Loading
  • Il metodo

    TRASFORM-AZIONE VERA: La cultura della gentilezza in azienda è un investimento di sicuro ritorno

    Qual è l’impatto della presenza/assenza della cultura della gentilezza nelle aziende?

    E’ da poco trascorsa la Giornata Mondiale della gentilezza. Lo sapevate?

    Nel 1988 si celebrò la Conferenza del World Kindness Movement Tokyo, che si chiuse con la firma della Dichiarazione della Gentilezza. Da lì, il World Kindness Day si è propagato in tutto il mondo.Al movimento aderiscono oggi 27 nazioni che periodicamente si riuniscono in un’assemblea generale per discutere di progetti di mutuo aiuto, condivisione e sviluppo sostenibile. La costola italiana è nata a Parma nel 2000.

    Nell’odierno scenario, caratterizzato da costanti liti e divisioni, sembra così difficile praticare la gentilezza. Eppure qualcosa si muove nel segno del risveglio di un valore quasi dimenticato. 

    La cultura della gentilezza aleggia nelle parole e nel pensiero, ma inizia a non appartenere più alla realtà materiale.

     “Grazie”, “per favore” e “per piacere” sono le espressioni a cui siamo stati abituati sin da piccoli e, con l’ingresso nel mondo del lavoro, ci accompagnano all’abbondante uso nelle mail delle formule stereotipate “Gentile” e “Gent.mi”. Eppure, il parlato e l’agito nella quotidianità spesso non sono allineati.. L’aggressività diffusa e malcelata è comunemente percepita quale indice di intelligenza e sagacia. Gli urlatori proliferano e chi riesce a zittire gli altri risulta vincente e risoluto. Se per caso, nella propria realtà circostante non si vive tale atmosfera, i media sono comunque una cassa di risonanza, vedi le tribune politiche, dove sembra nessuno conosca il significato della parola gentilezza.

    La cultura della gentilezza ed il coraggio

    L’etimologia della parola “gentilezza” dal latino «gens, gentis», riguarda il termine riservato alle famiglie nobili che, secondo la tradizione, avevano fondato Roma.La comunanza di uno stesso capostipite comportava doveri reciproci di assistenza e difesa, la possibilità di ereditare – in mancanza di familiari più diretti – i possedimenti gli uni degli altri, e di utilizzare il medesimo luogo di sepoltura. Essere “gentili” pertanto implicava l’adozione di comportamenti più fraterni rispetto agli estranei di altre gentes. Ma queste erano talmente ampie che spesso i gentili nemmeno si conoscevano. Di qui, nel tempo, la cultura della gentilezza ha acquisito il significato di rispetto e cura anche nei confronti dei non familiari, del saper ascoltare e attuare piccoli gesti con benevolenza, genuinità e disinteresse.

    Spesso confusa con la mera educazione, la gentilezza esprime un senso di appartenenza e ha qualcosa di diverso e di più profondo del così detto buonismo: significa non invadere la libertà altrui, non ostacolare, non criticare, non giudicare. Quasi una chimera, ecco perchè non e’ cosi’ immediata.

    La gentilezza non ha nulla a che vedere con l’imposizione, è un moto dell’animo positivo e spontaneo, laico, leggero e impalpabile, che non comporta oneri, ma  il coraggio di non scivolare in facili pregiudizi, di liberarsi da preconcetti, di resistere alla superbia, alla supremazia, e di tendere l’orecchio a chi ci sta intorno. 

    È un’attitudine che produce effetti benefici, comprovati da evidenze scientifiche, in ogni ambito. 

    In quello aziendale, ad esempio, la cultura della gentilezza si declina :

    • nel fare squadra, 
    • nel collaborare tutti nella stessa direzione per raggiungere efficacemente gli obiettivi prefissati e sempre più alti livelli di produttività, 
    • nel pieno rispetto del benessere e delle personalità dei lavoratori. 

    Praticamente un’utopia.

    Si è appena concluso il “San Marino Festival Gentile”, che aveva come sottotitolo “CHANGE! Costruire il cambiamento”, proprio a sottolineare come la cultura della gentilezza e i valori a essa collegati, siano reali motori di rivoluzione, capaci di generare un significativo impatto sociale. La gentilezza può fungere da guida per riportare al centro del dibattito e dell’agire la persona, intesa come singolarità e unicità.

    La cultura della gentilezza è un muscolo che va allenato

    In primis, essere gentili non è sintomatico di debolezza bensì, al contrario, di forza potente, di resistenza alla frenesia del nuovo millennio mediante una curiosità discreta: sembra un ossimoro ma chi è gentile è attento ed interessato all’altro (in latino “inter-esse”: essere dentro, stare, “abitare in mezzo a noi”), ad ascoltarlo per stringere un legame sincero. 

    La gentilezza è una lingua che il sordo può sentire e il cieco può vedere

    Mark Twain 

    Harrison (2007) afferma che la cultura della gentilezza rende la conversazione sull’etica più palpabile, specialmente nelle aziende. 

    La maggior parte delle gentilezze costano quasi nulla e causano cambiamenti che possono generare risultati significativi, creando una cultura aziendale che aiuta a proteggere le aziende da fallimenti etici, reati tra le persone sul posto di lavoro e frodi. 

    José Datrino, conosciuto come Profeta Gentilezza, dice che “la gentilezza genera gentilezza”, ma vale anche il contrario,la pigrizia e la maleducazione producono questi stessi mali.

    Molto più spesso non si è gentili affatto: a causa dello stress, della fretta, di un malinteso senso di praticità, si tende a essere troppo diretti e si saltano quelli che definiamo, con un po’ di disprezzo, «convenevoli», riducendo ogni rapporto a un semplice scambio. L’essere umano è naturalmente gentile e malvagio, gentile e maleducato, e quindi le sue scelte influenzano la sua evoluzione

    ​​La gentilezza, quindi, cosa fa?

    • Abbassa il livello di conflitto.
    • Passa dall’io al noi.
    • Crea reciprocità.
    • Aumenta la voglia di costruire insieme.
    • Fa sì che le persone si prendano cura le une delle altre.

    Questo tipo di attitudini sono delle forze evolutive. 

    Si inverte il paradigma.

    Non più  e non solo accumulare ma la qualità del saper donare,l’impatto sociale di ciò che si fa

    E lì si misura il vero valore dell’impresa.

    Ecco perché ha senso parlare di gentilezza.

    ​​Essere gentili è un atteggiamento profondo che comprende generosità, umiltà e disponibilità.

    Chi è veramente forte non ha bisogno di essere così presuntuoso, sa utilizzare l’intelligenza e il dialogo e non la coercizione o l’imposizione, chi è forte dentro si può permettere di essere dolce e gentile nei comportamenti.

    ​​Essere gentili è ben diverso dall’avere gentilezza.

    • Occorre solidità psicologica, molta.

    • Occorre solidità per accogliere le persone prima di giudicarle,

    • Per riconoscerle prima di temerle,

    • Per vedere lo loro umanità prima di vedere i loro errori.

    La gentilezza è nella capacità di farsi carico della vulnerabilità degli altri,

    con un sentimento di vicinanza e partecipazione. 

    La cultura della gentilezza attira fedeltà

    Le persone gentili attirano la fedeltà, che è la caratteristica più ricercata delle aziende di oggi, perché fornisce redditività.

    Davidson cita uno studio che si è svolto in un’azienda spagnola, dove 100 impiegati sono stati divisi in 3 gruppi: chi, in 4 settimane, doveva effettuare 5 atti di gentilezza (giver), chi li doveva ricevere (receiver) e chi controllare (control). «Due mesi dopo, chi aveva fatto e ricevuto gentilezze era più soddisfatto del lavoro e più felice rispetto agli altri. Non solo, i receiver ricambiavano con atti di gentilezza che erano del 278% superiori a quelli ricevuti. Da qui la constatazione che la gentilezza è contagiosa».

    Secondo un’ indagine condotta a novembre 2020 da InfoJobs:

    • il 65% degli intervistati considera la gentilezza sul lavoro un punto di forza
    • il 20% circa è addirittura un elemento imprescindibile

    In netta minoranza chi ne evidenzia gli aspetti negativi, identificando la gentilezza come illusione (6,2%), debolezza (1,5%) o una tattica per trarre dei vantaggi (7,4%).

    La percezione cambia quando il tutto si riporta alla propria situazione aziendale. 

    il  36,1% degli intervistati la gentilezza sarà una consapevolezza sempre più acquisita

    Più pessimista la maggioranza del campione: 

    • il 18,2% se le si troverà spazio, sarà puramente per una questione di apparenza e reputazione
    • il 45,7% la propria organizzazione continuerà a sostenere un clima rigoroso e competitivo perché visto come più utile alla produttività.

    Se tra colleghi la gentilezza trova terreno fertile, manifestandosi soprattutto attraverso azioni di supporto nelle difficoltà e nella distribuzione dei carichi di lavoro (61%), a livello di leadership si potrebbe affermare l’opposto.

    Dall’indagine emerge che:

     il 59% degli intervistati ritiene che il proprio capo non considera leadership gentile un elemento importante (41,5%) o addirittura ha un superiore che premia un clima rigoroso, credendolo più funzionale (17,5%), di contro a un 41% che dichiara di avere un leader gentile, per il quale fare squadra e gentilezza sono elementi chiave per ottenere risultati.

    D’altro canto l’opposto della gentilezza non è la maleducazione, ma l’indifferenza, la distanza

    La cultura della gentilezza per il corpo e ben altro…

    Barbara Frederickson e i suoi colleghi (2008) hanno trovato significativi cambiamenti nella qualità delle emozioni positive e nella riduzione delle emozioni negative in persone che avevano partecipato ad un programma di 7 settimane di pratica  di Gentilezza amorevole

    L’incremento di emozioni come gioia, speranza, gratitudine, divertimento, appagamento risultava significativo e queste emozioni positive producevano un incremento delle risorse personali come presenza mentale, motivazione, sostegno sociale, diminuzioni dei sintomi di malattia e riduzione dei sintomi depressivi del tono vagale (La definizione di tono vagale si riferisce all’attività del nervo vago, un componente fondamentale del sistema nervoso parasimpatico che è una delle due branche del sistema nervoso autonomo) sono stati registrati in una ricerca di Kok et al (2013) risposta molto significativa, se si considera che il tono vagale è un marker fisiologico di benessere connesso alla funzionalità del respiro e del battito cardiaco.

    Anche se può sembrare strano si registra anche una diminuzione della severità degli attacchi di emicrania e una riduzione della tensione associata all’emicrania cronica (Tonelli et al 2014)Una migliore gestione del dolore cronico per lombalgia – in un gruppo di partecipanti ad un programma di Gentilezza amorevole – è stata riportata nel 2005 da una ricerca condotta negli Stati Uniti da Carson nel 2005

    Anche il dolore emotivo e la depressione sembrano rispondere positivamente a questo tipo di pratica meditativa. Uno studio condotto da Kearney e colleghi 2013 ha rilevato che i partecipanti ad un programma di 12 settimane di questa pratica meditativa ricevevano importanti miglioramenti.

    Una pratica regolare di gentilezza amorevole attiva e rafforza le aree cerebrali connesse all’intelligenza emotiva e allo sviluppo di risposte empatiche.(Hutcherson, Seppala & Gross, 2014) (Hoffmann, Grossman & Hinton, 2011). Una delle risposte più significative è l’incremento della materia grigia nelle aree cerebrali connesse alla regolazione emotiva (Leung et al 2013)(Lutz et al 2008).

    I benefici della cultura della gentilezza

    La gentilezza “funziona” perché disattivano le risposte difensive. 

    Nel momento in cui veniamo accolti da un atto di gentilezza, da una voce calma e rassicurante, per quanto si possa essere di cattivo umore, la nostra area limbica, la nostra parte che risponde automaticamente alle situazioni di pericolo, si dis-attiva e si rilassa.

    Il nostro umore quindi cambia perché passiamo dall’attivazione delle emozioni del sistema difensivo (rabbia, paura, ansia) alle emozioni del sistema affiliativo (tenerezza, affetto, apertura). Quindi il ricevere gentilezza funziona come un buon calmante ma anche essere gentili ha lo stesso effetto: ci conferma, implicitamente, che non siamo in pericolo.

    Le persone gentili non stanno facendo uno sforzo: restituiscono quello che hanno ricevuto dalla vita attraverso la loro gentilezza.

    Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile”

    Wayne W. Dyer

    La cultura della gentilezza e la pratica di Metta

    “Di che cosa ho bisogno? Di che cosa ho davvero bisogno?”

     In questo modo ho imparato ad ascoltare non solo la voce di autocritica ma anche la voce compassionevole che ognuno di noi ha, magari sepolta sotto strati di vergogna e timidezza.

    Se pratichiamo la meditazione di metta (benevolenza) e non riusciamo a vedere la bontà in noi e negli altri, allora riflettiamo sul desiderio fondamentale di essere felici, che sta alla base di tutte le azioni. La meditazione di Metta è a mio parere, una delle  più belle perché permette di coltivare aspetti interiori molto importanti come l’amore incondizionato, la gentilezza, la compassione, la benevolenza etc… sia verso se stessi che verso gli altri.

    In lingua Pali Metta (la lingua tradizionale del buddismo Theravada, una corrente antica che utilizza gli insegnamenti del Buddha preservati nel Canone Pali come cuore della sua dottrina) significa “benevolenza”, “gentilezza”, “buona volontà” (in sanscrito è maitrī), si ritrova sia nei sacri testi indiani Veda che in quelli buddisti. Spesso è conosciuta come la meditazione dell’amorevole gentilezza. Per i testi buddisti è una questione di primaria importanza, dove è la prima dei “quattro immisurabili” ossia quattro virtù e loro relative pratiche per coltivarle (brahmavihara): oltre all’amore-gentilezza/benevolenza le altre virtù sono la compassione (un risultato della Metta, identificarsi nelle sofferenze degli altri), la gioia empatica (la capacità di provare gioia perché gli altri sono felici anche se non vi si ha avuto parte al motivo di gioia) e l’equanimità (trattare tutti quanti con imparzialità e serenità). Mettā è anche una delle “dieci perfezioni” del buddismo Theravada.

    Secondo Thic Nhat Hanh, il maestro zen vietnamita che ha contribuito moltissimo alla diffusione della Mindfulness (la meditazione della consapevolezza) in occidente, la pratica di Metta aiuta a:

    • Dormire meglio: quando si va a letto con la mente calma, il cuore più aperto e con un maggiore amore verso noi stessi e negli altri, il riposo è più molto più efficace.
    • Svegliarsi al mattino sentendosi bene e con il cuore leggero: se si pratica la mattino, si inizia la giornata all’insegna dell’amore, il che migliora moltissimo la vita quotidiana.
    • Migliorare i rapporti: quando si pratica costantemente ci si accorge che piano piano i rapporti con gli altri migliorano. Metta combatte l’ego, l’odio, la rabbia e sviluppa la compassione, l’amore, la gentilezza, tutti aspetti che incidono moltissimo sui rapporti con gli altri, rendendoli migliori.
    • Essere gentili verso gli animali: spesso ci dimentichiamo che anche noi siamo animali e trattiamo gli altri essere in modo inferiore. Grazie alla meditazione Metta questo atteggiamento piano piano scompare per lasciare il posto alla compassione e l’amore verso tutti gli essere, sia umani che non.
    • Essere in grado di raggiungere facilmente la concentrazione meditativa. Quando si è calmi, più compassionevoli, privi di odio e più gentili, la mente è più calma e sicuramente più predisposta a iniziare a meditare.
    •  Combattere la rabbia, il rancore e molte altre emozioni che sono alla base di molta sofferenza. Coltivare l’amore disinteressato verso noi stessi e verso gli altri esseri. Vivere maggiormente nel presente: quando la mente è calma e piena d’amore si vive maggiormente nel presente, si combatte il tempo psicologico  e si apprezza maggiormente il qui e ora. Lasciare andare  pensieri negativi che disturbano la pace mentale. 

    Se vuoi praticare la meditazione di Metta ascolta l’audio di questa settimana. 

    meditazione-di-Metta

    Il nostro cervello è molto plastico e lo possiamo sempre trasformare.

    La meditazione influenza il lobo frontale sx che è legato alla felicità, mentre la parte dx è più legata alla ripetizione dei sentimenti che ci condizionano. 

    I sentimenti, rabbia, tristezza, paura ecc. sono importantissimi, ma il problema è legato al fatto che o non li usiamo o li tratteniamo.

    Come li sto usando?

    Li sto utilizzando molto o non li voglio vedere?

    Cosa devo fare? semplicemente niente

    Facciamo in modo che il nostro disagio diventi nostro alleato.

    Piccolo decalogo per praticare la cultura della gentilezza:

    1. sorridi quando ascolti
    2. taci se è meglio
    3. abbassa la voce
    4. cerca la fragilità non l’errore
    5. difendi solo ciò che è indispensabile
    6. dileggia i tuoi timori
    7. rimani a fianco
    8. non arrivare alle conclusioni
    9. cerca le parole, fermati a respirare

     

    Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    . Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    . IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA

    . L’ABBRACCIARE E L’INCLUSIONE LAVORATIVA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • You may also like

    No Comments

    Leave a Reply