Loading
  • Il metodo

    Il coaching e i 4 maestri: la via del benessere che migliora la tua vita in azienda

    Prendo spunto da un magnifico libro di Vito Mancuso “I quattro maestri” per parlare del valore del coaching, secondo me e di come io vivo e pratico il mio fare il coach.

    Stavo per scrivere come io vivo e pratico il mio “essere” coach, ma proprio alla luce di alcune recenti intuizioni personali, tra “fare” ed “essere” c’è in mezzo un aspetto molto importante: la disidentificazione, come possibilità di trasformazione.

    Tutte le volte che ci identifichiamo in un ruolo ci autolimitiamo, rischiamo di perdere di vista che noi siamo molto di più di quel ruolo, ma soprattutto non ci apriamo anche alla possibilità di non essere niente, o di “essere vuoto”.

    Chi sono io? Se tolgo tutte le maschere dell’ego, i job title, le mie convinzioni e credenze, spesso autosabotanti…Chi sono io?

    Scopro di essere un potenziale incredibile, di avere davanti a me infiniti campi di possibilità e divento “osservatore” di me stesso.

    Solo da quello spazio posso agire con creatività e innovazione, così come oggi l’azienda chiede.

    Pensate il controsenso: ci chiedono continuamente di essere creativi ed innovativi, ma come possiamo agire questo stato, sovrastati dalle nostre strutture mentali e dalla nostra “fisiologica” difficoltà al cambiamento?

    Riprendendo il libro, qui si racchiude la più alta forma di intelligenza, quella spirituale, che comprende le 4 forme di intelligenza (archetipi) più riconosciute. E non c’è bisogno di ricorrere a guru, leader ecc.

    I maestri, quelli veri, sono pochi.

    Qui troviamo i 4 grandi maestri che, simbolicamente (“simbolo” da sim-ballo=unire) racchiudono tutte le forme di intelligenza: Socrate, l’educatore, Confucio, il politico, Buddha, il terapeuta e Gesù, il profeta.

    Integrare Socrate e Buddha come approcci ad una metodologia di coaching è la mia costante sfida e passione quotidiana.

    Socrate (469- 399 a.c.) era figlio di una levatrice, come riporta Platone nella sua opera, intitolata “Teeteto”: “io sono figlio di una levatrice molto in gamba”; in greco antico, “maia” è la parola che designa la levatrice, colei che aiuta le partorienti.

    Descrivendo la propria filosofia, Socrate afferma: “io pratico la stessa arte”.

    Il modo di dialogare, spesso provocatorio, di Socrate è infatti chiamato “maieutica”; descrivendola, Socrate (attraverso Platone) afferma:

    la mia arte di levatrice agisce sugli uomini e assiste le loro anime, quando partoriscono, e non i corpi”.

    Socrate interrogava i suoi interlocutori perché emergesse il loro “logos”, il loro discorso, la loro verità, mettendosi sempre in una relazione dialogante. Provocava sempre le persone ad una continua ricerca di una propria verità. Il suo stile spingeva gli interlocutori a rimettere in discussione certezze, assiomi, aprendosi ad uno scenario soggettivo nuovo, inedito.

    L’ ”io so di non sapere” ha a che fare con farsi domande di senso e con l’intelligenza spirituale per eccellenza. Cos’altro è la spiritualità se non ABITARE domande di senso?

    Il leader si preoccupa di generare domande, di provocare una ricerca continua.

    Lo stile filosofico di Socrate è ispirazione per il coaching: il coach ascolta le parole del coachee, cercando di fare emergere il suo “logos”, il discorso che lo abita, di cui è “gravido”, senza cadere nella falsa credenza delle parole comuni o della retorica.

    Il coach, come Socrate, è interessato alla ricerca della verità del soggetto, di un discorso unico, mai sentito prima, proprio solo di chi lo enuncia.

    Vi è in entrambi la necessità di realizzare il proprio “daimon”, il proprio demone, la buona alleanza con esso nella propria vita (“eudaimonia”). Così, nel coaching si tratta di far emergere il desiderio inconscio del soggetto, nascosto dai discorsi “vuoti” della vita quotidiana: qual è il nostro talento? Per quale ragione ci svegliamo la mattina? Qual è la nostra strada?

    L’ecologia personale deve andare in armonia con l’ecologia relazionale.

    Parlare di centratura della persona, non significa autoreferenzialità, ma apertura all’altro.

    Ti devi aprire all’altro se vuoi conoscere te stesso.

    Se Socrate sosteneva la necessaria alleanza con il proprio “daimon”, così il coach lavora maieuticamente per far emergere la “differenza assoluta” che abita ciascun soggetto.

    Socrate ci ha indicato un metodo: la ricerca della propria verità è un percorso, relazione, domande di senso, ascolto e provocazione.

    Buddha (560-480 a.c.?), si racconta la sua nascita dalla coppia reale del re Suddhodhana Gautama e della regina Maya, che da vent’anni non riusciva ad avere figli, ma una notte la regina, in seguito ad un sogno, in cui le comparve un elefante bianco entrarle nel seno destro, rimase incinta. Al momento del parto, la regina Maya morì. A quel tempo, viveva fra le montagne non lontano dal palazzo un eremita di nome Asita. Egli notò un chiarore effondersi attorno alla dimora reale e, interpretandolo quale fausto presagio, scese al palazzo per vedere il bambino. “Se il principe rimarrà al palazzo, diverrà un grande sovrano e dominerà il mondo. Ma se lascerà la vita di corte per abbracciare la vita religiosa, diverrà un Buddha, il liberatore del mondo”: così Asita predisse. Buddha lasciò la reggia paterna all’età di 38 anni e si dedicò alla vita da mendicante.

    Buddha è il maestro della medi-c-azione della mente, come strumento per pulire/medicare la mente umana e raggiungere la centratura. Buddha ci insegna a stare radicati al presente: dall’essere all’esser-ci.

    La Mindfulness in azienda è uno degli strumenti utili per abbassare la soglia del giudizio e del lamento e imparare a gestire la mente.

    “E’ la mente a rendere l’uomo un Buddha o una bestia. Sviato dall’errore, l’essere umano díventa un demone; illuminato, diventa un Buddha. Controllate la mente e non lasciatela deviare dalla retta via”

    Buddha non è un nome, è uno stato dell’essere, è una condizione raggiungibile da ogni essere umano.

    Se fossimo tutti “potenziali buddha”, ci sarebbe accoglienza alla diversità. Buddha abolì la differenza delle caste, a favore dell’accogliere ciò che fosse diverso.

    Lo fece indicando un sentiero di 8 passi:

    la retta visione, il retto pensiero, la retta parola, la retta azione, i retti mezzi di sussistenza, il retto sforzo, la retta presenza mentale e la retta concentrazione.

    Vi è una profonda attenzione all’ecologia dell’essere umano. La retta parola e il retto pensiero creano un circolo virtuoso tra ciò che siamo e ciò che facciamo, tra ciò che pensiamo e ciò che diciamo. Un’attenzione che ha a che fare con ciò che abbiamo dentro.

    Secondo il nostro maestro terapeuta, ciò che ci rende veramente umani e unici non è la perfezione, ma la nostra imperfezione.

    L’essere umano sa decidere anche nell’incertezza. L’I.A. decide solo nella certezza.

    Se il limite dell’imperfezione lo vediamo come un orizzonte, si aprono spazi inauditi.

    Questa è la vera forza anche del coaching:

    Un processo maieutico dove è fondamentale l’alleanza, la chiarezza e il perimetro entro cui ci si muove. Non esistono le domande potenti ma esiste la potenza del domandare.

    Recenti studi sulle basi neuroscientifiche del coaching riportano che Il nostro cervello, oltre a non riuscire a trattenere tutte le informazioni possibili, non ama che gli si dica cosa deve fare. In tale modalità non esprime la sua efficacia. Il nostro cervello è molto più contento quando impara e ragione per intuizioni.

    Ma per favorire un processo intuitivo c’è bisogno di “fare spazio”, c’è bisogno di silenzio e di uno sguardo contemplativo che ci apra a visioni diverse. Non vediamo solo con gli occhi, ma anche con i 5 sensi.

    Quando i sensi non vengono chiamati in causa, la sessione di coaching perde valore e si svilisce.

    Se il cervello è il nostro computer, la scheda madre sono i nostri sensi.

    Sono le porte USB che consentono un’interazione con l’ambiente.

    Per perseguire un approccio maieutico, integrato agli 8 passi del Buddha, nel coaching il corpo energetico diventa il ponte tra il corpo fisico e quello mentale.

    Per entrare in contatto con il corpo energetico abbiamo bisogno di ascolto e silenzio. Nel silenzio la nostra sensibilità e intuizione si affinano.

    La bellezza di questo lavoro è vedere le persone fare dei salti quantici, perseguire il loro benessere e, scoprire che, ognuna di loro, è sempre un potente rimando che offre anche al coach la possibilità di continuare a migliorarsi.

    Che dire?  Non c’è niente di meglio!

  • You may also like

    No Comments

    Leave a Reply