inizia proprio dalla non-accettazione, dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla voglia di mandare tutto a quel paese.

    L’inclusione lavorativa è proprio  l’opposto dell’evitamento esperienziale, significa aprirsi all’esperienza di tutte le emozioni e i pensieri, senza cercare di combatterli o scacciarli a forza. 

    Quali sono le strategie automatiche che mettiamo in campo per “evitare di sentire”?

    Qual è stata l’ultima volta che ti sei accorto di compensare con qualcos’altro per non abbracciare l’emozione che stavi vivendo?

    D’altro canto, anche l’approccio occidentale di una terapia comportamentale di terza generazione mette al centro del percorso di inclusione e trasformazione lavorativa l’accettazione e l’impegno. Si tratta dellAcceptance and Commitment Therapy, conosciuta anche come ACT (pronunciata come una singola parola, in inglese “azione”). L’ACT è stata fondata da Steven C. Hayes, professore di Psicologia dell’Università del Nevada, negli Stati Uniti.

    L’Acceptance and Commitment Therapy, (ACT)  trae le sue origini dalla psicologia comportamentista ed è ispirata dalla psicologia buddhista.  L’ACT è una psicoterapia basata su evidenze sperimentali, che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento. 

    I processi fondamentali sono sei e sono interconnessi gli uni con gli altri.

    1. il contatto con il momento presente 
    2. la defusione
    3. l’accettazione
    4. il Sè come contesto
    5. i valori
    6. l’azione impegnata

    L’interazione di questi 6 processi determinano la flessibilità psicologica, che è la capacità di stare nel momento presente con piena consapevolezza e apertura alle esperienze interne ed esterne, e di intraprendere azioni orientate da ciò che per noi è realmente importante.

    1. “Essere in contatto con il momento presente” significa essere pienamente consapevoli di ciò che ci sta accadendo momento per momento. E’ molto difficile nella nostra quotidianità rimanere nel momento presente. Molto spesso veniamo infatti rapiti da preoccupazioni che ci portano a preoccuparci del futuro o a rimpiangere il passato.
    2. Per defusione si intende quella particolare capacità della mente, tipica degli stati di meditazione, di potersi osservare mentre sperimenta il suo stesso funzionamento. Defondeersi significa togliersi dalla fusione con quell’emozione, stato, situazione ecc., fare un “passo indietro” ed osservare i propri pensieri guardandoli per quello che sono.Significa prendere la distanza senza reprimere le emozioni che stiamo vivendo, ma riducendo così l’impatto che queste hanno sulla nostra vita. Riuscire a prendere questa distanza aiuta a gestire meglio pensieri ed emozioni e a migliorare lo stato psicologico generale della persona.
    3. Il processo cardine è anche per ACT Accettare Significa aprirsi e fare spazio a sentimenti, emozioni e sensazioni anche dolorose. Significa smettere di combattere le emozioni negative, smettere di non volerle sentire e lasciare che semplicemente si manifestino per quello che sono.Secondo l’ACT infatti la causa di gran parte della sofferenza psicologica che proviamo è legata al nostro tentativo di evitare di provarla.
    4. Il Sè come contesto detto anche il “sé che osserva” è quella parte di noi che osserva la nostra mente mentre questa è in azione. Mentre tutti abbiamo consapevolezza del sè che pensa (quello con cui ragioniamo, progettiamo, immaginiamo e ricordiamo), molta meno consapevolezza abbiamo di un’altra parte della nostra mente che è in grado di osservarci mentre ragioniamo, progettiamo, immaginiamo etc. E’ il sé come contesto, quella parte della nostra mente che osserva il suo stesso funzionamento.
    5. Valori chiarificazione dei valori personali. Ogni persona ha infatti i propri valori, ma spesso, soprattutto quanto siamo molto sofferenti, facciamo fatica a ricordarli o vivere in accordo con questi.Fare chiarezza sui valori personali e operare di conseguenza delle scelte orientate da questi è uno degli aspetti centrali del percorso.
    6. Action Plan un’azione decisa mirata verso una nuova  direzione maggiormente soddisfacente. 

    Cosa fare concretamente per allenarci a migliorare l’inclusione lavorativa?

    Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Da questa breve riflessione fatta possiamo considerare come tutto, da qualsiasi approccio ci si avvicini, tutto ci riporta all’importanza di lavorare su di Sè.

    Non possiamo parlare di inclusione lavorativa  considerandola come una strategia da acquisire dall’esterno. Utilizzare Santosha in pratica significa lavorare su 3  diversi livelli:

    • Intento: impegnati al massimo in qualsiasi tua azione, quindi accetta qualsiasi risultato ne derivi. Potremmo riassumere questo principio nella frase “fai del tuo meglio.”
    • Stato interiore: adotta una mentalità di appagamento supportata anche da altre virtù come la compassione, l’assenza di invidia e il non rubare.
    • Espressione: la manifestazione esteriore di santosha è la serenità e la totale soddisfazione, senza desideri superflui.

    Uno dei modi per “fare spazio” e accettare pensieri e emozioni è attraverso la pratica della mindfulness.

    La mindfulness, pratica meditativa nata in oriente più di 2000 anni fa, consente infatti di sviluppare un atteggiamento curioso e non giudicante verso i propri contenuti mentali.

    l’accettazione  è un atteggiamento che va sviluppato e va scoperto; significa imparare ad accogliere quello che viviamo, con atteggiamento proattivo e aperto. Anche di fronte a momenti difficili della vita. La pratica della mindfulness può aiutarci in questo, a sviluppare un atteggiamento più aperto, per riconnettersi con se stessi e favorire un maggiore slancio nel cammino della vita.” Dott. Maffini, psicologo e psicoterapeuta

     “Non c’è colpa più grande che assecondare i desideri. Non c’è sventura più grande che non sapersi accontentare. Non c’è difetto più grande della sete di guadagno. Perché chi sa che abbastanza è abbastanza ha sempre a sufficienza.”

    Lao Tse

    Ascolta ora questa meditazione direttamente dalla voce di Simona e prova a seguirla e praticarla fino alla fine:

    Meditazione del fiume

    ​​

     Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    . Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    . IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    Da team a “team sublime” c’è di mezzo…l’armonia consapevole

    Dopo complementarietà e rispetto è il momento di introdurre il terzo ingrediente del team sublime: l’armonia consapevole.  Se ti sei perso gli articoli precedenti li puoi trovare qui:

    Mi sono sentita attratta e, nello stesso tempo, in soggezione all’idea di riflettere su un concetto elevatissimo, per non dire davvero “sublime”, peraltro strettamente correlato alla bellezza.

    Da quale prospettiva scrivere di armonia nel business? Chi sono io e, soprattutto, quanta consapevolezza c’è tra le persone in azienda, sul significato autentico di armonia.

    La parola “armonia” deriva dal greco,la radice ar- indica unione, disposizione, proporzione, derivante, da armozein connettere, collegare.

    Non è solo una concordia emozionale ed intima; non solo un’unità di intenti, un’alleanza; non solo una proporzione raffinata, una disposizione accurata, l’armonia è l’incastro perfetto di travi che assembla uno scafo completo, uno scafo che ha un fine: muoversi in mare.

    Inoltre  la parola “armonia” ci richiama inevitabilmente alla musica.

    Pitagorici e lo stesso Pitagora definivano il mondo come ‘quadruplice armonia’: armonia degli archi e della corda, del corpo e dell’anima, dello stato, del cielo stellato.

    L’armonia del mondo era intesa come armonia musicale. Il pensiero greco individua nell’armonia la discordia, legge in essa una ‘sinfonia’ di elementi contrastanti.

    (Vi invito ad ascoltare questi brani durante la lettura di questo articolo per sperimentare l’armonia.

    Filolao, filosofo, astronomo e matematico greco antico, afferma «l’armonia si genera dai contrasti, infatti l’armonia è fusione del molteplice e concordia del discorde».

    Damone, matematico e politico pitagorico del V secolo, indicava nella musica il pilastro principale dello Stato e riteneva che questa contribuisse alla formazione dello spirito trasmettendo la nozione della virtù e della stabilità politica. 

    Platone mette in relazione la musica con la vita della comunità, affermando che la musica è la salvezza della polis.

    Archita, pitagorico tarantino del IV secolo, individuò l’essenza dell’anima individuale e dell’anima del mondo nei toni musicali e fissò le leggi fisiche su cui si fondava quest’arte;

    Basandosi sugli studi di Archita, Platone mostra come

    • il concetto musicale dell’armonia del mondo
    • il concetto fisico della regolarità del cosmo,
    • il concetto religioso dell’esistenza di un’anima del mondo 

    siano fusi insieme: poiché l’anima è la causa della vita, la quale si manifesta con movimenti regolari e ordinati tutti tesi ad un fine particolare, l’anima del mondo costituisce il principio del movimento ordinato dell’Universo ed è garante dell’ordine dei cieli, della perfezione fisica e astronomica dell’universo, della bellezza del creato. 

    Armonia consapevole quindi come diversità che però mantiene i collegamenti tra le parti.

    L’essenza della diversity and inclusion è l’armonia consapevole

    Quanto siamo vicini o lontani da questa armonia?

    Durante il nostro focus group una partecipante ha condiviso come, nel suo team ha scelto consapevolmente di trascorrere del tempo, fuori dai tempi lavorativi regolari, con una nuova manager “straniera” affidatale, che non parlava italiano e che era a Milano da poco tempo. Per poterla conoscere meglio, dato il poco tempo sempre a disposizione, ha scelto di portarla con sé per qualche giorno, durante un viaggio di lavoro, anche se lei non era propriamente “necessaria”, di uscire più volte a cena con lei, di ascoltare la sua storia, di “entrare nella sua vita” in punta di piedi e scoprire le sue passioni e i suoi desideri. 

    Il risultato è avere oggi nel team una donna motivata, di contributo, che con la sua cultura e mentalità così differente porta stimoli e ricchezza nel team. 

    Esercizio:

    Puoi fare qualcosa di simile nel tuo team? Quale collega potresti conoscere meglio facendogli un’intervista approfondita, dove ti impegni ad ascoltare tutto ciò che lo riguarda fuori dall’ambito lavorativo?

    L’ascolto non basta per creare armonia consapevole

    Il valore dell’ascolto però va oltre le parole: non c’è un vero ascolto se quello che abbiamo detto o ascoltato, non suscita anche un movimento interiore.  Non ci basta essere ascoltati, desideriamo anche venire sentiti.

    Ripensando all’armonia musicale nel team sublime è necessario che ogni strumento coinvolto segua una serie di regole che gli consentono di abbandonare la sua linea di produzione individuale, spostandola su un pentagramma condiviso. È questo il processo che permette la realizzazione di quel prodotto piacevole e coinvolgente per l’orecchio, che un semplice accostamento di suoni non può offrire. 

    Spesso, all’interno di un team aziendale manca quel concetto di armonia consapevole che serve a distogliere l’attenzione dalle prestazioni individuali, spostandola all’attività collaborativa. Lavorare insieme in maniera armoniosa, infatti, significa mettere in moto un meccanismo in cui l’ordine e il rapporto tra le parti è perfettamente in equilibrio.

    Nell’armonia musicale, il movimento dei suoni è indirizzato da regole, che fanno in modo che ogni nota segua la giusta direzione, producendo la sonorità corretta. 

    In un team, la direzione strategica spinge i singoli individui, con i propri talenti, a muoversi nella giusta direzione, facendo in modo che ogni singolo lavoro venga concatenato a un altro, dando un senso compiuto nella lettura d’insieme. 

    Diventano tanti i fattori che concorrono a creare armonia consapevole. Sicuramente ci sono 2 piani distinti: l’armonia dell’individuo e l’armonia del gruppo e l’azienda oggi non può prescindere da entrambi. Ma quando si crea armonia nel gruppo, il gruppo è più intelligente di ciascuno dei suoi membri. E l’armonia diventa contagiosa.

    D’altro canto quando andiamo a misurare l’armonia al nostro interno, spingendoci nella penombra dei nostri stati d’animo, scopriamo quanto una vita armonica corrisponda, in larga misura, a una vita felice.

    Joachim Retzbach, in proposito, mette in fila quattro elementi che portano a un’esistenza felice: 

    1. pensare che ciò che facciamo non sia irrilevante, 
    2. sentire di avere un posto nel mondo, 
    3. conoscere i nostri obiettivi 
    4. perseguirli con coerenza.

    “Le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia che è compito dell’uomo scoprire per il bene dell’uomo stesso e la gloria del Creatore.” Mendel

    Ma quindi che cos’è l’armonia cosapevole?

    Ti propongo una storia che sono certa ci aiuti a comprendere:

    “C’era una volta un re che offrì un gran premio a quell’artista che avesse saputo captare in una pittura la pace e l’armonia perfetta. Molti artisti lo tentarono. Il re osservò ed ammirò tutte le pitture, ma solamente due gli piacquero realmente e fra quelle dovette scegliere.
    La prima era un lago molto tranquillo: uno specchio perfetto nel quale si riflettevano alcune montagne che lo circondavano. Su questi, un cielo molto azzurro con tenui nuvole bianche.
    Tutte le persone che guardarono la prima pittura pensarono che rappresentasse l’armonia perfetta. La seconda pittura invece rappresentava montagne, ma queste erano scabrose e prive di vegetazione. Su di esse, un cielo tempestoso dal quale cadeva un impetuoso acquazzone con lampi e tuoni.
    Sotto la montagna sembrava di udire rimbombare l’acqua di uno spumeggiante torrente. Niente di pacifico in tutto ciò.
    Ma quando il Re osservò accuratamente, si accorse che dietro la cascata c’era un delicato arbusto cresciuto in un anfratto della roccia.
    In questo arbusto si scorgeva un nido.
    Lì, in mezzo allo scroscio della violenta cascata, era posato placidamente un uccellino dentro al suo nido. Il Re non ebbe più esitazioni e scelse questa pittura e spiegò:

    “Armonia non significa un luogo senza rumori, senza problemi, senza duro lavoro o senza dolore.
    Armonia significa che, nonostante ci si trovi in mezzo a tutte queste realtà, esiste calma e serenità dentro il nostro cuore. “
    Questo è il significato dell’Armonia e ne abbiamo un bisogno profondo.
    L ’Armonia è comunque uno degli ingredienti  principali, alla base del nostro vivere ed essa non dipende dall’esterno, bensì da quello che portiamo nell’intimo, nel profondo del nostro essere.
    Ogni giorno ci sono ostacoli, situazioni dinamicamente intense, problemi e difficoltà da affrontare e risolvere e spesso ci si lascia assalire dall’ansia, dalla pesantezza del momento e ci si carica più del dovuto di ulteriori  pensieri, che sicuramente non aiutano a sciogliere la matassa, già intricata di suo.

    Pensare quindi di riuscire ad adempiere alle stesse cose, con maggiore calma e serenità, ad alcune persone sembra impossibile, non solo: diventa fonte di ulteriori complicazioni interiori, perché la sola idea fa scattare un senso di impotenza, di inadeguatezza.
    Al contrario riuscire a farlo è molto più semplice di quanto si possa credere: si può conservare serenità e armonia consapevole, per poter risolvere tutto senza cadere nella disperazione, né colpire gli altri con l’impazienza o con l’ira, senza esaltarsi o deprimersi, trovando soluzioni attraverso una riflessione accurata: senza ingrandire né minimizzare i problemi.
    Il primo passo per invitarla a far parte della nostra vita è sicuramente  il “vivere nel qui e ora”.

    Esercizio: Visualizzazione della montagna:

    “Trasformandoci in una montagna, nella nostra meditazione, possiamo penetrare nella sua forza e stabilità e farle nostre, usando le sue energie a sostegno dei nostri sforzi, intesi ad affrontare ogni momento con consapevolezza, equanimità, armonia e chiarezza“. Jhon Kabat Zinn

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

  • Il metodo

    L’energia dei numeri UNO

    Percorso “Energia dei numeri uno” #1

    Come anticipatoti nella scorsa NL, in questi mesi myHARA ti proporrà un viaggio per entrare in contatto con la tua UNICITA’, osservarla, riconoscerla, esprimerla, mettendola a servizio di qualcosa di più grande, che è il TUTTO a cui appartieni e da cui non puoi prescindere.

    Come abbiamo vissuto e concepito sinora il modello aziendale, pur avendoci dato dei risultati, ha funzionato parzialmente. E’ il tempo di una vera e nuova modalità di essere e vivere l’azienda.

    Ecco perché crediamo che questi mesi siano un buon momento per approfondire alcuni strumenti atti ad allenare 3 deep skills fondamentali per affrontare e crescere nel cambiamento.

    3 “deep” skills irrinunciabili per la RI-NASCITA di questi mesi

    GENERATIVITA’ – LEADERSHIP TEAMWORKING

    Ri-Nascere implica essere generato, venire alla luce una seconda volta, implica un ripensamento e, come viene definito oggi, un “new normal”: tutto ciò che è nuovo implica una generatività.

    Generatività intesa come “dare vita”.

    Dare vita implica creatività, progettualità, inclusione, energia ed anche entusiasmo, motivazione, stupore, eccitazione.

    Dare vita ad un progetto, ad un gruppo, ad un processo, ad un obiettivo…

    Il “dare vita” implica necessariamente attingere o entrare in contatto con una parte di noi che comprende tutte le caratteristiche dell’intuizione, riflessione, accoglimento, prendersi cura, nutrire, scoprirsi in una nuova normalità, essere un po’ “madre”, nel senso dell’energia e non del gender.

    Come ti senti pensandoti un generatore creativo di business nello scenario futuro aziendale?

    Il World Economic Forum (WEF) del 2020 ci riporta le 10 skills più richieste per essere un buon manager in azienda

    1. Problem solving
    2. Pensiero critico
    3. Creatività
    4. Gestione delle persone
    5. Coordinarsi con gli altri. Teamworking
    6. Intelligenza emotiva
    7. Capacità di giudizio e di prendere decisioni
    8. Orientamento al servizio
    9. Negoziazione
    10. Flessibilità cognitiva

    E’ necessario rileggere queste skills alla luce del momento preciso di “new normal” che stiamo vivendo.

    C’è chi dice che siamo in una quarta rivoluzione, in qualsiasi modo la vogliamo definire, siamo comunque in una rivoluzione generativa e la miglior parte di noi, in grado di generare, è la nostra energia femminile, al di là del nostro gender.

    Ecco che, ancora oggi portare in azienda temi relativi al “balance” tra la propria personale energia maschile e femminile, in una consapevolezza armonica ed integrata di un UNO (UNICUM) , ai fini di poter ripensare il proprio modo di essere azienda propositivo e generativo, è ancora una sfida impegnativa, ma ineluttabile.

    La prima legge di Diversity & Inclusion aziendale è proprio questa: includere tutte le parti di noi, che ci caratterizzano e che ci rendono unici,riconoscendo e valorizzando le diversità personali, come ricchezza e nutrimento.

    Ecco allora che rileggere le 10 skills, di cui sopra, esplorando e verificando quale energia personale per lo più richiamano in noi, potrebbe essere un nuovo modo di ripensare a se stessi, ai collaboratori, ai team.

    Come posso essere un manager, un leader generativo di idee, strategie, ecc. se non accolgo e  riconosco tutte le mie risorse personali, le mie diversità?

    Questo è il punto di partenza per entrare nel cambiamento ed essere un nuovo generatore di business.

    Un business che attivi il senso di quello che faccio, ma soprattutto di come lo faccio per poter essere di ispirazione e guida.

    Il come lo faccio può rispondere solo ad una legge: quella dell’inclusione.

    L’inclusione di tutte le parti di me, corpo fisico, corpo mentale, corpo emozionale e corpo spirituale.

    Solo quando il COME lo faccio è connesso a CHI sono, i miei risultati saranno di successo.

    E la digitalizzazione, lo smart working, l’IA, gli analytics, virtual customer engagement ci devono servire per cambiare il paradigma del nostro essere, portandoci sempre più verso un’umanizzazione digitale.

    La tecnologia a servizio dell’uomo.

    Siamo di fronte ad un tempo di grande FECONDITA’ che ci permette di lavorare per la nostra felicità (etimologicamente dal latino felix = fecondo) e il nostro benessere.

    Come possiamo ispirare, coinvolgere gli altri, creare team working, se non entriamo in contatto con la nostra generatività?

    Anche il team working va ripensato in termini di generatività aziendale.

    Abbiamo visto che, secondo il WEF, la capacità di lavorare in gruppo, costruendo un sistema basato sul team working è una delle skills più richieste dalle aziende, soprattutto in questo momento di forti cambiamenti e distanziamenti.

    Per questo le posizioni di leadership si distinguono, e si distingueranno sempre più, in base alla capacità di offrire ispirazione e strumenti che permettano al Team una maggiore efficacia nella comunicazione interna, rispetto delle scadenze e raggiungimento di risultati ad alte prestazioni, indipendentemente dal luogo e dallo spazio d’azione.

    La corretta condivisione della visione comune, la sincronia nel perseguire gli obiettivi, l’impiego corretto delle energie personali e del gruppo, l’abilità di sostenere e indirizzare la propria creatività, l’accettare l’errore come correzione sono sempre più necessarie per trovare un nuovo equilibrio interno al Team.

    La leadership evoluta si sposta da una precedente visione up down ad una espressione più cross, trasversale e per fare questo passaggio è indispensabile attingere alle nostre risorse interne, autentiche.

    TEAM WORKING in REMOTE WORKING

    Non si tratta di ripartire!

    Il cambiamento repentino delle abitudini lavorative, lo smart working, la necessità di rielaborazione dei processi di comunicazione e collaborazione hanno creato uno scenario nuovo, e ancora in evoluzione, che impone una rilettura da parte di tutti noi del concetto di team working.

    Il ruolo di ognuno di noi diventa primario, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, dalla tipologia di settore o dalla numerosità del gruppo.

    Siamo tutti chiamati ad una sfida che va oltre l’aspetto lavorativo e che, forse per la prima volta, ci coinvolge come leader di noi stessi assegnandoci il compito di ricercare e potenziare il nostro valore, sviluppando e riconoscendo l’AUTONOMIA come abilità fondamentale.

    Nella nuova vita di teamworking digitale, diventiamo sempre più imprenditori di noi stessi, al di là del ruolo che ricopriamo.

    Come ci sentiamo rispetto al ripensarci come liberi ed autonomi nel COME, ma respons-abili e disciplinati sul COSA ?

    La scoperta e l’affermazione dell’importanza dell’energia personale, il sostegno delle nostre capacità e il superamento dei vincoli mentali legati a “vecchi” schemi, sono percorsi necessari che ci offrono l’opportunità di trasformare le criticità del momento in grandi possibilità, per noi e per la nostra Azienda più in generale.

    Come ri-nascere?

    ENERGIA PERSONALE e BENESSERE ORGANIZZATIVO

    Avere a disposizione gli strumenti per lavorare su sé stessi diventa quindi necessario e utile all’Azienda, come al singolo individuo che ne fa parte.

    Ri-conoscere le proprie potenzialità, gestire i momenti di forza come quelli di debolezza, avere l’energia giusta per sostenere la propria motivazione quotidiana, il proprio benessere organizzativo significa anche sostenere il lavoro del gruppo.

    La saluta mentale e personale si riflette così sul benessere organizzativo, produttivo e sociale.

    La nostra unicità diventa parte fondamentale e integrante di un sistema allargato che può essere migliorato e rinforzato ad ogni passo.

    Ma ora, proprio in questo momento, nella vita reale come si alimenta l’energia personale?

    RICARICHIAMOCI ADESSO

    Il modo migliore è quello di lavorare a più livelli, fisico, piscologico, ed emotivo.

    In passato la persona poteva essere in un’espressione di sé dicotomizzata tra la vita lavorativa e quella personale.

    Al lavoro essere e rendere in un modo, fuori dal lavoro dedicarsi a tutte le proprie passioni con vitalità ed entusiasmo.

    Come se la dualità fosse considerata normale!

    Oggi, per questa rivoluzione radicale, che rende più sottile i confini tra vita privata e vita lavorativa, contaminandoli entrambi, siamo chiamati a ripensarci come un UNICUM che si trasforma, che vive il cambiamento e che necessita di risorse nuove che integrino tutte i nostri livelli.

    Imparare a gestire la propria energia personale proprio come la riserva…se vivi sempre in riserva ad un certo punto, la macchina si spegne.

    Siamo abituati a ricaricare il nostro computer, il nostro telefono ogni sera ma … come ci ricarichiamo noi ogni giorno?

    E’ la nostra energia personale rinnovabile e sostenibile?

    L’energia è un soffio vitale, è quella parte più essenziale, più “sottile” del nostro respiro.

    Sei consapevole del tuo respiro ogni giorno?

    Quando ti accorgi del tuo respiro?

    Eppure possiamo non mangiare e non bere per giorni, ma non possiamo non respirare.

    Come sappiamo il respiro è un atto involontario, ma ha la potente e trasformativa caratteristica di essere anche volontario. In tal caso, è sorprendente il risultato che si ottiene in termini di miglioramento della propria efficienza, chiarezza mentale, intuizione e azione.

    ESERCIZIO

    Ti propongo un semplice esercizio, ma estremamente efficace, adatto a tutti e senza controindicazioni:

    ogni volta che ti senti stanco, stressato e “prosciugato” chiudi gli occhi, siediti con la schiena dritta staccata dallo schienale della sedia e, semplicemente, inizia a porre attenzione al tuo respiro, all’ aria che entra ed esce dalle narici, osservane la diversa temperatura e porta la tua mano destra sul petto e la sinistra sull’addome.

    Inizia a respirare dall’addome sollevando e abbassando la mano sulla pancia.

    Fai un inspiro in 4 tempi, lento, ampio e profondo ed un espiro in 8 tempi, ancora più lento e profondo dell’inspiro.

    Ripeti per almeno 3 volte.

    Poi ricomincia la tua attività da dove eri rimasto.

    Nelle prossime settimane ci addentreremo specificatamente su questi temi:

    IL PROGRAMMA “L’ENERGIA DEI NUMERI UNO”

    LUGLIO – 2 appuntamenti

    La base di ogni inizio: la capacità di sostenersi

    AGOSTO – 4 appuntamenti

    Guardare l’orizzonte, con leggerezza

    SETTEMBRE – 4 appuntamenti

    Avanzare, agendo con metodo

    Energyogant è un metodo, concreto e misurabile, che si occupa di migliorare e sostenere la gestione dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    Il metodo prevede un test autovalutativo sottoposto in 3 momenti differenti + un lavoro focalizzato sui 3 corpi fondamentali della persona:

    corpo fisico (Asana Dinamyc e Nutrition Efficiency) – corpo emozionale (Pranayama Focus e Nutrition Efficiency) corpo mentale (Thinking Growth).

    Un metodo strutturato e preciso per attingere a risorse innate e spesso inconsapevoli della persona per migliorare anche i suoi risultati in azienda, esprimendo al meglio la propria energia personale nella sua unicità ed armonia.

  • Il metodo

    Coaching aziendale? Sì, solo se ti libera

    Cosa sta succedendo al Coaching aziendale ?

    La premessa è che la FORMAZIONE dura tutta la vita: personalmente metto la crescita personale e spirituale come tra i valori più importanti della mia vita.

    Wikipedia ci dice: “il significato base deriva da formare da cui dare una forma. Di conseguenza la formazione intesa come contributo e stimolo alla crescita della persona, della professione dei team, delle organizzazioni di lavoro profit e non, persegue lo sviluppo delle competenze secondo metodi comprovati ed efficaci”

    Proprio perché siamo sempre in un percorso evolutivo e mai statici, la forma e l’azione cambiano e si trasformano continuamente e potrebbero accompagnarci costantemente.

    Il Coaching Aziendale è un processo dove coach e coachee sono alla pari, il coach è l’ ”esperto” di un metodo, il coachee è l’ ”esperto” della propria storia professionale. Il Coach aiuta il coachee ad individuare ambiti di potenziale crescita e aiuta a definire un programma finalizzato al raggiungimento di obiettivi personali e/o professionali.

    I più recenti studi della Harvard Business School sostengono ormai che i criteri di formazione e Coaching utilizzati in questi anni sono da riconsiderare.

    Le recenti acquisizioni delle neuroscienze rispetto alle modalità di ricezione dei messaggi da parte del cervello umano, porteranno inevitabilmente ad uno sconvolgimento delle modalità di coaching aziendale. Grazie alle neuro scienze sono infatti stati verificati i cambiamenti nel cervello delle persone sottoposte a due diverse modalità formative:

    La prima tradizionale e la seconda basata al contrario sull’espressione, per non dire “liberazione”, del talento esistente.

    Quella tradizionale attiva il sistema nervoso simpatico, quello della minaccia e del combattimento, inadatto all’apprendimento,in quanto nato per le emergenze.

    L’altro sistema attiva invece il parasimpatico, capace al contrario di attivare neurogenesi, apertura cognitiva emotiva e percettiva.

    Se questa è la direzione non si può pensare alle hard e alle soft skills come due entità separate.

    Si daranno per necessarie e basilari le hard skills, ma l’eccellenza e la differenza emergeranno proprio grazie allo sviluppo e all’integrazione delle soft skills.

    In altre parole, sempre più le soft skills non sono opzionali, non esiste separazione.

    Nel coaching aziendale tutti vogliono contenuto. Ma di che contenuto si tratta?

    C’è oggi un’invasione di contenuti sui social, ma come si fa a dare contenuti se, per prima cosa, non hai questi contenuti dentro di te, nel tuo cuore? Si, anche se sei in azienda e devi fare business, ci devi mettere il cuore.

    E per avere contenuti oggi, capaci di trasmettere interesse e attenzione attraverso il coaching azendale, devi essere davvero un ricercatore della verità, e non essere animato unicamente dalla volontà di vendere e dalla volontà di profitto.

    Oggi c’è una coscienza emergente che si sta svegliando e ha capito che la società, basata solo sui consumi e sul profitto, non può reggere ancora a lungo, perché è un’economia predatoria, che induce nelle persone bisogni illusori.

    La buona notizia è che anche la consapevolezza di molte aziende sta cambiando! Altre stanno ancora seguendo vecchi schemi…

    Siamo invasi da Coach (e mi inserisco nella pletora), corsi di Coaching e Coaching aziendale , corsi on line di public speaking, webinar di trenta minuti su temi complessi, pillole di video di tre minuti pensati e proposti per sostituire le giornate in aula, ecc.

    Anche la formazione e il Coaching aziendale, di fatto, contengono  tutte le caratteristiche della nostra epoca: digital, social, wiki, internettiana, mordi e fuggi, tutto subito, ecc.

    Avete mai visto un allenatore allenare la sua squadra via web?

    Come è possibile sviluppare la capacità di parlare in pubblico guardando un video?

    Puo’ un’insegnante di nuoto insegnare a nuotare con uno schema che ti insegna in aula alla lavagna ?

    Si puo’ davvero trasmettere uno stato di mindfulness in azienda, attraverso un webinar  che magari il collaboratore ascolta con le cuffie in treno o la sera in macchina mentre guida ?

    Costi e benefici sono alla base delle scelte aziendali, ma spesso non sappiamo più con chiarezza cosa ci stiamo perdendo.

    Stiamo perdendo la RELAZIONE ed il CON-TE-STO:

    Oggi si parla di gestione di diversity and inclusion, agilità, creatività e talento, relazioni efficaci, comunicazione in azienda, leadership, ecc.

    Come posso pensare di fare Coaching aziendale pensando di sviluppare questi temi senza la relazione umana e il con-te-sto?

    Spesso durante i seminari cito questa affermazione “il contesto è più forte della volontà”. Ne feci esperienza molti anni fa, proprio durante un’Academy di formazione di Coaching aziendale e da allora ne sono sempre stata una sostenitrice convinta.

    Spesso dove la motivazione è bassa, il con-te-sto sostiene, stimola e rafforza.

    Addirittura può “liberare” risorse latenti.

    Uno dei grandi temi attuali, per le risorse umane, è l’umanesimo digitale. Comprendere come armonizzare, attraverso il Coaching aziendale, le esigenze dell’uomo con le trasformazioni tecnologiche, sociali e culturali in atto.

    Ma come far passare il concetto della tecnologia a servizio dell’uomo e non il contrario, se metto al centro la tecnologia e rendo l’uomo schiavo di essa, snaturandolo di socialità e relazioni?

    Il coaching aziendale deve “LIBERARE”:

    Altri grandi temi sono la complessità, la velocità e l’agile…ovvero bisogna essere sempre più capaci di rispondere alle circostanze in modo rapido e impeccabile.

    Il Coaching ci deve “liberare”: spogliare per semplificare, alleggerirci nel riconoscere schemi e convinzioni limitanti per renderci più “leggeri” (da non confondersi leggerezza con superficialità) per permetterci di entrare in contatto con le nostre risorse interne, funzionali alla nostra evoluzione e che ci permettono davvero di esprimere talento, creatività e innovazione.

    Per far ciò abbiamo bisogno di tutta la nostra lucidità e consapevolezza.

    Ogni azienda si trova oggi ad affrontare una logica di mercato differente da quella del passato, che era “frontale”: le aziende si rivolgevano al target di riferimento con una modalità relazionale “a senso unico”, oggi la configurazione degli scambi vede intrecciarsi una infinità di attori con logiche economiche e di interazione completamente diverse, dove la customizzazione e la customer experience diversificata sono all’ordine del giorno.

    Ma tale complessità, se caricata di altrettanta complessità di proposte di Coaching aziendale ci satura, perdiamo lucidità e chiarezza. E in questo modo, ci allontaniamo sempre più da chi siamo e cosa vogliamo.

    Troppe informazioni possono uccidere una persona:

    Non importa quanto utili possano essere, ogni essere umano ha un punto di rottura (break even), un limite fisiologico oltre il quale non è possibile immagazzinare dati. Oltre quel limite arriva il born-out e/o l’apatia.

    Quali sono i nostri Big Data personali che diventano i nostri drivers fondamentali nelle scelte e nelle decisioni ?

    Prendere una pausa dai contenuti che ci circondano:

    Fermarsi per fare il punto della situazione: pensiamo di avere raccolto troppe informazioni e abbiamo la necessità di mettere ordine alle idee. Questa sensazione arriva per un semplice motivo: non stiamo mettendo in pratica ciò che abbiamo appreso. Siamo sommersi da contenuti e ci sembra che sfugga qualcosa. Succede perché rischiamo di apprendere molto senza applicare niente.

    Esercizio fondamentale per integrare ed armonizzare i contenuti appresi:

    • Prenditi un tempo di silenzio, di osservazione e di ascolto e… non fare nulla. Il “non fare” significa “ozio creativo”. Il “non fare” ha a che fare con il “creare spazio”.
    • Può bastare anche mezza giornata, ma non fare davvero nulla. Mettiti semplicemente in osservazione: siediti su una panchina all’aperto e all’inizio osserva i passanti, osserva i dettagli intorno, senti l’aria, odori e profumi. Osserva tutti i pensieri che arrivano, ma non attaccarti a nessuno di loro. Lasciali scorrere come nuvole nel cielo, dove tu sei il cielo azzurro e i pensieri sono le nuvole. Le nuvole si spostano, scorrono, cambiano forma ma il cielo resta sopra le nuvole, le contiene ma è ben altro dalle nuvole stesse.
    • Lo stesso cerca di fare con i tuoi pensieri. Noi non siamo i nostri pensieri. Siamo anche i nostri pensieri. Ma siamo ben oltre i nostri pensieri.
    • Osserva il tuo respiro: osserva il ritmo del tuo respiro. Rendilo più calmo, lento e profondo.
    • Osserva tutte le resistenze che si creano stando lì seduto a far nulla, sapendo che hai moltissime cose da fare.  Non giudicarti. Esercitati ad essere spettatore dei tuoi pensieri.
    • E’ proprio questo il primo passo per contattare lucidità e chiarezza. Fare lo switch tra essere e fare.
    • E’ nell’essere, nello stare, che riusciamo a fare spazio per fare entrare qualcosa di nuovo.
    • Solo alla fine, prendi carta e penna e scrivi di pancia pensieri, intuizioni se ti sono arrivate.
    • E se non ti è arrivato nulla, semplicemente osservalo. Non c’è un giusto e uno sbagliato.
    • Non c’è fallimento senza apprendimento.

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