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pazienza

  • Il metodo

    Riconoscere il valore del tempo rende la pazienza strategica e produttiva

    “La pazienza è la forza del debole, l’impazienza la debolezza del forte” Immanuel Kant

    Abbiamo introdotto, la scorsa settimana, gli 8 principi vitali dell’azienda, secondo myHARA, dando in primis risalto alla FIDUCIA

    Se imparo a fidarmi e a dare fiducia inevitabilmente entro in una relazione strategica con il secondo principio: la PAZIENZA.

    La pazienza come capacità di saper aspettare. 

    La pazienza come vitalità e benessere.

    La pazienza è un’energia femminile, di attesa, di ascolto, di osservazione ma anche di non mente. 

    Nella pazienza smetti di pensare, ti fidi e ti affidi.

     La pazienza senza tempo non esiste

    La pazienza è intrinsecamente  collegata al riconoscere il valore del tempo, del non agire come preludio per la migliore azione nel futuro.

    Eppure, solitamente, per vissuti ancestrali, la parola pazienza non ci risulta molto simpatica!

    Ci riporta ad un senso antico di rassegnazione e di conseguenza a non riconoscere il valore del tempo, sorgente di ricchezza e nutrimento.

    Pazienza e tempo sembra non vadano più d’accordo ai nostri tempi!

    Ogni giorno controlliamo costantemente i nostri smartphone per verificare le reazioni alle nostre mail, alle immagini condivise, per i messaggi condivisi per i quali siamo impazienti per le risposte. 

    Abbiamo anche il flag azzurro ai messaggi che contribuisce alla nostra impazienza.

     Vogliamo quel feedback e soprattutto, lo vogliamo subito.

    Una reazione, un riconoscimento, un colpo di adrenalina al nostro sistema.

    Adattandosi a “relazioni tecnologiche” ci siamo riprogrammati a pensare/ sentire come un prodotto tecnologico: a ritmo immediato, frenetico, iperattivo, sterile.

    Comunichiamo a “slot” di tempo. Quarantacinque minuti, mezz’ora, un quarto d’ora.

    Ecco che il nostro riconoscere il valore del tempo svanisce.

    Il tempo non esiste, dice il fisico Carlo Rovelli. 

    Certo lui si rivolgeva agli atomi e alla fisica quantistica ma, letto così, dalla finestra della nostra quotidianità e della nostra vita social/digital, come dargli torto.

    Eppure, sembra molto importante per noi riconoscere il valore del tempo o meglio, la pretesa che gli altri ce lo riconoscano.

    La nostra urgenza di riconoscimento e gratificazione ci porta a trascurare chi siamo, cosa sentiamo e ad essere sempre “esposti” fuori da noi.

    Siamo alla rincorsa di un traguardo che è destinato a non arrivare mai.

    E proprio per questo, sempre in un vortice di frenetica ricerca di un significato e, per necessità di omologazione ad un modello, pretendiamo che gli altri riconoscano lo stesso valore che noi diamo al nostro tempo.

    Tutto ciò ci porta in una dimensione di stress, ansia, errori, pensieri circolari che ci intrappolano e ci consumano.

    Riconoscere il valore del tempo non ha nulla a che fare con una serie di numeri che si susseguono nelle lancette che fanno il giro, negli appuntamenti da schedulare, nelle scadenze come ultimatum.

    La pazienza è il luogo dell’esistere.

    Il tempo è molto di più. E’ il luogo dove noi esistiamo.

    Le nostre emozioni vivono nel tempo e i nostri sogni fluttuano con lui. 

    Il valore del tempo è l’essenza del fluire della vita, il flusso che ci accompagna nella traversata. E’ in questo luogo che emerge la  pazienza come strategica e produttiva.

    Il tempo è lo spazio che la vita ci concede per esprimere noi stessi, nel dare forma alla nostra capacità generativa.

    E’ il luogo dell’atto magico della creazione, come sostiene Alejandro Jodorowsky

    Come riconoscere il valore del tempo e della pazienza e riappropriarsene come risorsa vitale?

    Riappropriarsi del valore del tempo significa riordinare le priorità, per ordinare la nostra quotidianità.

    Una vita ordinata è una vita che ha dei ritmi che risuonano con noi.

    Spesso sono ritmi che ci spingono a sincronizzarci con quelli della Natura.

    Ritrovare il valore della luce e del buio. 

    Dei tempi di lavoro, e di quelli necessari di riposo. 

    Dell’apertura all’esterno e del raccoglimento interno.

    Ritmi che ci riportano ad uno stato di ricerca di benessere generale che è auto-generativo di tempo di valore.

    Questo meccanismo provoca benessere diffuso che crea una sincronizzazione sia nella vita personale che in quella lavorativa.

    La pazienza va riscoperta

    Il cervello è un organo che può processare situazioni complesse: per farlo ha necessità di conoscere e vedere i dettagli della situazione. 

    Più ampia è la visione più elevata la possibilità di trovare una soluzione.

    Steve Jobs nel suo discorso ai neolaureati di Stanford disse: unite i puntini! 

    Occorre avere la capacità di conoscere se stessi, i propri desideri, avere memoria e conoscenza del passato e fede/ desiderio nel futuro per vedere i puntini, ed affidarsi alla propria intuizione, a mente libera e respiro aperto, per unirli.

    Bisogna concedersi il tempo di osservazione, impregnazione,definizione del Sé e consapevolezza del proprio desiderio.

    La pazienza va allenata

    La pazienza è uno stato attivo. 

    E’ il modo corretto per rapportarsi alle azioni degli altri, e alle attese delle conseguenze delle nostre.

    Nella storia, è arte del condottiero, del campione, del saggio.

    Attendere con pazienza equivale a non consumare in fretta l’azione ma costruirla, avere fede in quanto messo in atto e aspettare che la vita restituisca una risposta, positiva o negativa. 

    E così la pazienza presuppone anche l’accoglienza. 

    La certezza che tutto ciò che accade è per il nostro bene.

    La pazienza è una virtù, un Maestro che ci chiama ad un insegnamento necessario per avanzare più forti e flessibili di prima.

    La pazienza allena anche la gratitudine, l’abilità di trovare il buono anche nell’attesa o nel risultato non conforme a quello sperato.

    La pazienza se non c’è si può desiderare

    Nel senso che implica movimento e il presupposto di averla per poterla portare.

    Quindi se non c’è, possiamo iniziare a desiderarla.

    Desiderare di essere “portatori sani di pazienza” significa essere in presenza, essere nel qui ed ora, accettarlo e fluire con esso, senza giudizio e tendenzialmente senza aspettativa.

    Il desiderio è la forza che ci fa avanzare nella vita. 

    L’origine della parola desiderio è una delle più belle e affascinanti che si possa incontrare attraverso lo studio etimologico.

    E’ composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.

    Desiderare significa, quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”: la mancanza che ha come conseguenza l’attivazione di un sentimento di ricerca appassionata.

    Tutto ciò che alimenta il nostro desiderio ci rende svegli e creativi.

    E’ importante separare il desiderio (legato al Sè) dalla brama (legata all’Io).

    Per farlo occorre, di nuovo, dare spazio, ascoltarsi, dare valore al tempo dell’ascolto.

    “Prendersi il tempo per “ non significa “ Perdere il tempo in”

    Come scrive Robert Greene in Mastery:

    “Il più grande ostacolo alla creatività è la tua impazienza, il desiderio quasi inevitabile di affrettare il processo, esprimere qualcosa e fare colpo.”

    Andare più lenti e prestare ascolto a gesti e parole permette di vedere e sentire una grande quantità di cose che in altro modo non potremmo percepire.

    Ci consente di prendere il respiro, entrare in contatto con noi stessi e ragionare a un livello più profondo diventando una persona migliore.

    Dedicare tempo al lavoro significa dare valore a ciò che fai, affinchè il tuo operato ti renda orgoglioso, attivo ed efficace.

    Questo è l’unico modo in cui possiamo fare davvero un ottimo lavoro.

    Quindi riconoscere il valore del tempo e far fiorire la  pazienza come qualità strategica e produttiva, che ci permette di aprire nuovi scenari di azione, significa RALLENTARE. 

    ESERCIZIO n. 1

    Per una giornata intera prova a:

    . fare l’elenco delle cose da fare

    . elimina la maggior parte, mantenendone solo 3

    . oggi dai spazio solo alle 3 che hai selezionato e falle molto più lentamente di come le faresti di solito

    . Annota sensazioni ed emozioni che affiorano, senza giudicarle, semplicemente annota

    Se hai voglia di condividere puoi scrivermi direttamente o qui sul blog o via mail.

    ESERCIZIO n. 2 

    Condividiamo una poesia che speriamo sia per te spunto di riflessione sull’importanza del riconoscere  il valore del tempo.

    Non ti auguro un dono qualsiasi,

    ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

    Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

    se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.

    Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,

    non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

    Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,

    ma tempo per essere contento.

    Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,

    ti auguro tempo perché te ne resti:

    tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

    Ti auguro tempo per guardare le stelle

    e tempo per crescere, per maturare.

    Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.

    Non ha più senso rimandare.

    Ti auguro tempo per trovare te stesso,

    per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

    Ti auguro tempo anche per perdonare.

    Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

    Elli Michler

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Il daimon del purpose personale e aziendale

    Il purpose personale è il nostro demone

    Aristotele introdusse per primo il concetto di eudaimonia, che etimologicamente significa eu=bene e daimon= demone. La buona riuscita del tuo demone. Ciascuno di noi ha dentro un demone. Lo sapevi?

    Qual’è la tua virtù? Virtù, in greco aretè, significa capacità e non ha nulla a che vedere con retaggi cristiano religiosi.

    Perché sei qui?

    Cosa ti spinge a fare nella vita l’ingegnere, piuttosto che il cuoco, il maestro ecc.?

    L’hai già scoperto il tuo demone? 

    Se l’hai scoperto, ne sei posseduto e se ne sei posseduto, lo realizzi perché lo sei, perché non c’è separazione, e quando lo realizzi raggiungi la tua eudaimonia, la buona riuscita del tuo demone, la tua autorealizzazione. 

    Come facciamo a conoscere il nostro daimon?

    Il prof. Galimberti, in una sua conferenza, ci riporta il “Conosci te stesso” dell’Oracolo di Delfi. Se non conosci te stesso, come fai a sapere qual è il tuo demone? Non lo trovi sui social o alla televisione, neanche nei testi o facendo mille corsi. Certo, alcuni stimoli esterni ti possono aiutare, ma devi fare un lavoro maieutico, di autoriflessione, devi capire chi sei. A qualsiasi età, non solo giovani, anzi, sempre più spesso ci sono adulti in azienda che, per 5 giorni alla settimana, realizzano scopi appartenenti al sistema organizzativo di cui fanno parte e nel weekend, quando potrebbero approfittare di questo tempo, scappano da se stessi come il peggior nemico. Spesso le attività del weekend sono un’ulteriore distrazione da Sé.

    Quindi?

    Il secondo grande tema dell’oracolo di Delfi è “secondo misura”. Magari sei un manager, ma non sei bravo come i 100 top manager di Forbes. I greci ci dicono “non tentare di essere come loro, trai ispirazione, ma esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura, perché altrimenti prepari la tua “rovina”. Non significa non fare il meglio che puoi, inizia per prima cosa a conoscere i tuoi limiti, le tue credenze autosabotanti, i tuoi desideri, le cose che ti piace fare, quelle che ti vengono bene senza averle imparate.

    Esplora Interessi: Prova nuove attività, hobby o esperienze per scoprire cosa ti appassiona. L’esplorazione di interessi può portarti a scoprire aspetti di te stesso che potrebbero contribuire al tuo purpose.

    Ascolto di Sé: Presta attenzione ai tuoi sentimenti, emozioni e intuizioni. Cosa ti fa sentire appagato? Cosa ti entusiasma? Ascoltare sé stessi può essere una guida preziosa per identificare il tuo purpose.

    Analizza Esperienze Passate: Rifletti sulle tue esperienze passate, sia personali che professionali. Quali attività o momenti ti hanno dato maggiore soddisfazione e senso di realizzazione?

    Conversazioni Significative: Parla con amici, familiari o mentori su ciò che trovi significativo nella vita. Altre persone possono offrire prospettive utili e aiutarti a identificare aspetti importanti di te stesso.

    Coaching o Consulenza: Considera la possibilità di lavorare con un coach o un consulente che può guidarti nel processo di scoperta personale e aiutarti a identificare il tuo purpose.

    Sperimenta il Volontariato: Il volontariato in organizzazioni non profit o comunitarie può offrire opportunità per contribuire alla società e nello stesso tempo scoprire ciò che ti appassiona.

    Impara Dall’Errore: Non avere paura di provare nuove cose e anche di sbagliare. L’esperienza e l’apprendimento dagli errori possono essere parte integrante del percorso di scoperta personale.

    Fai Domande Profonde: Poni domande profonde a te stesso, come “Cosa vorrei lasciare come eredità?” o “Quale segno voglio lasciare del mio passaggio?”. Le risposte a queste domande possono aiutarti a definire il tuo purpose.

    Per i greci esisteva solo la “giusta” misura. La “giusta” misura era per esempio il timpano che permetteva di costruire il tempio. Perché la giusta misura crea la giusta bellezza, cioè la giusta proporzione degli elementi. Per i greci la categoria della “giusta” misura aveva a che fare con la mortalità dell’uomo. Quella era la misura di tutte le misure. ‟Katà Métron”, dicevano i greci, come contenimento del desiderio, della forza espansiva della vita che, senza misura, spinge gli uomini a volere ciò che non è in loro potere, declinando così il proprio ‟demone”, la propria disposizione interiore non nella felicità (eu-daimonia), ma nell’infelicità (kako-daimonia), che quindi è il frutto del malgoverno di sé e della propria forza, obnubilata dalla voluttà del desiderio, che diventa un buco nero, perché sempre alimentato dalla mancanza.

    Anche secondo Carl Gustav Jung, ognuno di noi possiede il suo “demone” e per realizzarsi pienamente deve scoprirlo. Il daimon diventa così l’equivalente della vocazione, dell’energia positiva e creativa che ciascuno possiede. Diventa allora centrale scoprire il proprio demone e risvegliarlo. La tradizione orientale ci parla di IKIGAI (sense of life) o SANKALPA, intento. L’intento nello yoga è una connessione con la verità più alta(san) e “voto” (kalpa) denotare una volontà affermativa di fare qualcosa o raggiungere qualcosa di spirituale.

    Viene identificato con una precisa determinazione, uno scopo, una affermazione. Anche se il daimon esiste dentro di noi dalla nascita, la vita in società e le convenzioni potrebbero sopirlo, anestetizzarlo. Scoprire il proprio genio e riportarlo alla luce significa compiere un profondo scavo dentro di sé. Il daimon è la quintessenza della creatività e quindi è possibile che gli altri non lo comprendano: le idee che ci ispira potrebbero essere originali o strambe, coraggiose o temerarie. Secondo lo psicologo esistenzialista Rollo May vivere seguendo il proprio genio è un’impresa difficile, ricca di ostacoli, ma in grado di regalare le migliori soddisfazioni. Seguire il proprio daimon non significa, secondo questi psicologi, aderire al canone del “genio e sregolatezza” responsabile delle fini tragiche di tanti artisti. Il daimon può spingere a traguardi inediti, imprese ardite, perfino pensieri dissimili dalla massa, ma è sempre orientato al dominio di sé, alla calma, alla felicità. Chi ha smesso di lottare contro il proprio daimon e cammina al suo fianco è tutt’altro che uno squilibrato. Aristotele diceva infatti che la felicità è “vivere in armonia col proprio buon demone”. 

    Cosa impedisce di avere chiaro il proprio daimon personale?

    Complessità Individuale:

    La personalità e le esperienze di vita di ciascun individuo sono uniche. Identificare il proprio purpose richiede una comprensione approfondita di sé stessi, compreso il riconoscimento dei propri valori, passioni e talenti.

    Pressioni Esterne:

    La società, la famiglia e altre influenze esterne possono esercitare pressioni sulla definizione del successo in modi che non riflettono necessariamente i desideri più profondi e autentici di una persona.

    Cambiamenti Continui:

    Le persone cambiano nel corso della vita a causa di esperienze, maturità, nuove conoscenze e cambiamenti di prospettiva. Ciò può rendere difficile stabilire un purpose fisso, poiché esso può evolversi nel tempo.

    Paura del Giudizio:

    La paura del giudizio degli altri o il timore di non rispondere alle aspettative possono limitare la sincerità con se stessi e rendere difficile il riconoscimento e la ricerca del proprio purpose.

    Mancanza di Consapevolezza:

    Alcune persone potrebbero non essere consapevoli dell’importanza del purpose personale o potrebbero non aver mai dedicato il tempo necessario per esplorare se stesse e i propri valori profondi.

    Crisi di Identità:

    Eventi significativi o periodi di transizione nella vita, come cambi di carriera, perdite personali o crisi esistenziali, possono portare a una riflessione più profonda sulla propria identità e purpose.

    Culturali e Sociali:

    Le influenze culturali e sociali possono spingere gli individui a seguire determinate carriere o stili di vita che potrebbero non essere in armonia con il loro vero purpose.

    Mancanza di Esperienze Diverse:

    L’assenza di opportunità per sperimentare una varietà di attività e contesti può rendere difficile scoprire ciò che davvero appassiona e motiva.

    Aspettative non realistiche:

    Alcune persone possono avere aspettative irrealistiche rispetto a cosa significhi trovare il proprio purpose. Cercare un significato profondo può richiedere tempo e pazienza.

    Riflessione Continua:

    Trovare il proprio purpose non è un evento singolo, ma piuttosto un processo in continua evoluzione. La riflessione continua e la volontà di adattarsi sono fondamentali.

    Affrontare queste sfide richiede tempo, È un viaggio personale che può richiedere pazienza, ma è anche un’opportunità per crescere, imparare e vivere una vita più autentica e significativa.

    Esiste anche il demone aziendale

    L’eudaimonia lavorativa consiste nel riconoscimento e nella valorizzazione di una serie di specifiche capacità, funzioni caratterizzanti una vita lavorativa degna di essere vissuta. Un problema che si agita da secoli nelle viscere dell’occidente: il lavoro separato dalle ragioni del vivere.
    Quando lavoriamo non produciamo soltanto beni o servizi, ma produciamo noi stessi.

    Un certo modo di intendere, progettare e vivere il lavoro ha depauperato la nostra esistenza. L’ha trasformata spesso in una farsa in cui ci ritroviamo a recitare un copione che spesso sentiamo insensato e che non ci aderisce. Il lavoro non sembra in grado di penetrare nel cuore dell’uomo e di ‘alimentarne’ l’esistenza. Non si preoccupa di significare la vita umana, e da essa ottiene in risposta disagio e apatia. Ancora per molti è una semplice parentesi di routine, che divide dal fine settimana, dalle ferie o dalla pensione. Ricettacolo di nevrosi e frustrazioni, individuali e collettive, fa sovente emergere il peggio dell’essere umano in fatto di pochezza morale, cinismo e povertà interiore. La grande separazione tra vita e lavoro è antica quanto la civiltà occidentale. Si pensi solo alla netta distinzione tra l’otium (il tempo dedicato alla pienezza creativa e alla creazione di sé) e il negotium (il tempo del lavoro gravoso e dell’arricchimento monetario)

    Il principio di ‘performanza’ e di ‘prestazione’, ha ridotto il senso del lavoro a due sole accezioni: 

    1. azione produttiva finalizzata all’efficace ed efficiente raggiungimento dello scopo sulla base di un progetto produttivo; 
    2. merce retta dal mero calcolo di un tornaconto, assorbita nella contabilità monetaria. 

    Nessuno spazio ulteriore. Preda dei gorghi dell’utile, dell’utilizzabile e del monetizzabile, il lavoro purtroppo spesso si è ‘de-esistenziato’. Il principio di prestazione ha oscurato un altro essenziale significato presente nel termine ‘lavoro’: “quando sono al lavoro sto male”, “nel lavoro riesco a realizzarmi”, “sul lavoro c’è un clima pesante”, che non evocano azioni o prodotti; non mettono in gioco le dimensioni proprie della prestazione; ma ricordano che il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, piuttosto una ‘modalità di esistenza’, uno spazio di vita, un luogo dell’esistere. Una dimensione in cui diamo forma a quello che siamo e a chi vogliamo essere. Lavorare significa innanzitutto ‘vivere’. Il problema allora è: quale vita produce il nostro lavoro?

    Dobbiamo rivedere, riformulare le coordinate che reggono il nostro vivere: rendere il lavoro un rinnovato motore di civiltà. Perché tale idea possa mettere radici occorre che vi sia chi dissodi il terreno e lo fertilizzi. Parlare di ben-essere lavorativo significa ribadire che il profitto non ha senso, per un autentico imprenditore, se scisso dal bene comune. Il vero imprenditore è un ‘avvaloratore’ del mondo, vive e opera per portare, anche attraverso gli utili della sua impresa, un contributo al compimento e al miglioramento del mondo. La misurazione dell’agire in termini di ‘quanto vale’ va costantemente affiancata da considerazioni circa il ‘che cosa esso vale’ alla luce di un progetto partecipato di ben-essere individuale e collettivo.
    Lavoro capace di essere occasione di crescita materiale e, contemporaneamente, spirituale, etica, estetica, relazionale. Occorre avere il coraggio di compiere il ribaltamento prospettico considerato eretico da tanta parte del pensiero occidentale: lo sviluppo integrale delle capacità dell’uomo non va cercato dopo o senza il lavoro, una volta assolte e risolte le sue necessità. L’essere umano è chiamato a incontrare la sua umanità mentre rende davvero umane le sue necessità materiali. Diventa tanto più uomo quanto più aspira a ‘esistenziare’ tutte le sue espressioni, a cominciare dal lavoro produttivo, al fine di farne occasione di buon esistere. Dobbiamo spiritualizzare la materia.

    La “precarietà” di cui spesso si sente parlare, non deriva soltanto dalle clausole del contratto di lavoro: precario è colui che non riesce a dare spessore esistenziale al vivere e continuità di significato alle attività. È chi non è in grado di riunificare il fare all’interno di un disegno unitario, chi non sa o non può raccordarlo a una compiuta idea di sé, degli altri, del mondo. Precario è colui che non vive il lavoro, ma si limita a ‘consumarlo’senza uno scopo, una meta, un senso. Ciò che vale per le persone, vale a maggior ragione per le imprese e per tutti i sistemi organizzativi. La prospettiva eudaimonica aziendale vuole rifuggire da un certo strisciante buonismo. Non ha niente a che fare con un generico appello ai buoni sentimenti. Neppure cade nell’equivoco di interpretare il benessere come dimensione manipolatoria, strumentalmente utilizzabile per ‘possedere’ mente e cuore di chi lavora per poi migliorare produttività e competitività. Il ben-essere eudaimonico, è bene sottolinearlo, trova il suo fine in se stesso: è una scelta etica. Un modo per onorare e rispettare l’essere umano. 


    L’eudaimonia lavorativa si sviluppa a partire dalle seguenti, concretissime domande

    • La persona è lavorativamente nelle condizioni di agire e di vivere in modo pienamente umano? 
    • Può cioè godere delle opportunità per disporre sul lavoro delle sue capacità fondamentali? 
    • Riesce quindi, attraverso il suo lavoro, a essere una ‘persona migliore’, per sé e per gli altri? 

    Sembrano domande che poco hanno a che fare con la dimensione lavorativa, ma è proprio da questo pregiudizio che dobbiamo il prima possibile liberarci! L’autentico ben-essere lavorativo costituisce un bene intangibile in grado di dotare di valore e di qualità profonda qualsiasi sistema produttivo, pubblico o privato, e da cui non si può più prescindere per rendere le imprese italiane davvero innovative e ‘civilmente’ competitive

    L’eudaimonia lavorativa è decisiva per la riduzione dell’assenteismo, la riduzione del numero di errori, l’aumento della produttività, l’innalzamento della percezione del valore del prodotto presso la clientela, il contenimento della conflittualità sindacale, tanto per citare alcuni indicatori traducibili in valore monetario. Il nostro è da troppo tempo un Paese fondato sullo spreco.

    ‘Non distruggere, non offendere, non sprecare risorse’In primo luogo risorse umane! Enormi giacimenti intellettuali, morali e sociali giacciono inutilizzati, spesso in paurose condizioni di abbandono, in ogni settore e ambito, generando un clima di apatia che talvolta sfocia nell’indifferenza, nel cinismo, e quindi nell’inefficienza e nell’improduttività. 

    Penso che oggi ci sia tremendamente bisogno di aiutare le persone a pensare a ciò che fanno e a che cosa fanno di loro stesse nel corso della loro attività lavorativa. 

    • Quali ‘se stesse’ producono? 
    • Quale umanità generano? 
    • Quale mondo determinano? 

    L’importanza di comunicare il purpose aziendale

    Il purpose aziendale si riferisce alla ragione d’essere di un’azienda, il proprio senso e scopo, oltre al semplice perseguimento del profitto. Un purpose aziendale chiaro può fornire una guida strategica e ispirare i dipendenti. Molte aziende oggi cercano di integrare il loro purpose aziendale con impatti sociali e ambientali positivi. Questo può contribuire alla creazione di un marchio solido e alla fidelizzazione dei clienti. L’identificazione e la comunicazione di un purpose aziendale possono anche essere uno strumento per attirare talenti motivati e sostenere la cultura aziendale. In sintesi, sia il purpose personale che quello aziendale sono orientati verso una direzione significativa e ispiratrice. Nel contesto aziendale, un purpose chiaro può anche contribuire al successo a lungo termine e al coinvolgimento dei dipendenti. Dopo aver fatto chiarezza tra  purpose personale e aziendale, è importante tradurli in azioni concrete allineate. Ecco alcuni passi che potresti considerare:

    Purpose Personale:

    • Allineamento delle azioni: Assicurati che le tue azioni quotidiane siano in linea con i tuoi valori e il tuo purpose personale. Questo potrebbe comportare la definizione di obiettivi personali che riflettano ciò che è davvero importante per te.
    • Crescita personale: Cerca opportunità di apprendimento e crescita personale che contribuiscano al tuo sviluppo in linea con il tuo purpose. Ciò potrebbe includere corsi, esperienze di volontariato o connessioni con persone che condividono i tuoi valori.
    • Bilanciamento vita-lavoro: Cerca un equilibrio tra la tua vita personale e professionale, assicurandoti che entrambe le sfere contribuiscano al tuo benessere e al perseguimento del tuo purpose personale.
    • Individuare i Punti di Convergenza: Cerca i punti in comune tra il tuo purpose personale e quello aziendale. Identifica come i tuoi valori personali possono integrarsi nella cultura aziendale e nei suoi obiettivi.
    • Coinvolgimento e Conversazioni: Coinvolgiti in conversazioni con colleghi e leader aziendali per comprendere meglio il purpose aziendale e condividere il tuo purpose personale. Questo favorisce la trasparenza e la comprensione reciproca.
    • Stabilire Obiettivi Personali Allineati: Identifica obiettivi personali che siano allineati con gli obiettivi aziendali. Ciò può contribuire a un senso di scopo e direzione nella tua carriera.
    • Partecipare a Iniziative Aziendali: Partecipa attivamente a iniziative aziendali che riflettano il purpose dell’organizzazione. Questo può includere progetti sociali, iniziative di sostenibilità o attività di volontariato.
    • Proporre Miglioramenti e Innovazioni: Proponi idee e iniziative che integrino il tuo purpose personale e contribuiscano al successo dell’azienda. La creatività e l’innovazione possono derivare da una connessione significativa con il lavoro.
    • Rivedere e Aggiornare Periodicamente: Periodicamente, rivedi il tuo purpose personale e assicurati che sia allineato agli sviluppi aziendali. La flessibilità e la capacità di adattarsi sono cruciali.

    Purpose Aziendale:

    • Integrazione nelle decisioni aziendali: Assicurati che il purpose aziendale sia integrato nelle decisioni aziendali strategiche. Questo potrebbe influenzare la scelta di progetti, partner commerciali e iniziative sociali.
    • Coinvolgimento dei dipendenti: Comunica chiaramente il purpose aziendale a tutti i livelli dell’organizzazione e coinvolgi i dipendenti nel processo. Esso implica la storia dell’origine, perché è nata l’azienda, la sua mission e i suoi valori. E’ importante verificare che i collaboratori siano a conoscenza. 
    • Impatto sociale e ambientale: Se il tuo purpose aziendale include un’impronta sociale o ambientale positiva, sviluppa iniziative e progetti che contribuiscano a questi obiettivi. Questo può migliorare la reputazione aziendale e la fiducia dei clienti.
    • Misurazione e adattamento: Implementa indicatori chiave di performance (KPI) che riflettano il progresso verso il tuo purpose aziendale. Monitora costantemente e adatta le strategie se necessario.
    • Coltivare una Cultura di Supporto: Crea un ambiente in cui i dipendenti si sentano liberi di esprimere il proprio purpose personale e contribuire al raggiungimento del purpose aziendale. Una cultura di supporto favorisce l’entusiasmo e il coinvolgimento.
    • Condividere Successi e Esperienze: Condividi i successi e le esperienze legate all’implementazione del purpose aziendale. Questo può ispirare altri colleghi e contribuire a costruire una cultura orientata al purpose.

    In generale, sia il purpose personale che quello aziendale richiedono un impegno continuo e un adattamento in risposta alle sfide e alle opportunità che possono emergere nel tempo. Integrare il tuo purpose nelle tue azioni quotidiane contribuirà a mantenere la coerenza e a dare significato al tuo percorso personale e professionale.

    Come il purpose personale incide sulla crescita aziendale

    Ho tracciato, secondo me, le leve principali:

    Maggiore Motivazione e Impegno: Avere un chiaro purpose personale può fornire una fonte intrinseca di motivazione. Quando le azioni quotidiane sono allineate con i valori e gli obiettivi personali, si sperimenta un maggiore impegno nel perseguire i propri obiettivi.

    Senso di Direzione: il purpose personale agisce come una bussola nella vita, offrendo una guida e un senso di direzione. Sapere cosa è veramente importante aiuta a prendere decisioni più consapevoli e orientate agli obiettivi.

    Resilienza: Chi ha un chiaro purpose personale tende ad essere più resilienti di fronte alle sfide. Una chiara comprensione del motivo per cui si stanno affrontando determinate difficoltà può fornire la forza emotiva per superarle.

    Soddisfazione Personale: Il raggiungimento di obiettivi in linea con il proprio purpose personale contribuisce a una maggiore soddisfazione personale. Questa soddisfazione non è legata solo al successo esterno, ma anche alla sensazione di aver vissuto in coerenza con i propri valori.

    Benessere Emotivo: La coerenza tra le azioni quotidiane e il purpose personale può promuovere il benessere emotivo. Sentirsi autentici e in armonia con se stessi può contribuire a una maggiore felicità e stabilità emotiva.

    Successo Professionale: Nel contesto lavorativo, avere chiarezza sul proprio purpose può guidare le scelte di carriera, facilitare la creazione di reti significative e contribuire al successo professionale a lungo termine.

    Relazioni Significative: Un purpose personale chiaro può influenzare la scelta delle relazioni personali e professionali. Coltivare connessioni con coloro che condividono valori simili può portare a relazioni più significative e appaganti.

    Impatto Sociale: Il purpose personale può ispirare azioni volte a fare una differenza nel mondo. Chi vede il proprio successo collegato a un impatto positivo nella società può sperimentare una gratificazione più profonda.

    Adattabilità e Crescita: Avere un purpose personale non implica rigidità, ma piuttosto flessibilità. Può favorire l’adattabilità e la crescita personale, consentendo di affrontare nuove sfide con un orientamento chiaramente definito.

    In conclusione, il purpose personale può giocare un ruolo chiave nel determinare il successo individuale fornendo una guida interna, una fonte di motivazione e una base per decisioni significative. Tuttavia, è essenziale considerare che il successo è multidimensionale e influenzato da molteplici fattori.

    E se il purpose personale non è allineato a quello aziendale?

    Quando il purpose personale di un individuo non è allineato a quello aziendale, possono verificarsi una serie di sfide e conseguenze sia per l’individuo che per l’organizzazione. Ecco alcuni degli effetti che possono emergere quando c’è una mancanza di allineamento tra il purpose personale e quello aziendale:

    • Mancanza di Motivazione: L’individuo potrebbe sperimentare una mancanza di motivazione e impegno nel lavoro se non riesce a vedere un collegamento significativo tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali. Ciò può portare a un calo della produttività e della soddisfazione lavorativa.
    • Sensazione di Incongruenza: L’incongruenza tra il purpose personale e quello aziendale può generare una sensazione di disconnessione e incongruenza. Questo può influenzare negativamente il benessere emotivo e la stabilità psicologica dell’individuo.
    • Insoddisfazione Lavorativa: L’individuo potrebbe sentirsi insoddisfatto del proprio lavoro se percepisce che le attività quotidiane non contribuiscono al raggiungimento del proprio purpose personale. Questa insoddisfazione può influire sulla permanenza a lungo termine nell’organizzazione.
    • Stress e Affaticamento: La mancanza di allineamento può generare stress, poiché l’individuo potrebbe sentirsi costantemente sottoposto a pressioni in contrasto con i propri valori e aspettative personali. Ciò può portare a un aumento dello stress e dell’affaticamento.
    • Bassa Resilienza alle Sfide: La mancanza di un legame tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali può ridurre la resilienza dell’individuo di fronte alle sfide e alle difficoltà. La mancanza di un motivo significativo può rendere più difficile affrontare le difficoltà con determinazione.
    • Ridotta Creatività e Innovazione: L’allineamento tra il purpose personale e quello aziendale può favorire la creatività e l’innovazione. Quando manca questo allineamento, l’individuo potrebbe non sentirsi motivato a contribuire con idee innovative e a cercare soluzioni originali.
    • Clima Organizzativo Negativo: L’assenza di allineamento può influire sul clima organizzativo generale, portando a un’atmosfera meno positiva e collaborativa. La mancanza di un senso condiviso di purpose può ridurre la coesione all’interno del team.
    • Rischio di Rotazione del Personale:Gli individui il cui purpose personale non è allineato a quello aziendale potrebbero essere più inclini a cercare opportunità di lavoro altrove. Ciò può aumentare il rischio di rotazione del personale per l’organizzazione. E’ quindi fondamentale per l’azienda promuovere la trasparenza riguardo proprio purpose, incoraggiare la partecipazione dei dipendenti nella definizione del purpose e cercare di creare un ambiente in cui gli individui possano vedere il significato e l’importanza del proprio contributo. Inoltre, gli individui possono cercare opportunità all’interno dell’organizzazione che rispecchino meglio i loro valori personali e cercare di integrare il proprio purpose personale nelle attività quotidiane.

    Eudaimonia o Purpose oppure Eudaimonia e Purpose?

    Credo a questo punto abbia senso riprendere i due concetti di eudaimonia e purpose e riflettere come insieme siano la colonna portante della nostra trasformazione, nel momento in cui scegliamo con chiarezza il nostro intento di vita.

    L’eudaimonia rappresenta la realizzazione umana e la felicità complessiva. Abbiamo visto come nella filosofia greca, in particolare nell’etica aristotelica, l’eudaimonia è considerata la realizzazione più alta che deriva dal perseguimento delle virtù morali, dall’attività razionale e dalla piena espressione delle potenzialità umane. L’accento è sulla vita ben vissuta, guidata da valori etici e virtù.

    Il purpose riguarda il motivo o la ragione d’essere. A livello personale, il purpose individuale si riferisce allo scopo o al significato che un individuo attribuisce alla propria vita. A livello aziendale, il purpose aziendale indica la missione o il contributo che un’organizzazione cerca di apportare alla società, oltre al mero guadagno finanziario.

    Sebbene tu possa riflettere su entrambi i concetti e integrarli nella tua filosofia di vita, la scelta tra eudaimonia e purpose può dipendere da ciò che consideri più significativo. E qui entrano in gioco:

    i tuoi Valori Personali: Se dai molta importanza alla virtù, all’etica e alla piena realizzazione personale, l’eudaimonia potrebbe essere un focus significativo.

    il Cercare Significato: Se sei in cerca di un significato più specifico o di uno scopo particolare nella tua vita, potresti concentrarti maggiormente sul purpose individuale.

    il Contributo Sociale: Se attribuisci grande valore a contribuire positivamente alla società o all’ambiente attraverso il tuo lavoro o le tue azioni, il purpose aziendale potrebbe essere cruciale.

    Molte persone trovano un equilibrio tra eudaimonia e purpose, cercando di vivere in modo etico, perseguendo la realizzazione personale e contribuendo al bene comune. Spesso, perseguire uno scopo che risuona con i propri valori etici può portare a una maggiore eudaimonia. La chiave potrebbe essere considerare entrambi i concetti in modo complementare, poiché un purpose significativo può arricchire la vita, portando a una maggiore realizzazione eudaimonica. In ultima analisi, la scelta dipende da ciò che risuona di più con la tua visione del mondo e con i tuoi obiettivi personali.

    Se sei interessato ad approfondire questo tema c’è un nuovo corso “Potenzia le tue risorse e rendile manifeste”. Per informazioni scrivici a info@myhara.it

  • Il metodo

    Da team a “team sublime” c’è di mezzo…l’armonia consapevole

    Dopo complementarietà e rispetto è il momento di introdurre il terzo ingrediente del team sublime: l’armonia consapevole.  Se ti sei perso gli articoli precedenti li puoi trovare qui:

    Mi sono sentita attratta e, nello stesso tempo, in soggezione all’idea di riflettere su un concetto elevatissimo, per non dire davvero “sublime”, peraltro strettamente correlato alla bellezza.

    Da quale prospettiva scrivere di armonia nel business? Chi sono io e, soprattutto, quanta consapevolezza c’è tra le persone in azienda, sul significato autentico di armonia.

    La parola “armonia” deriva dal greco,la radice ar- indica unione, disposizione, proporzione, derivante, da armozein connettere, collegare.

    Non è solo una concordia emozionale ed intima; non solo un’unità di intenti, un’alleanza; non solo una proporzione raffinata, una disposizione accurata, l’armonia è l’incastro perfetto di travi che assembla uno scafo completo, uno scafo che ha un fine: muoversi in mare.

    Inoltre  la parola “armonia” ci richiama inevitabilmente alla musica.

    Pitagorici e lo stesso Pitagora definivano il mondo come ‘quadruplice armonia’: armonia degli archi e della corda, del corpo e dell’anima, dello stato, del cielo stellato.

    L’armonia del mondo era intesa come armonia musicale. Il pensiero greco individua nell’armonia la discordia, legge in essa una ‘sinfonia’ di elementi contrastanti.

    (Vi invito ad ascoltare questi brani durante la lettura di questo articolo per sperimentare l’armonia.

    Filolao, filosofo, astronomo e matematico greco antico, afferma «l’armonia si genera dai contrasti, infatti l’armonia è fusione del molteplice e concordia del discorde».

    Damone, matematico e politico pitagorico del V secolo, indicava nella musica il pilastro principale dello Stato e riteneva che questa contribuisse alla formazione dello spirito trasmettendo la nozione della virtù e della stabilità politica. 

    Platone mette in relazione la musica con la vita della comunità, affermando che la musica è la salvezza della polis.

    Archita, pitagorico tarantino del IV secolo, individuò l’essenza dell’anima individuale e dell’anima del mondo nei toni musicali e fissò le leggi fisiche su cui si fondava quest’arte;

    Basandosi sugli studi di Archita, Platone mostra come

    • il concetto musicale dell’armonia del mondo
    • il concetto fisico della regolarità del cosmo,
    • il concetto religioso dell’esistenza di un’anima del mondo 

    siano fusi insieme: poiché l’anima è la causa della vita, la quale si manifesta con movimenti regolari e ordinati tutti tesi ad un fine particolare, l’anima del mondo costituisce il principio del movimento ordinato dell’Universo ed è garante dell’ordine dei cieli, della perfezione fisica e astronomica dell’universo, della bellezza del creato. 

    Armonia consapevole quindi come diversità che però mantiene i collegamenti tra le parti.

    L’essenza della diversity and inclusion è l’armonia consapevole

    Quanto siamo vicini o lontani da questa armonia?

    Durante il nostro focus group una partecipante ha condiviso come, nel suo team ha scelto consapevolmente di trascorrere del tempo, fuori dai tempi lavorativi regolari, con una nuova manager “straniera” affidatale, che non parlava italiano e che era a Milano da poco tempo. Per poterla conoscere meglio, dato il poco tempo sempre a disposizione, ha scelto di portarla con sé per qualche giorno, durante un viaggio di lavoro, anche se lei non era propriamente “necessaria”, di uscire più volte a cena con lei, di ascoltare la sua storia, di “entrare nella sua vita” in punta di piedi e scoprire le sue passioni e i suoi desideri. 

    Il risultato è avere oggi nel team una donna motivata, di contributo, che con la sua cultura e mentalità così differente porta stimoli e ricchezza nel team. 

    Esercizio:

    Puoi fare qualcosa di simile nel tuo team? Quale collega potresti conoscere meglio facendogli un’intervista approfondita, dove ti impegni ad ascoltare tutto ciò che lo riguarda fuori dall’ambito lavorativo?

    L’ascolto non basta per creare armonia consapevole

    Il valore dell’ascolto però va oltre le parole: non c’è un vero ascolto se quello che abbiamo detto o ascoltato, non suscita anche un movimento interiore.  Non ci basta essere ascoltati, desideriamo anche venire sentiti.

    Ripensando all’armonia musicale nel team sublime è necessario che ogni strumento coinvolto segua una serie di regole che gli consentono di abbandonare la sua linea di produzione individuale, spostandola su un pentagramma condiviso. È questo il processo che permette la realizzazione di quel prodotto piacevole e coinvolgente per l’orecchio, che un semplice accostamento di suoni non può offrire. 

    Spesso, all’interno di un team aziendale manca quel concetto di armonia consapevole che serve a distogliere l’attenzione dalle prestazioni individuali, spostandola all’attività collaborativa. Lavorare insieme in maniera armoniosa, infatti, significa mettere in moto un meccanismo in cui l’ordine e il rapporto tra le parti è perfettamente in equilibrio.

    Nell’armonia musicale, il movimento dei suoni è indirizzato da regole, che fanno in modo che ogni nota segua la giusta direzione, producendo la sonorità corretta. 

    In un team, la direzione strategica spinge i singoli individui, con i propri talenti, a muoversi nella giusta direzione, facendo in modo che ogni singolo lavoro venga concatenato a un altro, dando un senso compiuto nella lettura d’insieme. 

    Diventano tanti i fattori che concorrono a creare armonia consapevole. Sicuramente ci sono 2 piani distinti: l’armonia dell’individuo e l’armonia del gruppo e l’azienda oggi non può prescindere da entrambi. Ma quando si crea armonia nel gruppo, il gruppo è più intelligente di ciascuno dei suoi membri. E l’armonia diventa contagiosa.

    D’altro canto quando andiamo a misurare l’armonia al nostro interno, spingendoci nella penombra dei nostri stati d’animo, scopriamo quanto una vita armonica corrisponda, in larga misura, a una vita felice.

    Joachim Retzbach, in proposito, mette in fila quattro elementi che portano a un’esistenza felice: 

    1. pensare che ciò che facciamo non sia irrilevante, 
    2. sentire di avere un posto nel mondo, 
    3. conoscere i nostri obiettivi 
    4. perseguirli con coerenza.

    “Le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia che è compito dell’uomo scoprire per il bene dell’uomo stesso e la gloria del Creatore.” Mendel

    Ma quindi che cos’è l’armonia cosapevole?

    Ti propongo una storia che sono certa ci aiuti a comprendere:

    “C’era una volta un re che offrì un gran premio a quell’artista che avesse saputo captare in una pittura la pace e l’armonia perfetta. Molti artisti lo tentarono. Il re osservò ed ammirò tutte le pitture, ma solamente due gli piacquero realmente e fra quelle dovette scegliere.
    La prima era un lago molto tranquillo: uno specchio perfetto nel quale si riflettevano alcune montagne che lo circondavano. Su questi, un cielo molto azzurro con tenui nuvole bianche.
    Tutte le persone che guardarono la prima pittura pensarono che rappresentasse l’armonia perfetta. La seconda pittura invece rappresentava montagne, ma queste erano scabrose e prive di vegetazione. Su di esse, un cielo tempestoso dal quale cadeva un impetuoso acquazzone con lampi e tuoni.
    Sotto la montagna sembrava di udire rimbombare l’acqua di uno spumeggiante torrente. Niente di pacifico in tutto ciò.
    Ma quando il Re osservò accuratamente, si accorse che dietro la cascata c’era un delicato arbusto cresciuto in un anfratto della roccia.
    In questo arbusto si scorgeva un nido.
    Lì, in mezzo allo scroscio della violenta cascata, era posato placidamente un uccellino dentro al suo nido. Il Re non ebbe più esitazioni e scelse questa pittura e spiegò:

    “Armonia non significa un luogo senza rumori, senza problemi, senza duro lavoro o senza dolore.
    Armonia significa che, nonostante ci si trovi in mezzo a tutte queste realtà, esiste calma e serenità dentro il nostro cuore. “
    Questo è il significato dell’Armonia e ne abbiamo un bisogno profondo.
    L ’Armonia è comunque uno degli ingredienti  principali, alla base del nostro vivere ed essa non dipende dall’esterno, bensì da quello che portiamo nell’intimo, nel profondo del nostro essere.
    Ogni giorno ci sono ostacoli, situazioni dinamicamente intense, problemi e difficoltà da affrontare e risolvere e spesso ci si lascia assalire dall’ansia, dalla pesantezza del momento e ci si carica più del dovuto di ulteriori  pensieri, che sicuramente non aiutano a sciogliere la matassa, già intricata di suo.

    Pensare quindi di riuscire ad adempiere alle stesse cose, con maggiore calma e serenità, ad alcune persone sembra impossibile, non solo: diventa fonte di ulteriori complicazioni interiori, perché la sola idea fa scattare un senso di impotenza, di inadeguatezza.
    Al contrario riuscire a farlo è molto più semplice di quanto si possa credere: si può conservare serenità e armonia consapevole, per poter risolvere tutto senza cadere nella disperazione, né colpire gli altri con l’impazienza o con l’ira, senza esaltarsi o deprimersi, trovando soluzioni attraverso una riflessione accurata: senza ingrandire né minimizzare i problemi.
    Il primo passo per invitarla a far parte della nostra vita è sicuramente  il “vivere nel qui e ora”.

    Esercizio: Visualizzazione della montagna:

    “Trasformandoci in una montagna, nella nostra meditazione, possiamo penetrare nella sua forza e stabilità e farle nostre, usando le sue energie a sostegno dei nostri sforzi, intesi ad affrontare ogni momento con consapevolezza, equanimità, armonia e chiarezza“. Jhon Kabat Zinn

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

  • Il metodo

    Essere squadra o fare squadra per stare bene in azienda?

    Essere squadra ha a che fare con la nostra mente coscienziale, fare squadra con la nostra mente animale.

    D’altro canto, noi siamo catalogati come una specie animale umana, come dice Rossella Rustici e non siamo catalogati come specie umana consapevole.  Per diventare consapevoli dobbiamo agire sulla nostra mente umana coscienziale.

    Siamo composti da:

    • mente umana in cui si sviluppa la nostra coscienza 
    • mente animale, del mammifero, rettiliana

    Ogni giorno c’è una lotta tra la mente animale e la mente umana.

    In questa lotta spesso la nostra mente umana, la nostra coscienza perde colpi

    viene assorbita dalla mente animale.

    E’ fondamentale che la mente coscienziale mantenga la sua scala di valori

    (amore, etica, responsabilità, vita, gioia, bellezza, tipiche di una mente spirituale, dove spirituale non deve essere confuso con religioso)

    I desideri della mente animale sono quelli di ricercare le zone di comfort per adattarsi all’ambiente. L’adattamento alle zone comfort ci porta a cercare di avere sempre più cose possibili. L’avere non è l’essere della mente coscienziale. Nella mente coscienziale sono presenti emozioni come: provare gioia, serenità, fare le cose con empatia, amore, aiuto, rispetto,non calpesta ecc.  

    Quando la mente coscienziale colpisce gli altri e l’ambiente a cui si rivolge tutti ne restano contaminati e si produce in generale più serenità, collaborazione, vita, positività ecc. 

    Quando non riesco a collegarmi alla scala di valori positivi, continuo a stare legata alla mente animale (mi arrabbio, non rispetto gli altri ecc) Mancando la scala dei valori della propria coscienza, manca la consapevolezza se ciò che sto facendo sia giusto o sbagliato per me, se faccia bene o no anche agli altri. La mente animale ha le regole dell’adattamento all’ambiente per sopravvivere (le leggi di capobranco, del gregario, del maschio alfa, del potere, lotta per il territorio, ecc.) Non ha la consapevolezza del giusto o sbagliato.

    La nostra mente coscienziale non si adatta all’ambiente per sopravvivere, come fa la parte animale che cerca sempre zone di comfort. Ma adatta l’ambiente a se stessa, alle proprie energie. Si può capire la lotta che c’è tra la parte animale e la mente coscienziale. Sono nettamente in opposizione

    Proviamo dunque a chiedere ad a un collaboratore o a un candidato durante un colloquio di selezione, cosa significa fare squadra o essere squadra e non dovremmo stupirvi se le risposte che otterremo oscilleranno tra affermazioni romantiche, ma poco concrete come “essere in perfetta sintonia con i colleghi” e tra dichiarazioni di intenti più simili a slogan elettorali quali “tutti uniti verso un comune obiettivo”.

    Difficile sviluppare un’abilità così fondamentale e da tutti dichiarata di possedere, se in partenza, già nel singolo individuo c’è confusione.  

    Essere squadra significa definire prima la propria scala di valori e verificare se corrisponde a quella del team, prendere accordi sulle questioni organizzative e comportamenti condivisi, che concilino efficienza, efficacia, gratificazione ed espressione personale di ogni membro della squadra.

    Per essere squadra è importante farsi domande

    Alcune di esse potrebbero essere:

    • Cosa mi impegno a fare per accrescere la sinergia del team e mantenere alto il mio livello di soddisfazione e motivazione personale?
    • Cosa perderei se togliessi un po’ del “mio fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    • visibilità, 
    • rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “speciale”, 
    • crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso, o scopo, è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Qual è lo scopo di essere o fare squadra?

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio non emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

     Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    • Che vantaggi trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo e dell’essere squadra? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Bisogna lavorare dall’interno, verso l’esterno.

    Un gruppo va costruito dall’interno e va guidato con strumenti che permettano alle persone di mantenersi nella propria centralità ed unicità, armonizzandosi poi con il team, anche di fronte a momenti di alta pressione lavorativa.

    Tu non sei speciale, sei unico.

    Tutto ciò nasce dall’osservazione, prima di sè stessi, dall’aver registrato una memoria nel corpo fisico di forze interne ed esterne che si allineano, per poi imparare a dosarle nel gruppo, per nutrirlo ed arricchirlo. I nostri corpi hanno l’intelligenza necessaria per relazionarsi e ciò che si manifesta sono leggi della fisica che regolano tutta la materia, dai filamenti cellulari ai corpi dell’universo. C’è un’armonia sottostante e il nostro corpo la conosce. Se la ricorda.

    La scelta tra  essere  o fare squadra  coinvolge il singolo su tutti e 3 i livelli:

    • fisico
    • mentale
    • emotivo

    L’energia del corpo fisico è la prima leva potente di comunicazione non verbale che non tradisce. Si accede ad una lettura facilitante, se ci si pone attenzione.

    Vantaggi e Svantaggi dell’essere o fare squadra da remoto o in presenza

    Vero è che nel team in remoto è una lettura estremamente difficile quella del corpo fisico, anche se con un buon allenamento ci si può affinare. Sicuramente si può bilanciare con il cinestesico.

    Ma la postura del corpo fisico è fondamentale nell’essere team ed è estremamente contagiante, soprattutto a livello inconscio.

    Per quanto riguarda la mente, abbiamo accennato all’importanza della scala dei valori che sono la caratteristica della mente coscienziale o spirituale.

    Quali sono i valori che guidano le nostre giornate e le nostre relazioni.

    Esercizio

    Prova a svolgere questo semplice esercizio in due parti:

    1) dalla seguente lista di valori, individua i 10 più importanti per te.

    2) ordinali per importanza. 

    In questo modo avrai una gerarchia chiara e precisa nel caso in cui due valori siano contrastanti su una determinata questione.

    Abbondanza, comodità, eccellenza, impegno, pazienza, serenità, abilità,  perdono, accettazione, educazione, indipendenza, perfezionismo, severità, adattabilità, coerenza, efficacia, perseveranza, affetto, efficienza, integrità, persuasione, sicurezza, affidabilità, compassione,  intelligenza, piacere, sincerità, allegria, competenza, eleganza, portamento, socializzazione, altruismo, competizione, intimità, positività, solidarietà, ambizione, comprensione, empatia, intuizione, potere, amicizia, comunità, equilibrio, spiritualità, amore, equità, leadership, precisione, controllo, tradizione, lealtà, prestigio, stabilità, apertura, cooperazione, esperienza, libertà, privacy, successo, appartenenza, coraggio, etica, prudenza, supremazia, apprendimento, correttezza, fama, maturità, puntualità, sviluppo, approvazione, creatività, famiglia, merito, purezza, tempo, armonia, credibilità, fede, minimalismo, relazioni, tenerezza, assistenza, crescita, fedeltà, natura, religione, umanità, astuzia, curiosità, felicità, reputazione, umiltà, autenticità, decisione, fiducia, obbedienza, responsabilità, umorismo, democrazia, forza, onestà, rettitudine, utilità, autorità, denaro, generosità, onore, ricchezza, autostima, determinazione, gentilezza, ordine, riconoscimento, verità, avventura, devozione, giustizia, organizzazione, rischio, visione, bellezza, dignità, gratitudine, orgoglio, rispetto, vulnerabilità, benessere, disciplina, grazia, ottimismo, sacrificio, calma, gruppo, pace, saggezza, cambiamento, divertimento, guadagno, partecipazione, salute, carriera, dovere, igiene, patriottismo, semplicità

    Se abbiamo chiari i nostri top ten di valori, la capacità di essere team sarà direttamente proporzionale a quanto riusciamo ad esprimere gerarchicamente quelli per noi più importanti.

    Se per esempio, nella tua lista di valori la tranquillità è più in alto rispetto all’orgoglio, deciderai di lasciar cadere quelle provocazioni.

    Se invece l’orgoglio viene prima, deciderai di rispondere a tono rinunciando alla tua tranquillità pur di difendere il tuo onore.

    Comprendere, in base alla propria scala di valori, se l’essere squadra sia per i collaboratori più funzionale in presenza, da remoto o un mix di entrambe ha proprio a che fare con la graduatoria dei valori e permette l’espressione vitale ed autentica delle persone.

    Non c’è una ricetta che possa funzionare per tutti. E sicuramente c’è poi una strategia che debba tenere conto del sistema. Il sistema migliora e si potenzia però solo quando il team è vitale e valorizzato, e per essere squadra è necessario attivare la mente coscienziale dei singoli.  Sicuramente la scala dei valori può essere un buon suggerimento.

    Se sei interessato a confrontarti anche con altre realtà su questi temi, ci vediamo il 6 ottobre a Milano per l’evento dal vivo “Il Team Sublime”: Come sostenere il cambiamento di stato del team da «solido» a «gassoso» e viceversa. Puoi prenotare il tuo posto cliccando QUI.

  • Il metodo

    La Mindfulness come sostegno al cambiamento organizzativo

    cambiamento-organizzativo-myhara

    Il cambiamento organizzativo è come un seme che va piantato e il nostro atteggiamento può far sbocciare e crescere una meravigliosa pianta oppure uccidere il seme sul nascere.

    Le nostre abitudini digitali stanno cambiando il nostro cervello: da esseri umani predisposti all’empatia, all’amore, alla crescita collettiva, ci stiamo disconnettendo. Spesso alla mattina la prima cosa che facciamo, molti di noi ancora sotto le lenzuola, è controllare il cellulare. E’ un’abitudine. Ancora a letto, la giornata non è ancora iniziata, e già ci sentiamo in ansia e stress. Quando ancora siamo nella fase di passaggio tra onde alfa (nel passaggio tra il sonno e la veglia), e le onde beta (quelle che attivano lo stato di allerta e azione) essere sensibili agli stimoli, ci porta in uno stato di re-attività. Quindi, per tutto il resto della giornata, reagiremo “da vittime” agli stimoli esterni, invece di decidere consapevolmente, quale azione vogliamo agire. L’abitudine, o meglio la dipendenza digitale, ci catapulta in uno stato di stress, aggressione, insoddisfazione, frustrazione, ansia e angoscia. Emozioni che facilmente ci portiamo dietro tutto il giorno con colleghi, sconosciuti, con noi stessi e con il partner. E tutto ciò peraltro influenza anche lo stato emotivo degli altri.

    Gli effetti che le nostre dipendenze digitali stanno avendo sulla nostra salute riguardano:

    • il dormire male
    • la concentrazione che è passata negli ultimi decenni da 12 a 8 secondi (meno dei nove secondi di un pesce rosso, secondo uno studio della Microsoft), 
    • l’irascibilità
    • la pazienza
    • la difficoltà a gestire emozioni forti
    • le nostre conversazioni a tavola che spesso sono distratte da suonerie e ricerche in internet.

    Controlliamo mediamente il display del nostro telefono ogni 6,5 minuti per 150 volte al giorno, siamo fisicamente in una stanza, ma la nostra mente è insieme al telefono, in un’altra.

    Quando gli stimoli esterni arrivano, una chiamata, una richiesta, una parola o un gesto, reagiamo come fossero minacce. Diventano fonti di stress, da cui difenderci. 

    Recenti ricerche hanno dimostrato come dal 50% al 70% degli sforzi attivati dalle aziende per realizzare dei cambiamenti organizzativi non raggiungano l’obiettivo prefissato. Uno dei problemi è che il cambiamento organizzativo, qualora riconosciuto, troppo spesso viene considerato un semplice processo da attivare alla stregua di altre procedure aziendali. Ma il cambiamento se si limita ad essere una procedura aziendale è già in sé destinato all’autofallimento.

    Ciò che uccide il cambiamento organizzativo è il nostro atteggiamento mentale. L’abitudine a guardare le cose sempre dallo stesso punto di vista, focalizzandosi sempre solo sui problemi e raramente sulla soluzione.

    E, dal nostro atteggiamento verso il cambiamento nasce l’emozione. Che può essere di ansia e di paura oppure, di speranza e di ottimismo.

    Durante i periodi di cambiamento, gran parte di ciò che accade è spesso fuori dal nostro controllo.

    Il cervello per lo più registra il cambiamento, che sia conosciuto o del tutto ignoto, come una minaccia, in quanto, in realtà, non del tutto conosciuto. La risposta più comune alla richiesta di cambiamento è dunque:

    • cercare di resistere nella posizione attuale di maggior comfort
    • ostacolare l’innovazione che risulta invece incerta

    Gli esseri umani cercano di evitare o ignorare le situazioni specifiche che causano stress. Da un punto di vista psicologico si osserva che solo quando siamo disposti a rimanere aperti, alla situazione presente esattamente com’è, anche se scomoda e incerta, aumenta effettivamente la nostra capacità di gestire lo stress del cambiamento organizzativo. Diventiamo più consapevoli delle nostre risposte emotive di paura e più abili ad attraversarle senza agire– in modo più o meno consapevole – comportamenti di resistenza o di ostacolo al cambiamento.

    Quali sono i maggiori ostacoli del cambiamento organizzativo?

    Si tratta per lo più di:

    • Abitudini
    • Atteggiamenti 
    • Emozioni (paura vs opportunità).

    “L’abitudine si forma a partire dalla gratificazione ripetuta del desiderio, e in questo modo il condizionamento abituale può trasformarsi in compulsione”.

    Nyanaponika Thera, monaco buddista

    Questa definizione del monaco buddista trova sintonia anche nelle scoperte più recenti delle neuroscienze con Gerald Edelman, premio nobel “NeuralDarwinism”

    Il concetto base che li accomuna è che la ripetizione genera l’abitudine.

    Quando ripetiamo all’infinito l’abitudine, si fortifica la relativa connessione neurale, mentre quelle che corrispondono a percorsi alternativi si indeboliscono. Le cellule del cervello corrispondenti al circuito prescelto sviluppano dei collegamenti sempre più forti, mentre i collegamenti relativi a reazioni alternative diventano più deboli. In questo modo le abitudini diventano schemi di comportamento, che ci aiutano ad organizzare il nostro mondo delle informazioni. Sono modelli mentali a cui la mente accede per organizzare, immagazzinare e mettere in atto le conseguenti azioni.

    Questi modelli sono dispositivi mentali essenziali per muoverci in un mondo complesso. 

    Consiglio a tal proposito la lettura di Tara Bennett Golemann “Alchimia Emotiva”.

    La buona notizia è che l’essere umano può imparare qualunque cosa: anche a cambiare i vecchi schemi, quindi le vecchie abitudini! 

    La verità è che il cambiamento, l’incertezza sono proprio ciò che ci contraddistingue.

    Noi siamo incertezza e cambiamento. L’unica cosa di cui siamo certi è che non possiamo non cambiare. Ci impegniamo tantissimo, lottiamo contro il cambiamento, ma ad oggi non abbiamo ancora trovato nulla che sia in grado di evitarlo.

    Il nostro stesso respiro, ciò che ci alimenta ogni istante della nostra vita è qualcosa di cui possiamo diventare più consapevoli, utilizzarlo come “strumento” per vivere meglio ma …sempre in prestito perché ogni giorno sappiamo di non sapere quanto durerà.

    Cosa sostiene il cambiamento organizzativo?

    Ho provato a fare un elenco degli ingredienti principali che sono necessari per accogliere ed essere co-creatori del cambiamento:

    1. ATTEGGIAMENTO MENTALE: può anche non piacermi ciò che mi sta intorno, ma se voglio vivere bene, e con più consapevolezza, è utile trovare quelle informazioni che mi aiutano a capire cosa e come fare per reagire al cambiamento. 
    2. CONSAPEVOLEZZA DI SÉ: una sana consapevolezza di sé significa avere percezione della propria autoefficacia personale (ho imparato, so fare, posso imparare).  È praticare l’attenzione al momento presente.
    3. AUTOSTIMA: io sono unico, non speciale, ma importante. Il mio lavoro conta. Le mie azioni hanno un valore. Chi sono io in realtà? Quanto ho permesso che le parole e le opinioni degli altri ostacolassero le mie scelte, le mie opinioni verso me stesso. La mancanza di autostima spegna il cambiamento.
    4. MOTIVAZIONE:  mi sento utile, apporto valore all’organizzazione. E’ indispensabile avere o ritrovare la motivazione e per farlo l’unica strada di sicuro successo è lavoro di crescita personale.
    5. L’ANTIFRAGILITA’ che, come la definisce Nassim Nicholas Taleb in “Antifragile”, va al di là della resilienza e della robustezza. L’antifragile ama il caos e l’incertezza, il che significa anche che ama l’errore, o quanto meno un certo tipo di errore. Grazie all’antifragilità siamo molto più bravi a fare che a pensare. Sempre Taleb sostiene ”preferirei essere stupido e antifragile, piuttosto che intelligente e fragile”. La fragilità può essere misurata, il rischio non è misurabile. L’antifragilità contraddistingue tutti i sistemi naturali (e complessi) che sono sopravvissuti, privarli della casualità, volatilità e dei fattori di stress potrà solo danneggiarli: si indeboliranno e andranno incontro alla distruzione. Siamo riusciti a rendere fragile l’economia, la nostra salute, la vita politica, l’istruzione…sopprimendo la casualità e la volatilità.

    Come ci viene in aiuto la Mindfulness nel cambiamento organizzativo e nella trasformazione digitale? 

    Quando pratichiamo la mindfulness ci alleniamo su due aspetti:

    • osservare senza giudizio le acque turbolente del cambiamento, la situazione stessa e la nostra risposta ad essa
    • cavalcare l’onda prendendone l’energia vitale

    Non possiamo controllare il cambiamento ma possiamo gestire il modo in cui rispondiamo ad esso. E così facendo, riduciamo l’impatto su di noi e sull’azienda.

    Si sostiene che la consapevolezza migliora la disponibilità al cambiamento.

    A livello individuale, la consapevolezza rappresenta uno stile cognitivo che migliora la prontezza rendendo gli atteggiamenti dei dipendenti e l’esperienza percepita più flessibili e migliorando il controllo percepito e modificando l’autoefficacia. A livello collettivo, la consapevolezza è il risultato di processi di organizzazione che stabiliscono culture organizzative che accrescono la disponibilità e sono caratterizzate da apprendimento, comunicazione aperta, relazioni di lavoro solidali e processo decisionale partecipativo. La consapevolezza è stata trascurata come fattore che alimenta la prontezza al cambiamento.

    La mindfulness è una forma di meditazione, ovvero un modo specifico di meditare. I suoi benefici sono gli stessi di molti altri approcci di meditazione.

    Se nelle tecniche di meditazione tradizionali ci si focalizza su un preciso oggetto di meditazione (che può essere il proprio respiro, un mantra, una candela o altro), nella meditazione mindfulness lo scopo è quello di prendere consapevolezza di tutto ciò che ci circonda nell’attimo presente. Nonostante la psicologia occidentale sia tradizionalmente scettica quando si parla di meditazione, molti studi hanno riportato che una vita più consapevole ti permettere di trarre dei benefici evidenti per il tuo organismo e per la tua salute mentale.

    Molti psicologi, definiti “incorporazionisti”, hanno integrato queste tecniche a un percorso psicoterapeutico complesso in modo complementare alla terapia classica.

    Dedicando pochi minuti a questa pratica, infatti, si può riscontrare un incremento dell’attività della corteccia cerebrale prefrontale dove risiedono le emozioni positive e un intervento neuro-modulato sugli assi dell’ipofisi e la secrezione di cortisolo. Tutto questo si traduce in 

    • una regolazione delle emozioni
    • una maggiore concentrazione
    • un senso di tranquillità
    • un maggiore rilassamento del corpo  
    • un miglioramento della qualità del sonno.

    John Kabat-Zinn ha fondato il Center for Mindfulness presso la University of Massachusetts Medical School e l’Oasis Institute for Mindfulness-Based Professional Education and Training.

    È qui che Kabat-Zinn ha sviluppato il Mindfulness Based Stress Reduction un programma di otto settimane volto a ridurre lo stress.

    Kabat-Zinn ha appreso e studiato la mindfulness sotto la guida di diversi insegnanti buddisti, tra cui Thich Nhat Hanh (una figura influente e popolare anche nella corrente occidentale della mindfulness). Questo gli ha dato modo di apprendere i principi fondamentali della mindfulness, che ha integrato con la scienza occidentale per sviluppare MBSR.

    Perché la combinazione di pratiche di consapevolezza e tecniche di gestione del cambiamento organizzativo è così potente?

    Perché guida l’individuo, attraverso il suo viaggio di cambiamento in modo consapevole e personale. Essere guidati abilmente attraverso le fasi del viaggio di cambiamento di un individuo apre gli occhi dell’ascoltatore nella privacy e nella sicurezza della propria mente. La maggior parte delle persone non è desiderosa di discutere apertamente delle ragioni per cui è turbata o indifferente a un cambiamento, ma di solito è curiosa di esplorare il proprio mondo interiore in uno spazio personale.

    Aumenta la consapevolezza di sé, delle proprie emozioni, reazioni e comportamenti. Le persone impegnate tendono a vivere in modalità sopravvivenza e pilota automatico, senza prendersi momenti di tranquillità per riflettere su come stanno vivendo un difficile cambiamento nelle loro vite. Spesso sono ansiosi, frustrati e amareggiati. Non si rendono conto di come le loro emozioni, reazioni e comportamenti stiano influenzando la loro esperienza e nemmeno come gli altri li percepiscono al lavoro. La maggior parte delle persone non si considererebbe resistente.

    E’ di aiuto nel fare chiarezza, nell’ascoltarsi, nel far emergere quel che c’è per poter poi da quello spazio di comprensione decidere come agire nel cambiamento. C’è un grande potere personale nel rendersi conto di avere il controllo delle proprie reazioni. 

    • Come sto reagendo? 
    • Come voglio essere? 
    • Cosa significa per me il cambiamento? 
    • Che tipo di influenza posso avere sul cambiamento? 
    • Quale esperienza preferirei avere?

    Che cosa fa una meditazione di gestione del cambiamento organizzativo

    Guida e sostiene la persona in modo delicato, ma potente, aumentando l’autoconsapevolezza delle proprie reazioni, emozioni e comportamenti relativi al cambiamento difficile scelto. Aiuta la persona ad identificare con più chiarezza come preferirebbe agire nel cambiamento e a porre  intenzioni positive. Sebbene non abbiamo sempre il controllo sul cambiamento, la mindfulness ci riporta sempre al nostro potere personale e a come scegliamo di reagire o di agire a un cambiamento. La mindfulness allena la persona ad osservare le cose così come sono senza formulare un giudizio, calma lo stato agitato dei pensieri e connette la persona alle sue più profonde forze intrinseche. E’ stato dimostrato come, chi pratica mindfulness in azienda tende ad essere più calmo e sereno, rispetto ai loro colleghi che non lo fanno, e ricordando quanto discusso prima, ovvero che la mindfulness non è necessariamente ottenibile tramite pratiche meditative, scopriamo in questa sezione alcune delle azioni percorribili e i principi sui quali esse si basano, scorgendone inoltre le criticità:

    • Coerenza tra gli interventi preposti: immaginiamoci un datore di lavoro, che voglia valorizzare la pausa lavorativa, adibendo a tal scopo, delle aree relax nella propria azienda. Poniamo che, questa stanza non venga mai utilizzata dagli stessi dirigenti. Per diminuire la dissonanza tra il datore di lavoro e i dirigenti, è necessario lavorare insieme sulla cultura e i valori aziendali  per creare coerenza tra azioni e pensieri;
    • Porsi sullo stesso piano del lavoratore: una scarsa consapevolezza del proprio modo di agire, può condurre, a comportamenti non funzionali, al contesto lavorativo, all’interazione coi propri colleghi e alla natura del compito richiesto in quel momento. Investendo sulla mindfulness, si può lavorare con le persone per sostenerle nel  “rompere” vecchi automatismi, a favore di nuovi comportamenti, efficaci anche in momenti difficili. Weick e Sutcliffe ritengono necessario far affidamento ad un approccio mindfulness, quando vi è l’esigenza di prendere una decisione rapida ed importante, dando priorità alla propria competenza (o a quella dei propri collaboratori), piuttosto che far affidamento sulla propria autorità;
    • Buona leadership: Buoni leader si nasce o si diventa ? Vi sono tuttavia, diversi modelli di leadership che apportano differenti riflessi sulla struttura organizzativa. La leadership di senso abbraccia tutti i tipi di leadershio ed è focalizzata sul prendersi cura, mantenere alta la creatività e la performance del proprio gruppo,mediante un equo incoraggiamento di tutti membri del proprio gruppo di lavoro . Le caratteristiche vincenti di una leadership di senso, sono state messe in relazione con i livelli di mindfulness e grazie a tale connubio, il leader può rafforzare le doti che portano il proprio team, a risolvere problemi e situazioni di stallo, in maniera creativa e vincente, poiché dinanzi ad una situazione problematica, una strategia prodotta da vecchie scelte, oltre che obsoleta, può rivelarsi sconveniente.
    • Decision Making: Hammond ha asserito che delle ottime pre-condizioni garantiscono una presa di decisione efficace. E fa riferimento ad un basso ricorso a processi euristici, unitamente ad un’alta attenzione data agli stimoli di natura interna ed esterna. La mindfulness, si caratterizza per essere un approccio adatto per unire a fattore comune entrambi gli aspetti, interrompendo i vecchi automatismi di pensiero è lecito aspettarsi un potenziamento delle dinamiche che conducono alla formazione della decisione, diminuendo i bias, e riducendo l’errore fondamentale di attribuzione, fattori che dispongono verso una decisione efficace.
    • Agire sulla percezione e competenze: una piena consapevolezza del modo di essere e di stare in un contesto lavorativo, va quindi di pari passo all’attenta analisi dei vissuti emotivi.

    Questi sono solo alcuni dei benefici della mindfulness nel cambiamento organizzativo.

    Se sei interessato ad approfondire, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    Cosa davvero ci impedisce di mantenerci concentrati al lavoro?

    Essere concentrati al lavoro sembra sempre più difficile, per non dire impossibile.

    Stamane durante una sessione di coaching ad un manager di una multinazionale, è emerso ancora una volta, il tema della concentrazione al lavoro. Dico ancora una volta, perché potrei riassumere quali sono le tematiche principali, che emergono nelle sessioni di coaching individuale e, sicuramente, la difficoltà di concentrarsi quando l’agenda condivisa viene riempita continuamente di riunioni e webcall è uno dei main topic.

    “La concentrazione ed il vuoto mentale sono il preludio della vittoria”.

    Bill Russell

    La definizione di Russell sembra qualcosa di utopistico o quanto meno non di questo sistema aziendale, dove siamo troppo indaffarati. Gli antichi sciamani dicevano “l’intento può nascere dal silenzio interiore” significa che finchè sei oscurato a livello emotivo le azioni sono paralizzate o reiterate come uno schema da cui non si può uscire.

    L’intento mantiene alta la concentrazione al lavoro, cascasse il mondo

    Se ci pensiamo bene, la stessa sensazione che viviamo in ufficio, spesso non è molto diversa anche a casa, soprattutto se abbiamo famiglia e magari figli piccoli. Certo le motivazioni e il coinvolgimento affettivo sono diversi ma dobbiamo sempre fare i conti con le interferenze.

    La nostra organizzazione al mattino, per esempio, quando vorremmo uscire di casa ed accompagnare i figli a scuola rilassati ed organizzati, non subisce spesso lo stesso tipo di pressione? Il figlio che non si alza, la figlia che non si veste, il marito o la moglie che si stanno preparando e ci occupano il bagno, il traffico, il parcheggio, la merenda che ci siamo dimenticati, la firma per l’autorizzazione che non abbiamo fatto, ecc.

    Sono sempre tutte interferenze.

    Possiamo sempre scegliere di restare in balia delle interferenze o di agire per restare coerenti al nostro intento.

    Ma cos’è l’intento?

    L’intento è il nostro focus, dove mettiamo l’attenzione. 

    Per essere concentrato e mantenere alta l’attenzione bisogna sempre sapere per quale motivo lo si fa: per questo pensare ai tuoi obiettivi è un passo fondamentale. Ma prima di pensare agli obiettivi aziendali, proviamo a concentrarci su cosa muove le nostre giornate.

    Il suggerimento personale è, quando ancora sei a letto alla mattina, prima di alzarti, prenditi qualche istante, quando ancora le onde stanno passando da alfa a beta, e fai 2 cose:

    • Esprimi subito gratitudine per questa giornata, nuova di zecca. Una gratitudine che si apre con gioia e curiosità al nuovo, proprio pensando al nuovo giorno come un nuovo inizio. 
    • Formula il tuo intento. Abbiamo già visto più volte l’importanza dell’intento.

    Oggi mi interessa sottolineare l’importanza della forza di volontà.

    L’intento mi aiuta a mantenere alta la mia forza di volontà. Ti ricordo solo le 5 caratteristiche dell’intento:

    Un intento potente ha 5 caratteristiche:

    1. riguarda me stesso e non gli altri
    2. è espresso in forma positiva 
    3. è al presente e in prima persona
    4. semplice e chiaro
    5. fa bene a me e sostiene gli altri e il sistema vivente

    Qual è il mio INTENTO in azienda e nella mia vita di tutti i giorni?

    Non esiste azione efficace senza intento chiaro

    Ti suggerisco, una volta identificato il tuo intento, di alzarti e dopo esserti lavato la faccia, prenditi dai 3 ai 5 minuti di presenza immobile, seduto a terra o su una sedia, in assoluta immobilità restando in ascolto solo del tuo respiro, dell’inspiro che riempie ed espande e dell’espiro che lascia andare tutto ciò che non vuoi, tensioni, conflitti, preoccupazioni ecc.

    Personalmente lo pratico da diversi anni e aggiungo al mio intento una pratica costante mattutina che coinvolge la mia mente, il mio corpo e le mie emozioni.

    Tieniti in forma. Stanchezza e concentrazione non vanno molto d’accordo. Se tieni veramente al lavoro che devi fare, tieniti in forma: migliora il tuo sonno, rendi l’attività fisica un’abitudine irrinunciabile. “I 5 RITI TIBETANI” da fare appena svegli sono un ottimo allenamento per il corpo e soprattutto per la forza di volontà. Si inizia da tre ripetizioni per ogni esercizio ed ogni settimana ne aggiungi 2 fino ad arrivare a 21, puoi saltarne al massimo un giorno, altrimenti dovrai diminuire di 4 se salti due giorni, di 8 se salti da 3 fino a 7 giorni e così via…
    sicuramente ci sono delle mattine che non hai voglia di farli, ma l’idea di perdere ciò che hai conquistato ti fa ignorare i pensieri pigri.

    Un altro suggerimento che ti propongo è di  leggere tutte le mattine 5 pagine (non di più) di un libro che preferibilmente contribuisce alla tua crescita personale.

    Perché ti dico questo?

    Perché allenare in questo modo disciplina e motivazione all’inizio della giornata, sono di grande aiuto, per non dire fondamentali, per riuscire più facilmente a mantenere la rotta durante la giornata. 

    E’ un allenamento a mantenere la presenza. Non basta essere presenti, bisogna esser-ci.

    Non basta essere in ufficio davanti al computer, bisogna allenarsi ad esser-ci con il proprio potere personale. Altrimenti il risultato è che a fine giornata ci sentiamo prosciugati come la canna del pompiere che ha trascorso la sua giornata a spegnere incendi e non ha più acqua.

    L’intento quindi mi richiama al SENSO della mia giornata e alle priorità che devo mettere in campo mantenere concentrazione ed efficacia.

    Una volta formulato il tuo intento, per ognuno è diverso e non è indelebile, può cambiare nel tempo, ma deve sempre essere forte ed incisivo per te e per la vita che vuoi vivere.

    Esempio: io sono calmo e gioioso.

    Come posso mantenere questo intento quando appena arrivo in ufficio, anzi prima ancora di arrivarci, la mia agenda è già piena di dieci attività non previste?

    Il mio intento diventa un continuo richiamo a non farmi distrarre e mantenere la mia direzione, perché ho scelto di voler vivere così la mia giornata. Ebbene sì, si tratta di scelta. 

    Noi scegliamo sempre.

    Come fare? Scrivi una lista di cose che per te, in quella giornata, sono assolutamente importanti. Verificane l’urgenza in termini di priorità. 

    Verifica anche se le tue priorità riguardano solo te o che tipo di ripercussioni hanno sugli altri.

    Una volta identificate le tue priorità secondo criteri “sostenibili” per te e per la tua organizzazione, sposta e posticipa ciò che non rientra in questa categoria.

    Fallo subito ad inizio di giornata e comunica la tua intenzione ai diretti interessati.

    Anche se in principio questo passaggio ti sembra imbarazzante, ti garantisco che offri un’opportunità anche agli altri e, dopo un po’ di tempo, l’intera organizzazione si autoeduca ad un nuovo mindset dove, peraltro, verificherai che ti ritroverai con molto più tempo.

    Lavoriamo tutti come se fossimo i primari del reparto del pronto soccorso del San Raffaele di Milano.

    Una volta scritte le tue priorità, inizia a svolgere il primo compito della lista impostando un timer di 25 minuti. In quei 25 minuti, dovrai impegnarti solamente su quel compito: non sarà ammessa nessuna distrazione. Una volta portato a termine il compito, prenditi una pausa di 5 minuti. Dopodiché, passa al compito successivo.

    Qual è il peggior nemico della mancanza di concentrazione al lavoro?

    Ti sei mai chiesto che differenza c’è tra pausa ed interruzione?

    La pausa è rigenerante, l’interruzione è una distrazione. Noi durante il giorno facciamo tante interruzioni, ma non facciamo pause.

    Per mantenere la concentrazione al lavoro, abbiamo bisogno di pause.

    La pausa è rigenerativa e ha la caratteristica di spostarci da quello che stiamo facendo, aprendoci ad uno “spazio” diverso. Nella pausa devo fare qualcosa che ci nutra, che nutra la nostra energia. Oltre a banalmente bere dell’acqua, allenarsi a momenti di mindfullness, dove esercitare l’esser-ci, la presenza, entrando in contatto con il corpo e le sue tensioni e con il respiro consapevole è un potente e trasformativo strumento per non restare prosciugati a fine giornata.

    Un suggerimento per mantenere la concentrazione è quello di tenere un block notes sulla scrivania. Abbiamo detto che le interruzioni sono il peggior nemico della tua concentrazione. Che si tratti di una richiesta urgente del tuo capo, di una nuova e-mail o dell’sms di un tuo amico, ogni volta che interrompi la tua sessione di lavoro, ritrovare la giusta concentrazione richiede dai 10 ai 15 minuti. Scrivi quindi sul block notes l’attività che stai svolgendo (quando inizi), a che punto sei arrivato (se e quando vieni interrotto), cosa devi fare (se vieni interrotto per qualche richiesta urgente). 

    Mi rendo conto della noiosità di questo esercizio ma è molto utile, perché tenendo traccia delle attività che stiamo svolgendo e delle interruzioni, ci rendiamo conto di quante volte passiamo da un’attività all’altra, faticando a concluderne una. Inoltre, utilizzando gli appunti tornerai più velocemente al tuo lavoro, esattamente dal punto in cui avevi interrotto.

    Un altro esercizio semplice accessibile a tutti per mantenere concentrazione al lavoro è il respiro quadrato:

    Quando liberiamo il nostro respiro, liberiamo le nostre tensioni.” Gay Hendricks

    Sama vritti Pranayama, chiamata anche “Respirazione quadrata”, deriva dal sanscrito “sama” che significa uguale e “vritti” che significa “movimenti o fluttuazioni”. E’ una respirazione in grado di alleggerire e rilassare il flusso dei pensieri che popolano la nostra mente, e ci riesce favorendo la concentrazione su una serie di movimenti – o fluttuazioni, o costruzioni – immaginarie.

    La respirazione quadrata ha anche altri benefici:

    • Ha un’azione calmante sul sistema nervoso
    • Aiuta ad affrontare situazioni difficoltose e impegnative
    • Regolarizza la pressione arteriosa e il battito del cuore
    • Rinforza il sistema immunitario
    • E’ utile per combattere l’insonnia

    La caratteristica principale della respirazione quadrata consiste nell’immaginare di disegnare un quadrato con la mente, e di abbinare alla “costruzione” di ogni lato un atto respiratorio, mantenendo per lo stesso lasso di tempo l’inspirazione, l’espirazione, e le due pause che le separano. Non ha importanza se la durata di lati del tuo quadrato è di 2, 3 o 4 secondi, ciò che importa è trovare il proprio ritmo di respirazione e mantenerlo per tutto l’esercizio.

    • Inspirando, misura la durata del tuo respiro e immagina di disegnare un lato di un quadrato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il secondo lato del quadrato;
    • Espirando, disegna il terzo lato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il quarto lato.

    Dovresti avvertire la sensazione di poter continuare questa pratica all’infinito, senza stanchezza. Appena ti accorgi che non riesci più a mantenere l’equilibrio con il ritmo della respirazione, interrompi la pratica senza andare oltre. Se hai difficoltà a mantenere le pause del respiro, puoi trasformare i quadrati in rettangoli! Puoi  inspirare per 4 secondi, trattenere per 2, espirare per 4, trattenere per 2. Ti invito a disegnare col respiro almeno quattro quadrati.
    In genere qualche minuto di pratica è sufficiente per calmare la mente. Ricordati di non avere fretta di finire. E’ sempre meglio fare 2 quadrati fatti bene, che dieci senza concentrazione. Durante la gravidanza bisognerebbe evitare di fare le ritenzioni del respiro ma è possibile procedere a disegnare i quadrati inspirando per 2, 3 o più respiri ed espirando per lo stesso lasso tempo. Funziona comunque! Ci sono anche delle varianti che potresti adottare: puoi disegnare i quadrati partendo una volta in senso orario e una volta in senso antiorario, oppure puoi immaginare di disegnare il quadrato una volta di un colore, e una volta di un altro, oppure ogni lato di un colore diverso.

    Quando cedo il mio potere personale la concentrazione al lavoro diminuisce

    A chi si cede il proprio potere personale?  A tutte quelle situazioni esterne a cui lasciamo prendere il sopravvento: l’invasione delle mail, il collega che mi interrompe, la telefonata, whatsapp, i social ecc.

    Ogni volta che provi un’emozione come rabbia, frustrazione, impazienza, tristezza, ansia, paura, invidia o qualsiasi altra emozione che NON sia affine a gioia, senso di rilassamento, pace, quiete, gratitudine, amoreallora significa che hai ceduto il Tuo Potere Interiore a qualcuno o qualcosa di esterno a te. Una persona, una situazione, un agente esterno può avere potere su di Te solo quando tu glielo concedi. Ogni volta che ti ritrovi inconsapevolmente in un’emozione negativa, lasciando che in modo subdolo si insinui dentro di te, stai cedendo il tuo potere, stai perdendo la tua energia. Quale energia? La tua energia innovatrice, creatrice, risolutrice. Stai lasciando che i ladri di potere approfittino del tuo momento di debolezza. E i ladri di potere sono anche tutte quelle situazioni summenzionate, ma non solo. I ladri di potere sono moltissimi, molti più di quanti immaginiamo.

    Esercizi per mantenere la concentrazione al lavoro

    Ci sono diverse tecniche per imparare a non distrarci e a mantenere la nostra concentrazione al lavoro. Di seguito te ne suggerisco alcune.

    Tecnica del mandarino:

    Per applicare questa tecnica di concentrazione dovrai seguire alcuni semplici passi:

    1. Immagina di stringere in mano un mandarino. Concentrati sui dettagli: immagina la consistenza del mandarino, il suo odore, il suo peso, la sua temperatura, liscio, ruvido, ecc.
    2. Passa il mandarino da una mano all’altra, saggiandone ogni piccola sfumatura.
    3. Ora afferra il mandarino con la tua mano destra (la sinistra per i mancini!) e portalo a toccare la parte posteriore della tua testa. Lascia il mandarino in questa posizione: è un mandarino magico, non preoccuparti non cadrà.
    4. Chiudi gli occhi e lascia che il mandarino galleggi in equilibrio la dove lo hai lasciato. Concentrati sul tuo stato fisico e mentale. Probabilmente ti sentirai rilassato ma concentrato allo stesso tempo.
    5. Sempre con gli occhi chiusi immagina che il tuo campo visivo si espanda e riesca ad abbracciare tutto ciò che ti circonda.

    Tecnica del pomodoro

    Applicare la tecnica del pomodoro prevede  5 semplici passi:

    • Scegli un’attività da completare.
    • Imposta il timer a 25 minuti .
    • Lavora sulla tua attività senza distrazioni finché il timer non avrà suonato.
    • Prenditi una pausa di 5 minuti.
    • Ogni 4 “pomodori” prenditi una pausa più lunga di 15-30 minuti.

    Tecnica del mancino

    Secondo uno studio della Case Western Reserve University, piccoli cambiamenti nelle nostre routine quotidiane possono aumentare gradualmente la nostra forza di volontà. La tecnica del mancino è consigliata dalla “neurobica” (una sorta di ginnastica mentale) per favorire la creazione di nuove sinapsi (collegamenti tra le cellule del sistema nervoso), facendo qualcosa di diverso dal solito.

    Ecco alcuni esempi pratici:

    • La mattina appena sveglio, lava i denti utilizzando la mano sinistra (la destra se sei mancino).
    • Sostituisci il primo gesto che compi ogni mattina (fumare una sigaretta, accendere il computer, etc.) con un’azione più sana.
    • Se hai la tentazione di controllare la posta elettronica o Facebook, rimanda di qualche minuto.
    • Rifai il letto.
    • In generale, abituati a fare ciò che non sei abituato a fare, solo perché decidi di farlo; proprio come se dovessi scrivere come un mancino.

    Tecnica del silenzio

    • Ne parla Robin Sharma nel “Il monaco che vendette la sua Ferrari”. La tecnica consiste nel non parlare per un giorno intero, se non in risposta a domande dirette.
    • Rimanendo in silenzio per un’intera giornata non fai altro che condizionare te stesso a fare ciò che decidi consciamente di fare, senza limitarti a reagire continuamente.
    • Più controllo sarai in grado di avere sulla tua forza di volontà, più questa si accrescerà.

    Esercizio del Triangolo

    Per allenare la concentrazione è utilissimo anche l’esercizio del triangolo. Disegna su un pezzo di carta un piccolo triangolo e coloralo di qualunque tonalità. Prendi ora il foglio su cui hai disegnato il triangolo, mettilo davanti a te e concentra tutta la tua attenzione sul disegno che hai creato. In questo momento, non devono esserci pensieri nella tua mente se non la forma geometrica che stai osservando. Mantieni la tua attenzione sul disegno ed evita di pensare a qualsiasi altra cosa. Respira, restaci da 1 a 3 minuti e poi riprendi l’attività.

    Concludendo mantenere il proprio potere personale vuol dire allenare la propria forza di volontà.

    Come dice Miranda Sorgente in “Riprenditi il tuo potere”, noi viviamo sempre in contemporanea 2 realtà, quella esterna e quella interna. Quando c’è contrasto tra le 2 realtà (es. sei in un posto meraviglioso, nel posto in cui volevi proprio essere, eppure nella tua realtà interna stai vivendo qualcos’altro) la realtà interna VINCE sempre. Il viaggio più affascinante che possiamo fare nella vita è dirigerci sempre verso il nostro faro, senza farci troppo distrarre dalle sirene!