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  • Il metodo

    Essere sempre preoccupati ci rende stanchi

    Essere sempre preoccupati è quasi un’abitudine.

    Cosa alimenta la nostra stanchezza oggi?

    La prima porta di accesso alla stanchezza è la PAURA

    Una persona non ha paura, se agisce.

    Spesso ci illudiamo che la fretta ci aiuti a raggiungere i nostri traguardi. 

    Nella maggior parte dei casi non è così.

    Dopo una giornata di lavoro capita di sentirsi stanchissimi, svuotati, senza più energie per far nulla, neppure per fare un po’ di sport o preparare la cena.

    Questo indifferentemente se siamo in smart working o in ufficio. Anzi spesso più nel primo caso.

    La causa di tanta stanchezza è spesso da attribuire ad un’alterata gestione delle emozioni e delle energie: sentirsi esausti è l’espressione fisica di uno stato neurologico, che coinvolge le nostre emozioni e il nostro corpo energetico.

    La paura ha come primo effetto il freezing, cioè ci paralizza.

    La paura è proprio la paralisi di un impulso.

    Un gatto inseguito da un cane non ha paura. 

    Se avesse paura il cane lo prenderebbe.

    Il gatto che deve scappare non ha tempo di avere paura.

    Quando la persona ha un impulso e lo trattiene, comincia ad avere paura.

    Capita spesso durante una giornata. 

    Vorremmo intervenire in riunione, chiedere un aumento di stipendio, contattare o abbracciare una persona, ma ci tratteniamo e teniamo la nostra energia chiusa, implosa.

    Noi siamo incredibilmente trattenuti in tutto.

    Quando una persona si sente stanca e senza energia?

    Quando prevalgono i “mi piace” sui social e NON nella vita.

    Come sostiene Igor Sibaldi, quando il “devo”, il “posso”, il “bisogna” contano più del “mi piace”.

    Quanto è importante il “mi piace” nelle tue decisioni e cambia lo stato di essere sempre preoccupati?

    Oppure è più facile dire “sì, questa cosa può piacermi…quindi la scelgo” oppure “devo farmi piacere questa decisione…”o “ bisogna che mi faccia piacere…”

    Tra “devo” e “bisogna” c’è una differenza: il devo riguarda la prima persona singolare (me stesso), il “bisogna” è collettivo e condivisibile.

    In azienda imperano facilmente entrambi.

    Solo che tra un “posso”, un “devo” e un “bisogna” trascorre tutta la giornata! Come ti ritrovi in tutto ciò?

    La seconda porta di accesso alla stanchezza è la PRE-OCCUPAZIONE

    La pre-occupazione è NON occuparsi di qualcosa.

    Il contrario di preoccuparsi è occuparsi.

    Se ti stai occupando di qualcosa NON ti preoccupi di quel qualcosa. Te ne stai occupando.

    Pre-occuparsi è trattenere quelle energie che ti permetterebbero di affrontare un determinato problema, che appunto per quello ti preoccupa.

    Nella nostra cultura ed educazione preoccuparsi appartiene ad un senso di responsabilità.

    Mi preoccupo perché sono responsabile.

    Addirittura, soprattutto in passato, c’è sempre stato quasi un “parlare bene della preoccupazione”

    Perché si parla bene della preoccupazione?

    Essere preoccupati sembra una cosa illustre, addirittura conviviale.

    Sono preoccupato di qualcosa e mi piacerebbe che anche gli altri lo fossero con me. 

    Così la preoccupazione sembra qualcosa di bello, legittima e mi fa sentire “ facente parte”.

    Non mi sento solo.

    Preoccupazione e Paura vanno a braccetto.

    Perché non provare a capovolgere completamente il punto di vista e i significati delle parole e invece di essere sempre preoccupati non preoccuparci mai più di niente!

    Viceversa, occuparci di tutto quello che ci interessa, soprattutto di quello che ci può portare verso situazioni, cose, persone che ci piacciono.

    La conseguenza dell’assenza di piacere è un accumulo di stanchezza, fisica, mentale emotiva.

    E allora aneliamo alle nostre vacanze come alla tregua dei nostri stati emotivi ed energetici.

    La terza porta di accesso alla stanchezza è il TRATTENERE

    Solitamente tratteniamo per non preoccuparci. Sembra un ossimoro.

    La pre-occupazione si mette in moto e il non dire, il non fare ci trattiene.

    Se tratteniamo abbiamo la sensazione di essere più al sicuro.

    Preoccuparsi significa tenere ferme le energie, il trattenere è l’estendersi di questo bloccarsi.

    Ecco che “posso”, “devo”, ”bisogna” appesantiscono la nostra vita ogni giorno e la nostra energia è sempre più trattenuta.

    Ci siamo riempiti di energia trattenuta.

    Non abbiamo più desideri o abbiamo desideri influenzati da preoccupazioni.

    Per esempio, soprattutto in questo momento c’è una forte preoccupazione nei confronti della salute.

    Il desiderio è: “Voglio essere sempre sano”.

    E’un desiderio impossibile, che genera conflitto interno, tensione e stanchezza.

    I disagi del tuo corpo sono informazioni che la tua mente da sola non è stata in grado di comunicarti. Per cui chiede aiuto al corpo fisico che offre l’opportunità di riflettere e trasformare. 

    E così aumenta la nostra stanchezza e preoccupazione.

    Paura, preoccupazione e trattenere abbassano la nostra energia emozionale.

    Ezra Pound disse “Non vi è intelligenza senza emozione”

    La preoccupazione sul lavoro e nella vita aumenta quando di fronte alle pressioni esterne, percepite come pericoli o minacce, si risponde con un atteggiamento, istintivo, primordiale di difesa e attacco

    Le neuroscienze sempre più ci dimostrano quanto le emozioni siano guidate da meccanismi fisici grazie alla produzione di ormoni che innescano una serie di risposte emozionali riconoscibili anche nel corpo fisico (es. battito cardiaco accelerato, contrazioni muscolari, perdita di focus e concentrazione) 

    La paura, il preoccuparsi, il trattenere generano emozioni e reazioni che possono diventare un fattore “inquinante” capace di contaminare le migliori intenzioni e gli sforzi lavorativi fino a dissipare tutte le energie.

    Spesso, anche in maniera inconsapevole, in azienda si usano, come stimolo all’azione, le emozioni negative di paura, rabbia e difesa per ottenere i risultati desiderati dai collaboratori.

    Una continua esposizione a forti emozioni negative determina un abbassamento del potere cognitivo del 30-40% per una durata di circa 40-60 minuti dall’esposizione alla “minaccia” nel breve termine. E nel lungo termine è dimostrata una maggiore incidenza di problemi di salute.

    I comportamenti che abbassano l’energia emozionale e alimentano la sensazione di essere sempre preoccupati.

    Vediamone insieme alcuni:

    1. Utilizzare un linguaggio non rispettoso lede il bisogno di sicurezza insito in ognuno di noi.
    2. Essere ingiusti con le persone alimenta un clima di sfiducia e di isolamento
    3. Non essere veramente interessati agli altri sottolinea il non far sentire importante l’altro come persona e la chiusura di chi non ascolta verso il nuovo e il diverso
    4. Non apprezzare abbatte i processi di miglioramento e crescita 
    5. Non dare feedback genera disorientamento e priva della possibilità di trasformare
    6. Mostrare disinteresse per il lavoro svolto dagli altri perché troppo concentrati su di Sé
    7. Accusare o criticare con il focus sulle criticità piuttosto che sulle soluzioni
    8. Fissare scadenze impossibili aumenta lo stato di stress e inadeguatezza
    9. Non fare domande strettamente legato al non ascolto, ma ulteriore aggravio di un arrogante atteggiamento nei confronti dei collaboratori
    10. Non dare spazio ai collaboratori, svilendo per accrescere il proprio valore 

    Le decisioni che prendiamo ogni giorno dipendono dallo stato emotivo in cui ci troviamo.

    Il 90% delle nostre decisioni avvengono dal mondo emotivo, anche se ben ponderate.

    Avere un buon livello di energia emozionale è fondamentale per incrementare e rendere sostenibile nel tempo la produttività personale e aziendale.

    Lavorare 10 ore ad efficienza 40% oppure lavorare 4 ore ad efficienza 90% non è una della preoccupazioni principali delle aziende.

    La reale efficienza nella gestione delle persone in azienda deve partire dalla considerazione che ciascun individuo è un complesso sistema energetico in funzione. 

    E’ fondamentale comprendere bene le  regole ed i  principi di funzionamento di detto sistema energetico prima di poterne ottimizzare realmente il rendimento.

    Cosa significa energia personale?
    Ti senti con più energia quando sei riposato ad inizio giornata? 

    Oppure quando sei riuscito a concludere in meno tempo del solito un compito importante, grazie ad un grado di concentrazione elevata e sei soddisfatto e felice? 

    Senti di avere più energia quando ti immergi in un’attività che ti fa stare in completo stato di flow, quasi dimenticandoti del tempo che passa?

    Hai molta energia quando sei circondato da un clima sereno e collaborativo?

    Oppure quando ti senti semplicemente apprezzato e tenuto in considerazione dai tuoi colleghi?
    L’energia è collegata ai risultati che tu ottieni e di conseguenza ai risultati che l’azienda ottiene. 

    Ma attenzione!

    Non possiamo “ciucciare” energia da fonti esterne e non possiamo comprarla.

    Possiamo solo scambiarla. 

    L’importante è che nello scambio ognuno si arricchisca e non ci sia uno sbilanciamento tra chi offre e chi prende.

    Noi possiamo pertanto solo reagire positivamente o negativamente agli input che quotidianamente riceviamo dall’ambiente in cui siamo immersi.

    L’azienda Probios, come descrivono Jeffrey Liker e Gary Covins nel libro Toyota way per la Lean leadership, grazie ad  un intervento focalizzato sull’incremento di energia in azienda, ha portato a un cambio generale di abitudini organizzative e individuali, favorendo la crescita complessiva dell’azienda: + 60% negli ultimi 2 anni.

    L’energia delle persone è profondamente correlata ai risultati individuali ed aziendali.

    Quando le persone sono prive di energia e vivono trattenute gli effetti sono evidenti, in termini di prestazioni e risultati. Non a caso circa il 70% dei progetti di cambiamento in azienda falliscono. 

    Una delle cause più ricorrenti di fallimento risulta essere proprio la mancanza di energia a sostegno del cambiamento.

    La nostra vita è la somma dei nostri vissuti e delle nostre abitudini, sia quando ne siamo consapevoli, sia quando agiamo inconsciamente spinti da esse.


    La stessa cosa succede anche in azienda.

    Il nostro stile di vita è influenzato largamente dalle abitudini degli altri, dalle convinzioni dominanti del nostro contesto aziendale, dall’ambiente fisico che ci circonda, dalle relazioni e dalle comunicazioni con e tra le persone con cui lavoriamo quotidianamente.

    Possiamo cambiare la nostra vita in azienda, solo quando vogliamo intervenire sul cambiamento del nostro stile di vita.

    Sottolineo volutamente VOGLIAMO, perché è molto diverso dal DOBBIAMO.

    Evitare la stanchezza sostenendo l’energia emotiva ci solleva dall’essere sempre preoccupati

    Ti suggerisco alcuni passaggi che potrebbero esserti utili:

    1. Osserva e scrivi un elenco delle tue abitudini dominanti
      Chi sei? Noi siamo ben oltre ciò che facciamo, ma siamo anche ciò che facciamo ripetutamente. Che ci piaccia o non ci piaccia. 

    Quali sono le tue abitudini ricorrenti? Es. dal numero di volte che leggi le email a quelle in cui vai a prendere il caffè, dal numero di volte che arrivi tardi ad una riunione a quello in cui pratichi sport. Impara ad osservarti come se avessi una telecamera in grado di andare avanti e indietro nel tempo. Resterai sorpreso dal renderti conto che ripeti costantemente le stesse azioni.
    Divertiti nell’elencare le tue abitudini, con occhio imparziale. Osservati e descriviti come se guardassi la vita di un altro.

    1. Osserva che consapevolezza hai delle conseguenze del tuo stile di vita attuale
      Spesso manteniamo in vita le nostre abitudini perché non siamo sufficientemente consapevoli di cosa esse stanno causando in noi. Dopo aver stilato l’elenco del punto precedente, domandati:
      Che ripercussioni potrebbero avere sulla mia vita se continuassi ad avere tali abitudini per i prossimi 5 o 10 anni?
      Che cosa sto perdendo o di cosa mi sto privando a causa di queste abitudini? 

    Le conseguenze di queste abitudini mi rendono felice?

    Osservati e descrivi le conseguenze del tuo stile di vita attuale. Fallo senza riserve e osserva il giudice interiore che non ama il cambiamento. Non giudicarti, scrivi di pancia.

    1. Individua un’area di intervento. Una sola, concreta e alla tua portata.

    Ciò che ci spaventa è l’idea di una grande cambiamento. Non succede nulla se pensiamo al grande cambiamento del nostro stile di vita.
    Possiamo scegliere una sola area di intervento e cominciare ad agire per modificare qualcosa in tale area. Con quale criterio scelgo l’area “ giusta”? 

    Prova a risponderti silenziosamente a queste domande :
    Quale delle mie abitudini ha la conseguenza che mi piace meno o il sacrificio che mi pesa di più?
    Quale area della mia vita mi piacerebbe modificare di più?
    Dove penso sia più facile intervenire?

    Per il nostro cervello non esistono grandi o piccole scelte. Per lui ogni scelta è uguale e comporta lo stesso dispendio cognitivo. Sono le nostre convinzioni, le nostre proiezioni, le nostre immagini correlate a quanto stiamo decidendo a far sentire più o meno importanti alcune aree rispetto ad altre.

    4) Crea una nuova abitudine

    La maggior parte delle nostre abitudini restano tali per tutta la vita, non tutte ovviamente. E’ difficile modificare un’abitudine, dopo che essa è entrata nel nostro schema di funzionamento neurologico. Però possiamo progettare un’altra abitudine che ci aiuti a sostituire la precedente.

    5) Preparati ed Accogli le difficoltà

    E’ normale all’inizio sentirsi impacciati, ma dopo poco non ci ricordiamo più neanche come facevamo prima.

     È utile prepararsi in anticipo alle resistenze interne che nasceranno con diverse tecniche:

    • Preparare una frase chiave da ripetere alle minime avvisaglie, che ci ricorda il motivo per cui stiamo andando in quella direzione.
    • Preparare domanda chiave: per es. qual è la cosa peggiore che mi potrebbe accadere?
    • Scegliere una persona chiave che ci supporta durante questi cambiamenti (un parente, un amico, un coach, un collega).
      L’importante è averci pensato prima in modo che le difficoltà non ci colgano di sorpresa.

    6) Non aspettare

    Molte persone restano per anni nelle stesse condizioni di disagio perché vedono dinanzi a sé un gap troppo grande da superare, tanto grande da lasciarsi intimorire e abbandonano le velleità di cambiamento, restando fermi o quasi. 

    7) Siamo ciò che facciamo ripetutamente

    Non basta fare una o due volte l’azione che porta ad un risultato diverso. Prima che le azioni diventino nuove abitudini, è necessario ripeterle con costanza e a lungo. Quando abbiamo la costanza e la tenacia di continuare a fare le cose giuste, il risultato arriva. Sono sostanzialmente d’accordo con quanto affermano in Toyota quando dicono che

    Se seguiamo i processi giusti, i risultati sono una naturale conseguenza di ciò che facciamo.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

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