Loading
  • Il metodo

    Trasform-azione vera: il Fare e l’intelligenza creativa in azienda

    intelligenza-creativa-myhara

    Come e perché addormentiamo la nostra intelligenza creativa in  azienda?

    L’intelligenza creativa in azienda è sicuramente un aspetto del pensiero, ma non solo.

    Proviamo a pensare al nostro lavoro, alla nostra giornata e normale ruotine quotidiana… sapete che possiamo identificare azioni, gesti, atteggiamenti e forme di pensiero creativo in tutte le nostre mansioni? 

    Quando? 

    Ogni qualvolta quello che agiamo esula dal consueto e dall’ordinario, magari associando elementi prima non connessi tra loro e trovando soluzioni innovative e non ovvie.

    L’intelligenza creativa appartiene a tutti

    Facciamo alcuni esempi: un insegnante quando, per trasmettere in modo efficace i concetti ai propri alunni inventa modalità nuove e originali, mantenendosi allineato al programma ma non alla didattica tradizionale, oppure uno store manager che, per “spingere” un nuovo prodotto, allestisce una vetrina in modo inconsueto ma accattivante, ad un manager che di fronte a una problematica complessa ha un’illuminazione e trova una soluzione alternativa… 

    Guilford (1950) definisce la creatività come “la capacità di produrre elementi ideativi in elevato numero e in modo variato e di carattere inconsueto, di introdurre miglioramenti nella situazione, anche in assenza di un reale problema”.

    La creatività è quindi la capacità di mettere insieme elementi prima separati tra loro, in modo nuovo, originale, uscendo dagli schemi consueti, di creare o migliorare qualcosa in modo innovativo, di vedere la realtà, anche quella quotidiana, ben conosciuta, attraverso diverse modalità. 

    Essa non è intrinseca ed osservabile solo nel risultato, bensì nel processo, che determina la messa in campo di modalità di pensiero e strategie nuove, definite divergenti, basate sulla curiosità e sull’anticonformismo.

    L’etimologia della parola creare è da ricondursi alla radice sanscrita kar- = fare, kar-te è  il creatore cioè “colui che fa dal nulla”. La creatività ha a che fare con la generatività, far emergere, far fiorire.

    Secondo Thomas Edison, che realizzò oltre 50.000 esperimenti per perfezionare la batteria e 9.000 per la lampadina, “la creatività era un lavoro fatto al 99% di sudore e perseveranza e per l’1% di ispirazione!”.

    Walt Disney, una delle menti più brillanti e creative dello scorso secolo, asseriva che la creatività è: “la capacità di prendere qualcosa, che esiste solo nell’immaginazione, e dotarla di un’esistenza fisica che influenzi direttamente l’esperienza degli altri in modo positivo.”

    Non esiste intelligenza creativa senza vulnerabilità

    Una delle ferite emotive principali che coinvolge ognuno di noi, con differenti modalità ed espressioni, è l’“atelofobia”, la paura di non fare abbastanza bene qualcosa o la paura di non essere abbastanza, cioè, in breve è il timore di essere imperfetti.

    La paura di non essere abbastanza”, nasconde un trabocchetto in cui cadiamo spesso, e questo trabocchetto è:

    Ma abbastanza per chi? che cosa vuol dire abbastanza? e come sappiamo quando abbastanza è abbastanza?

    Se ci fermiamo un attimo a pensarci, difficilmente ci arriverà una risposta; certo, magari vorremmo soddisfare le aspettative di qualcun altro, vorremmo essere abbastanza per questo “qualcun altro”, ma non è detto che la loro asticella sia giusta per noi.

    Siamo noi che stabiliamo cos’è il nostro abbastanza, siamo noi che stabiliamo quando il nostro abbastanza è in effetti, abbastanza.

    Le emozioni le possiamo smontare andando a rimappare quelle parti di noi che ci fanno sentire così, e per rimappare queste parti di noi dobbiamo creare le condizioni necessarie affinché questo avvenga, e l’unico modo per farlo è sporcarsi le mani e materialmente creare questi nuovi percorsi, il che sostanzialmente vuol dire “fare”. Vuol dire tirarsi fuori dalla nostra testa e metterci materialmente a fare qualcosa, perché solo facendo riusciamo appunto a tirarci fuori dai nostri pensieri e cambiare le cose.

    Sotto a questo forma-pensiero c’è una vulnerabilità lancinante. Potremmo quasi separare la popolazione umana in 2 macro gruppi: quelli che si sentono abbastanza, con un forte senso di dignità e merito e quelli che soffrono di tutto ciò. La differenza tra queste 2 categorie di persone, sostiene Brené Brown, educatrice e ricercatrice americana, è un forte senso di amore e appartenenza.

    Le persone con un forte spirito di dignità e appartenenza credono di meritarsi amore e appartenenza.

    In genere queste persone sono spinte da coraggio. Hanno il coraggio di essere imperfette. Hanno la compassione di essere gentili con sè stesse prima, e poi con il mondo. Non è possibile essere gentili e compassionevoli con gli altri, se prima non ci trattiamo bene. Si tratta del coraggio di abbandonare il sé ideale per essere sé stessi, autentici. Stiamo parlando di un coraggio che abbraccia le proprie imperfezioni, che accoglie i propri errori, perché la creatività implica l’errore. Se non apriamo lo spazio all’errore il nostro pensiero resta sempre convergente. 

    Ecco perché, al secondo posto dopo il coraggio, c’è la vulnerabilità. Le persone che hanno un senso di dignità e merito credono che la vulnerabilità li renda belle persone. Non considerano la vulnerabilità presente nei momenti di vita confortevole, né nei momenti di vita strazianti. Semplicemente la considerano una necessità.

    La vulnerabilità viene considerata il cuore della paura, della vergogna e della nostra lotta per la dignità, ma è anche la culla della gioia, della creatività, del senso di appartenenza e dell’amore.

    Perché la vulnerabilità ci crea così tanti problemi?

    Noi viviamo in un mondo vulnerabile. 

    Ma uno dei modi con cui l’affrontiamo è rendere la vulnerabilità insensibile. Di fronte alla vulnerabilità, la paura, il disagio, la delusione, ecc. noi non vogliamo provare questi sentimenti. Preferiamo compensare con l’alimentazione, abbiamo problemi di peso, creiamo dipendenze dai farmaci, ecc. Addormentare questi sentimenti negativi significa sopprimere anche la gioia, la gratitudine, essere insensibili alla felicità. E tutto ciò ci porta sempre più lontano da noi stessi. Un altro aspetto per cui la vulnerabilità ci crea problemi è perché trasformiamo tutto ciò che è incerto, in certezza. La certezza ci permette di controllare, mantenere e ci rende più governabili. Quanto più abbiamo paura, quanto più siamo vulnerabili, tanto più siamo spaventati.

    Ma quali potrebbero essere quindi le cause della paura di non essere abbastanza, e quali sono le cose che possiamo FARE per smontare questa paura?

    Il perfezionismo Ci dobbiamo sentire abbastanza bravi belli, preparati, insomma ci dobbiamo sentire all’altezza prima di metterci realmente in gioco. Continuiamo a fare corsi di formazione, controlliamo e ricontrolliamo i nostri progetti prima di consegnarli o rilasciarli al pubblico, vogliamo sempre apparire i migliori in qualunque cosa facciamo e con qualunque persona abbiamo a che fare, e NON vogliamo IN ALCUN MODO sentirci inadeguati alla situazione. Ma siccome diventiamo bravi a fare qualcosa solamente con il tempo, ecco che allora c’è il secondo modo per ovviare un po’ a questa questione di essere sempre perfetti, che è quella di fare pratica. E poi un altro modo per superare questo perfezionismo è quello di avere la forza di dire: “vabbè, oh, sai cosa? Va bene così!”. Questo vuol dire sapersi fermare, vuol dire mettere un punto a quello che stiamo facendo e accettare che il mondo veda quello che abbiamo fatto con tutte le imperfezioni del caso. E, di nuovo, vuol dire accogliere la paura del giudizio di ciò che facciamo e di ciò che siamo (o perlomeno ciò che mostriamo al mondo).

    Sentirsi sotto pressione

    Anche se facciamo un sacco di roba c’è sempre qualcosa che dovremmo o potremmo fare di più e / o di meglio, perché appunto sentiamo questa pressione a fare, fare, fare essere, essere, essere.

    Questa pressione ci può venire da fuori, capo, genitori, partner, amici, oppure ci può venire da dentro, e in questo caso siamo noi che ci spingiamo a fare o essere qualcosa di specifico e di diverso da noi.

    Vi siete fatti mai la domanda: “ma non è che mi sto caricando di questa pressione per niente?”

    “Nella mia vita ho avuto un sacco di casini, molti dei quali non sono mai realmente accaduti.”

    Mark Twain

    Togliendo un po’ di forza alle nostre paure per il futuro, per quello che potrebbe accadere, potremmo toglierci anche un po’ di pressione e allora, potremmo ridurre ancora un po’ la nostra paura di non essere abbastanza.

    Fare paragoni

    Noi misuriamo noi stessi con una piccola parte degli altri, la parte che noi decidiamo di guardare e basta. Ad esempio, facciamo finta che noi non ci riteniamo abbastanza ricchi se ci paragoniamo a qualcun altro, magari il nostro vicino di casa. Noi scegliamo coscientemente di vedere solo la ricchezza, ma chi ci dice che questa ricchezza non venga a scapito di qualche cos’altro? Non ha molto senso paragonarci agli altri perché ognuno ha la sua vita, la sua realtà, i suoi pensieri e non è fattibile paragonare la nostra realtà, la nostra vita, i nostri pensieri a quelli di qualcun altro perché, semplicemente, non possiamo conoscerli tutti.

    Senza apertura e accoglienza alla nostra vulnerabilità non c’è né intelligenza creativa, né libertà. E’ proprio l’altro rovescio della medaglia. Se vuoi alimentare la tua creatività, devi aprirti alla vulnerabilità ed all’autenticità.

    Questo è uno dei motivi per cui è così difficile avere aziende creative e innovative.

    Usare l’intelligenza creativa in azienda significa mettere insieme le informazioni in maniera diversa, generativa di soluzioni nuove, “usare lenti diverse”.

    Per facilitare l’accesso alla creatività di ognuno, può essere utile iniziare a cambiare il processo mentale e/o la classificazione delle informazioni.

    L’intelligenza creativa va allenata, proprio come un muscolo

    Per allenare l’intelligenza creativa dobbiamo conoscere come funziona il nostro pensiero:

    Esiste il pensiero divergente

    Le persone creative sono coraggiose e curiose, aperti di mente e solitamente fanno buon uso della loro capacità immaginale. Questo consente loro di affinare l’osservazione nel mondo e di apprendere da ciò che vedono nella realtà e dalle esperienze che fanno, sono persone cognitivamente flessibili e resilienti, che sanno essere irrazionali, lasciarsi andare e amano correre qualche rischio. Appassionate, motivate e persuasive, sono decisamente propense al cambiamento e all’innovazione. Le persone che posseggono questi tratti e queste caratteristiche sono, generalmente, quelle che facilmente usano un tipo di pensiero divergente, associativo–produttivo che “libera” l’innovazione. 

    Ed esiste il  pensiero convergente 

    A differenza di quello divergente, il pensiero convergente è associato al pensiero logico e razionale che si attiva in modo più o meno meccanico e automatico, utilizzando gli schemi e gli elementi dati dal problema stesso, non aggiungendo nulla di nuovo e muovendosi all’interno di strategie, regole e strumenti ben conosciuti e già utilizzati e testati.

    Diversamente il pensiero divergente agisce andando oltre gli schemi e i confini del problema, aggiunge qualcosa di nuovo e non apparentemente osservabile, unisce gli elementi in modo innovativo, esplorando vie e possibilità nuove e originali. Il pensiero divergente è quindi di natura creativa. 

    Ma quali sono le caratteristiche di un pensiero divergente?

    Rimanendo nella teoria elaborata da Guilford, un pensiero creativo presenta i seguenti aspetti:

    • Fluidità: indica la capacità di produrre una grande quantità di idee o risposte ad un problema, indipendentemente dal fatto che esse siano utili e funzionali. Il valore creativo sta proprio nel generare molte possibilità tra le quali scegliere quella più adeguata. Il flusso e ricchezza di pensiero sono la base di questa caratteristica. È un po’ quello che accade quando si fa un brainstoming…
    • Flessibilità: è l’abilità di passare rapidamente da una categoria di pensiero, di funzione, di oggetti, ecc. all’altra per risolvere la situazione o più situazioni. Ad esempio, è attivata ogni volta che si cerca di attribuire ad un oggetto o strategia diversi utilizzi e scopi, uscendo da quella di appartenenza.
    • Originalità: si riferisce alla generazione di risposte nuove e precedentemente non utilizzate 
    • Elaborazione: consiste nel perseguire in modo coerente, approfondito e arrivando a tutte le conseguenze la strategia e strada di pensiero intrapresa
    • Valutazione: è la scelta dell’idea maggiormente funzionale e utile alla risoluzione del problema tra quelle prodotte.

    Queste caratteristiche sono fondamentali per identificare un pensiero che si discosti da quello razionale e che permetta di osservare le cose da prospettive differenti. Non sempre il pensiero divergente è maggiormente funzionale di quello convergente e logico.  Il vero successo e il raggiungimento di ottimi risultati potrebbe, infatti, essere una via di mezzo.

    I benefici dello sviluppo dell’intelligenza creativa e del pensiero divergente in azienda

    • Garantisce la messa in campo di soluzioni nuove, di migliorare e crescere, di osservare la realtà da prospettive differenti e creare nuove opportunità
    • Migliora le abilità di problem solving
    • Incrementa il successo e la capacità di uscire dall’impasse in strategie complesse e dare risposte innovative
    • Permette di uscire dalla fissità funzionale e generare idee, costrutti, tecniche, strategie e strumenti
    • Incrementa il coinvolgimento al compito, la motivazione, l’autonomia, il senso di autoefficacia e autostima.

    Rispetto a questo ultimo punto, sono molto interessanti le ricerche condotte in ambito lavorativo in cui si è osservato come lasciare maggiore autonomia ai lavoratori nella gestione del proprio lavoro, definendo bene l’obiettivo da raggiungere ma dando pochissime informazioni sul come farlo, porti a maggiori risultati e alla messa in campo di maggiore creatività e inventiva.

    Il pensiero divergente infatti esce dagli schemi fissi e osserva le cose da diversi punti di vista per giungere alla soluzione. Per questo motivo sembra che dare troppe informazioni, riduca la possibilità di esplorare e sperimentare, limiti le potenzialità della creatività, riconducendo il pensiero a logiche fisse e definite.

    Quindi quando siamo alla ricerca di idee nuove dovremmo prima utilizzare il pensiero divergente e solo dopo quello convergente.

    Cosa fare per allenare l’intelligenza creativa e il pensiero divergente?

    Il pensiero convergente è utile e necessario in numerose occasioni. 

    Tuttavia, il vero problema è che ci hanno “addestrati” a pensare in un solo modo, lasciando da parte (e addirittura annullando completamente) la spontaneità, l’ingegno e l’intrigante libertà.

    Facciamo l’esempio della respirazione: dobbiamo prima inspirare e poi espirare, non possiamo fare entrambe le cose insieme. Alcuni musicisti lo fanno, ma per la maggior parte di noi è impensabile.

    Per sviluppare l’intelligenza creativa e il pensiero divergente dobbiamo accedere a 3 fasi:

    1. Spegnere il giudizio: metterlo in pausa, che non vuol dire sospenderlo del tutto, cosa che potrebbe spaventarci un po’, ma si tratta solo di silenziare per qualche minuto quella vocina interiore che giudica.

              Nessun pensiero è migliore di un altro. 

    1. Farsi venire le idee: Darci qualche minuto di tempo, 5-10 minuti, e in questo lasso di tempo generare il più alto numero di idee possibile, ricordandoci sempre di non giudicare quello che ci viene in mente. Quello che arriva va bene così com’e’! Niente giudizi! È importante generare un alto numero di idee, perché dopo un po’ si esce dalle idee più superficiali (che arrivano più velocemente). Anche se dopo un po’ ci arrivano idee completamente fuori di testa, non è detto che proprio queste debbano funzionare così come sono o debbano essere le idee definitive, ma in queste idee completamente folli ci potrebbe essere il seme per qualche altra idea realizzabile, che invece potrebbe anche funzionare se rilavorata.
    1. Riaccendere il giudizio e valutare le idee che ci sono venute. Qui è importante mantenere un atteggiamento costruttivo e non cassare sempre e comunque tutte le idee che ci sono venute.

    La fase 2 può risultare particolarmente difficile perché ci richiede di uscire dalla nostra zona di comfort, dalla normalità e dalle cose che conosciamo.

    Fortunatamente, anche questa è una cosa che si può imparare con la pratica, e con alcune tecniche estremamente interessanti:

    Il brainstorming

    Il primo metodo è il noto “Brainstorming”, messo a punto da Osborne, direttore di una agenzia di pubblicità, negli anni 50’. È una tecnica di gruppo che stimola l’attività intellettuale e permette il contributo creativo. Il brainstorming prevede tre passaggi: generazione, chiarificazione, valutazione. Nel primo si dichiara lo scopo/problema e ogni persona esprime le proprie idee. Il valore principale del brainstorming in questa fase è quella di generare idee out of the box. È interdetto qualsiasi giudizio critico, positivo o negativo, si incoraggiano le libere associazioni, si accettano tutte le idee anche se appaiono “strane”. Nel secondo passaggio, quello della chiarificazione, si ripercorre la lista delle idee per capire che ognuno abbia capito cosa è stato proposto. Anche in questo caso è bandito ogni giudizio. Nell’ultimo passaggio, un gruppo più ristretto è delegato alla valutazione: si eliminano le idee duplicate, si combinano idee molto simili, si procede alla valutazione utilizzando due parametri: fattibilità e impatto sul problema

    Il metodo S.C.A.M.P.E.R. 

    E’ l’acronimo di una sequenza di verbi di azione: Substitute (sostituisci), Combine (combina), Adapt (adatta), Modify (Modifica), Put to another use (proponi un altro utilizzo), Eliminate (elimina), Reverse (rovescia). Una volta identificato il problema, si procede con le domande.

    Facciamo un esempio: desidero guadagnare di più.

    1. Sostituire: posso sostituire la mia attività lavorativa con un’altra?
    2. Combinare: posso combinare il mio attuale lavoro con un altro modo di guadagnare?
    3. Adattare: esiste qualcuno che fa un lavoro simile al mio e che ha introdotto qualcosa di nuovo che io posso adattare alla mia situazione?
    4. Modificare: cosa posso modificare del mio lavoro in modo che mi possa generare più entrate?
    5. Cambiare l’uso: potrei utilizzare il mio lavoro, o magari i locali che uso per il mio lavoro in un contesto diverso rispetto a quello che ho sempre usato?
    6. Eliminare: cosa potrei eliminare del mio lavoro che adesso non mi serve più e non mi fa guadagnare quanto mi serve?
    7. Rovesciare: posso far sì che rovesciando o invertendo i miei servizi e i miei prodotti possa offrire qualcosa di nuovo?

    La scrittura libera

    consiste “semplicemente” nello scrivere in maniera completamente “automatica”, sospendendo anche qui il giudizio e anzi dandosi la maggior libertà possibile di mettere su carta proprio tutto quello che ci viene in mente. Sono le pagine del mattino di cui si parla nel libro “La via dell’artista” 

    Esercizi di sinettica 

    “Sinettica” è un termine coniato dallo psicologo William J.J. Gordon. In pratica significa essere in grado di trovare le connessioni e le relazioni tra concetti, oggetti e idee che apparentemente non hanno nessuna unione. Questo esercizio richiede un’elevata attività mentale, e possiamo eseguirlo ogni giorno scegliendo noi stessi i concetti. Per esempio:

    Cosa posso fare con una graffetta e un cucchiaio?

    Che rapporto potrebbe esistere tra il fiume Limpopo in Africa e il lago Baikal in Siberia?

    “La creatività è l’intelligenza che si diverte”

    “L’immaginazione è il principio della creazione. Immagina quello che vuoi, persegui quello che immagini e, infine, crea quello che hai perseguito”

    George Bernard Shaw

     Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    . Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • You may also like

    No Comments

    Leave a Reply