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il meglio è nemico del bene

  • Il metodo

    I colori dell’energia nella creatività in azienda

    Di che colore è il talento?

    La creatività in azienda è ormai riconosciuta come una delle skills più richieste.

    La creatività non va intesa come espressività artistica. 

    Essere artisti vuol dire essere creativi, ma non tutti i creativi sono artisti.

    Creatività: resta sempre più facile vederla che definirla 

    La premessa è che nasciamo tutti creativi!

    Una vecchia leggenda indù racconta che vi fu un tempo in cui tutti gli uomini erano degli dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma, Signore degli Dei, decise di privarli del potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse impossibile da trovare.

    Il grande problema fu dunque individuare un nascondiglio.

    Quando gli Dei minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, essi fecero la loro proposta:

    “Sotterriamo la divinità dell’uomo nelle viscere della Terra. Lì non potrà mai trovarla!”

    Brahma tuttavia rispose:” No, non basta. Oggi l’uomo non è in grado di arrivarci, ma prima o poi avrà gli strumenti per farlo e la ritroverà”.

    Gli Dei allora replicarono: “In tal caso, gettiamo la divinità nel più profondo degli oceani”.

    E di nuovo Brahma rispose: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà gli abissi di tutti gli oceani e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie”.

    Gli Dei minori, impensieriti, conclusero allora: “Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere sulla Terra, o in mare, luogo alcuno che l’uomo non possa un giorno raggiungere”.

    E fu così che Brahma, dopo aver riflettuto, disse: “Ecco ciò che faremo della divinità dell’uomo: la nasconderemo dentro l’uomo stesso, nel suo Io più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla”.

    Secondo Ken Robinson, educatore ed esperto di pedagogia britannico, il 97% dei bambini nasce con creatività, fantasia, pensiero divergente: doni naturali e innati che vanno però coltivati, sviluppati e supportati dall’ambiente. 

    La creatività e’ qualcosa che non solo abbiamo tutti ma che implica un doppio lavoro: dall’interno all’esterno, ma non solo.

    I colori dell’energia sono l’input e l’output, per esprimere creatività e talento

    E’ risaputo che i colori vivaci trasmettono energia e vigore: e allora perché ancora in molte aziende e nelle nostre abitazioni dominano le tinte neutre o pastello? 

    Le forme arrotondate (cerchi, sfere, bolle) sono accoglienti e giocose, al contrario degli spigoli che allertano il nostro istinto di autoprotezione.

    Per esempio Ingrid Fetell Lee, esperta di design, individua gli elementi (colori, forme, texture, composizioni e accostamenti) che trasmettono naturalmente benessere e buonumore, e spiega come utilizzarli per creare un ambiente motivante.

    Quanto siamo consapevoli che i colori dell’energia sono una forza propulsiva, interna ed esterna, per stimolare e far sgorgare la nostra creatività?

    Ammirando i colori di un quadro, contemplando i colori di un tramonto, non ci chiediamo razionalmente quali sono i colori, ma percepiamo immediatamente emozioni che ci mettono in contatto con la nostra unica e specifica sorgente interiore di creatività.

    1. Quanto tempo e spazio ti concedi per aprirti a questa capacità innata che hai? 
    1. Hai mai posto attenzione a quale colore senti dentro di te che vibra meglio con l’ambiente esterno, e ti permette di essere creativo, espressivo e talentuoso?
    1. Quanto velocemente la nostra mente razionale non lascia spazio a questa consapevolezza?

    E’ dimostrato che chi lavora in ambienti soleggiati è più felice, produttivo e riposa meglio dei colleghi che passano la giornata in ambienti scarsamente illuminati, e che i fiori migliorano non solo l’umore ma anche la memoria. 

    I colori dell’energia sono un continuo stimolo esterno che, quando risuonano con la nostra energia interna, sono la forza propulsiva per far fiorire la nostra creatività.

    L’energia non e’ una forza arcaica e misteriosa e, attraverso la proprietà fisica del colore, che ritroviamo in oggetti e ambienti, può facilitare il percorso creativo personale.

    1. Quali colori associ alla tua creatività?
    2. Quali emozioni associ ai colori che risuonano meglio con la tua creatività?
    3. Quali emozioni provi nel tuo ambiente di lavoro, o quando lavori da casa?
    4. Quali attività suscitano in te gioia? Quanto spesso le pratichi 
    5. Che colore ha la tua gioia?

    Troppo spesso ci muoviamo nel mondo come se fosse uno sfondo piatto delle nostre attività quotidiane, invece brulica di opportunità, ispirazioni, colori e meraviglia.

    Di quali colori si tinge la  creatività in azienda?

    La creatività è la capacità di innovare, risolvere, generare, ideare soluzioni attraverso nuove intuizioni o attraverso l’utilizzo diverso e “creativo” degli elementi a disposizione. 

    Unire i puntini, come diceva Steve Jobs, connettere informazioni, cose, persone, tecniche fino a quel momento apparentemente disconnesse, al fine di generare una soluzione o un’ innovazione. 

    Oggi le competenze tecniche (hard skills) sono fondamentali e scontate.  

    Il livello di competenze tecniche è molto alto, grazie alla ricca proposta formativa. 

    A parità di formazione, ciò che fa la differenza sono quelle che vengono chiamate soft skills, che in realtà di soft hanno ben poco.

    Siamo nell’era del nuovo “umanesimo digitale” dove creatività e problem solving devono essere allenati.

    Spesso i talenti o le passioni coltivati fuori dall’ambito professionale, possono essere una leva importante anche a livello lavorativo, se sfruttati correttamente.

    Un giorno d’autunno del 2000 una squadra di imbianchini ritinteggiò di arancione acceso un edificio storico a Tirana, in Albania. 

    Nel 2004 Edi Rama vinse il premio internazionale World Mayor (miglior sindaco del mondo) per il suo straordinario restauro della capitale dell’Albania.

    Devastata da decenni di dittatura seguiti alla caduta del comunismo, alla fine degli anni Novanta, Tirana era diventata un covo di corruzione e criminalità organizzata dall’ alto degrado urbano.

    All’edificio arancione ne seguirono presto altri, pubblici e privati.

    Di lì a poco, cominciarono ad accadere 2 cose: la gente smise di gettare rifiuti ovunque, e iniziò a pagare le tasse. I commercianti rimossero le grate metalliche dalle loro vetrine perché, dicevano, che le strade erano più sicure, anche se i controlli di polizia non erano aumentati.

    I colori dell’energia animano la materia, la trasformano in organismo vivente, come una danza tra interno ed esterno, tutto concorre a farci vibrare di un dinamismo essenziale.

    Più energia abbiamo, più siamo capaci di creare, amare, esplorare, godere ed impegnarci nel mondo che ci circonda.

    Il talento è il motore della creatività in azienda

    Il talento nasce da un’attitudine personale e naturale che ognuno di noi ha, ma che per lo più si reprime o non si esprime. E’ una capacità innata che abbiamo fin da piccoli, che permette di ottenere risultati riproducibili, facilmente e senza sforzo

    Senza sforzo perché si sviluppa in stato di flow creativo: una corrente energetica che coinvolge mente, corpo ed emozioni in totale presenza, senza distrazioni.

    Non siamo più connessi all’esterno ma all’interno, la nostra visione si amplia, così come le nostre percezioni e intuizioni. Entriamo in uno stato paragonabile a quello meditativo.

    Il giardinaggio, la vela, la cucina, i viaggi, la scrittura, il disegno, il canto, lo sport : 

    1. Quale è la tua passione? 
    2. In quale attività ti senti in stato di flow creativo?  
    3. Come ti senti? 
    4. Quali caratteristiche emergono di te? 

    La tua creatività in azienda si nutre proprio di questo.

    Il cervello è un organo complesso e meraviglioso. 

    La sua capacità di processare dati è la più evoluta sulla Terra.

    E’ composto da 100 miliardi di neuroni e un numero incalcolabile di connessioni.

    La curiosità, la capacità di ampliare le percezioni e la libertà nell’osare, in assenza di giudizio personale, sono un bagaglio di valore che compongono schemi creativi e liberi.

    Per risolvere problemi o portare nuove idee sul lavoro ogni nostra conoscenza può risultare utile e vincente. 

    E’ un atto che implica però la nostra volontà.

    Osservare da nuovi punti di vista, diventa perciò un fattore importante per portare innovazione e progresso nel nostro futuro e in quello della nostra società.

    Haruki Murakami scrittore, traduttore e accademico giapponese, ha scritto:

    Si fa presto a dire bianco, c’è quello raffinato e quello dozzinale, ogni sfumatura ha un suo carattere proprio.

    Le sfumature della creatività in azienda: dal cosa, al come

    Alla possibile difficoltà di individuare i propri talenti, si aggiunge la difficoltà di esprimerli in azienda. 

    Normalmente si pensa che essere creativi in azienda comporti fare una qualcosa di speciale, avere un ruolo piuttosto che un altro. 

    Non è esattamente così: la creatività in azienda, così come nella vita, NON si basa sul COSA ma sul COME si svolge un compito, si ricerca un obiettivo, o si esprime se stessi.

    Tutti siamo creativi!

    Grazie alle conoscenze sviluppate nel dedicarti a ciò che meglio sai fare, e che meglio ti fa stare ( talento, passione), puoi generare inconsciamente strumenti da utilizzare in situazioni diverse per contesto, ma affini per dinamica.

    Quali sono i principali ostacoli della creatività?

    Come dice Jim Collins, il bene è nemico del meglio. 

    Questo potrebbe essere un ostacolo. 

    Se vai bene, chi te lo fa fare di innovare?

    Un altro ostacolo potrebbe essere la naturale attitudine umana alla pigrizia, che si scontra con la voglia di migliorare che distingue chi vorrebbe di più dalla sua esistenza.

    Ma l’ostacolo più grande è la paura.

    La paura è il grande ostacolo alla creatività in azienda. 

    Quando c’è paura non si crea. 

    Quando c’è paura o si scappa o si attacca.

    Il flusso di energia si interrompe, si innescano meccaniche di difesa e fuga, e così facendo si mette fine alla propria libertà di espressione.

    Come disinnescare la fuga, e favorire talento e creatività in azienda? 

    Anche qui il lavoro è a doppio senso: dai vertici alla base aziendale e viceversa.

    Partendo dai vertici, si ottengono risultati manifestando “accoglienza” e supportando i propri collaboratori attraverso azioni che aiutino la  diffusione di una cultura aziendale di inclusione e di accettazione, senza giudizio e minaccia, ma di propensione all’ alleanza dei cervelli e alla ricerca continua di miglioramento.

    Di contro il singolo, ad ogni livello, deve impegnarsi nel vincere la paura di esprimersi attraverso un rafforzamento del Sé.

    Il processo creativo: rosso ciliegia

    Il processo creativo non è mai lineare, proprio perché il nostro pensiero agisce in modalità radiale e per immagini.

    Inoltre la creatività presuppone interazione. 

    Le nostre azioni vengono generate attraverso il confronto con l’altro: che sia una persona, un’idea, un luogo, un’opera artistica, un evento.

    Pertanto il processo creativo non è mai un atto solitario.

    Differenti talenti, differenti soluzioni, differenti punti di vista. 

    Più si ha visuale, più si ha visione, più si riduce la possibilità di rischio di errore, e quindi l’idea sarà completa e utile. Non necessariamente vincente.

    Inoltre le idee creative, un pò come le ciliegie, arrivano una via l’altra: maggiore è la massa critica di espressione, più saranno le possibili connessioni, e più ampia diventerà la mappa concettuale, dalla quale il nostro cervello attinge visioni e soluzioni sul momento, ma anche per situazioni future.

    L’unione fa la forza anche nella creatività in azienda.

    Il leader  canalizza le idee affinché la massima partecipazione sia funzionale ad un risultato finale positivo e concreto per l’azienda.

    Riconoscere i nostri talenti e non temere di essere giudicati è la migliore leva per liberare la nostra creatività in azienda. La nostra partecipazione è richiesta. Siamo in azienda per utilizzare creatività e talento, qualsiasi ruolo rivestiamo, e sarebbe un peccato, non usarla e rischiare di essere… talenti sprecati.

    UN PENSIERO PER TE

    “Creatività non è cosa facciamo, ma come lo facciamo”

    Sara Ronzoni

    Esercizio 1

    Scegli un colore che sia manifestazione di uno dei tuoi talenti, della tua energia  e fanne per un giorno il tuo colore manifesto.

    Rosso? Vestiti di rosso, scrivi in rosso, compra mele rosse. Un accessorio, un foulard, calze ecc. 

    Immergiti totalmente nel colore del tuo talento, portalo sulla tua pelle, ringrazialo e poi ascoltati. Sei unico e speciale. Non c’è nessuno uguale a te.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Dopo il “Team Sublime”: passa il mal di pancia ed emergono i vantaggi di lavorare in team

    Ho sempre il mal di pancia quando organizzo un evento gratuito di myHARA. 

    Nonostante il passare degli altri e l’esperienza accumulata, il mal di pancia è sempre uguale.

    Le fasi del change management e i vantaggi di lavorare in team

    Le emozioni che si susseguono solitamente sono quelle simili a come vengono 

    descritte le fasi del change management, dall’ottimismo ingiustificato alla valle della disperazione all’ottimismo giustificato. Ovviamente sto solo un po’ ironizzando…

    Inizialmente l’ottimismo ingiustificato, fa emergere la mia parte “bambina” che si entusiasma di fronte all’idea di condividere argomenti che l’appassionano. Avere l’intuizione del tema da trattare, pensare e sentire sia l’argomento “giusto” in questo momento, mi piace e ho voglia di lavorarci per offrire il meglio. Immaginarlo già in essere, con molte persone, non solo presenti, ma contente di esserci e di dare il loro contributo, dare vita con le persone di myHARA all’idea e condividere sostegno e collaborazione. Ci credo, completamente, andrà tutto bene, lo so. Poi arriva la valle della disperazione una volta presi gli accordi economici con la location e con il catering su un numero di persone che, ogni volta, sento essere quello “giusto” e poi, a ridosso della data, un buon numero di persone che, durante la telefonata di conferma aveva detto di si, non si presenta. Certo, mi dicono, finchè li fai gratuiti… Prova a far pagare alle persone e vedi se poi non vengono. Già gratuiti. Se ti fai pagare, il tuo contenuto vale di più, è più apprezzato.

    A priori? Mi è capitato molte volte di andare a pagamento e uscire insoddisfatta, altre viceversa, di trovare competenza, passione, attenzione e cura senza aver speso un euro.

    Sono d’accordo che darsi un valore monetario sia fondamentale e corretto, per una questione proprio di rispetto, prima di tutto per se stessi, e di corretta valorizzazione di tanti anni di studio e approfondimenti, ma organizzare un evento per me, per myHARA è una gioia ed una sfida allo stesso tempo. La gioia di condividere, la sfida di essere sempre un po’ “fuori dai cori” con l’approccio di myHARA.

    Ho sempre sperato di “risuonare” in termini di passione e interesse, con coloro che sceglievano di esserci. Credo che, oltre al denaro, ci sia qualcosa di più grande che muove le persone ad incontrarsi, a rispettarsi, a comprendere il lavoro degli altri. Ecco allora che, dalla valle della disperazione, riemerge l’ottimismo, questa volta giustificato, perche’ tutto è perfetto così com’è e arriveranno le persone “giuste” per me e per myHARA.

    Ibrido o sublime e i vantaggi di lavorare in team

    Mercoledi 6 ottobre al Palazzo Bocconi in corso Venezia 48 a Milano abbiamo facilitato io e Valeria Angella l’esplorazione di cosa potrebbe essere un team…sublime.

    Le ricerche del mese di giugno 2022 di Gallup non ci vengono in aiuto, anzi, nel mondo la percentuale di persone che non si sentono ingaggiate in azienda si aggira intorno al 60% e il 19% sono addirittura infelici.

    Tra le emozioni che prevalgono alla domanda” Quali sono le emozioni negative della giornata di ieri?” sono prevalse la preoccupazione (40% nel mondo- 37% in Europa),

    lo stress (44% nel mondo-39% in Europa), la rabbia (21%nel mondo-19% in Europa), la tristezza (23% nel mondo- 21%in Europa).

    E noi cosa possiamo fare?

    Sono grata a questo workshop che ha rafforzato la mia convinzione che possiamo fare molto, moltissimo.

    In questo periodo si sente spesso e quasi solo parlare di “ibrido”. Ma la parola “ibrido” non mi è mai piaciuta. Etimologicamente ibrido significa animale o vegetale proveniente da un incrocio di genitori appartenenti a razze diverse (i meticci) o a specie diverse. In altre parole non è né carne, né pesce, è ibrido.

    Non è così per noi oggi. Il messaggio è chiaro: è una trasformazione e si va verso qualcosa di nuovo che ha una sua identità e ragion d’essere. 

    Sublime, da sublimazione in chimica e in fisica, passaggio diretto dallo stato solido a quello aeriforme senza passare attraverso la fase liquida. Ma vuol dire anche elevazione, soprattutto in senso spirituale o morale. In psicanalisi, Freud definì la sublimazione come quel meccanismo che sposta un impulso sessuale o aggressivo verso un nuovo obiettivo di tipo sociale. La sublimazione fa parte di quelle difese dell’Io che lo stesso Freud analizzò, e permette la scarica di quelle pulsioni in azioni o attività socialmente accettabili.

    Nel team sublime c’è insita nella sua natura, forza, vitalità, elevazione…e trasformazione. 

    Sin dall’inizio ogni partecipante si è confrontato con un’idea di team, accedendo alla mente intuitiva ed immaginale, che ha permesso, alle singole persone di entrare immediatamente in contatto con le proprie convinzioni, credenze e “desiderata”.

    Il bello di lavorare così è permettere a persone che non si conoscono di confrontarsi immediatamente in autenticità, lasciando nel cassetto le maschere di ruolo o di brand.

    Il team sublime nasce da dentro, non da fuori

    E’ stato così l’altra sera, hanno lavorato tutti e, citando Federico Serretta padrone di casa Azimut che ci ha ospitato e che di eventi ne ha visti tanti, nessuno guardava mai l’orologio.

    Ma il passaggio più interessante è stato ancora una volta, non cercare professori accademici, allenatori sportivi di fama internazionale, speaker con la “ricetta”.

    Non ci crede più nessuno. Nessuno sa come si costruisce un team sublime. Ma tutti sanno l’impegno che ci stanno mettendo, le difficoltà che stanno affrontando, cosa ha funzionato e cosa no. 

    Ecco che il team sublime nasce da dentro e non da fuori. Nessuno ce l’ha, ma tutti lo possono avere.

    Si tratta di cogliere i reali vantaggi di lavorare in team.

    L’altra sera si respirava la voglia di condividere verità, autenticità e senso. Tutti sentivano che il valore del proprio contributo poteva fare del bene agli altri. E’ stato molto interessante il racconto di Alessandro Biggio, Head of Retail di Odeon Uci Cinema che ha raccontato come nella difficoltà, quando sono stati costretti, per ovvie ragioni di business, dettate dal lockdown prima e dalla pandemia dopo, a lasciare a casa la maggior parte delle persone. 

    Le persone chiedevano di contribuire in qualche modo, anche senza prendere soldi e lui ha pensato valesse la pena in quel momento inventarsi attività per loro, facendole sentire importanti. I vantaggi di lavorare in team hanno mantenuto vitalità e coesione, potenziando la compassione, che da qualche mese, nel ritrovarsi, ha aumentato la voglia di esserci.

    E ancora è stato stimolante verificare che ognuno aveva dei punti di forza e dei punti di debolezza da condividere concretamente e la ricchezza è nata dallo scambio.

    Oggi nel team sublime non c’è solo la scelta tra lavoro in presenza e lavoro da remoto, ma c’è anche la differenza di età, tra baby boomers e generazione X e Y, le differenti etnie e culture, il gender, ecc.

    Emerge sempre più la voglia di costruire team dove i leader siano in grado di mettersi a servizio per “scoprire” e permettere di far emergere l’unicità dei singoli collaboratori, prendendosene cura. 

    Quando fai sentire le persone importanti è difficile che non ti diano il meglio.

    Spesso è importante fare un passo indietro per poter permettere a qualcun altro di farne uno in avanti. Nella nostra cultura competitiva, dualistica ed aggressiva è ancora difficile integrare e applicare il concetto che “il meglio è nemico del bene”, e non si è nemmeno consapevoli di spreco di energia e costi elevati nel mantenere alta la competizione, con se stessi e poi inevitabilmente con gli altri. 

    • Quanto costa essere competitivi nei team?
    • Quali sono i vantaggi di lavorare in team competitivi?

    Dal nostro focus group sono emerse 5 caratteristiche di come dovrebbe essere un team sublime oggi in azienda.

    Le 5 caratteristiche sono emerse all’unanimità da un lavoro di gruppo autogestito su più livelli, a cui era stato dato solo un incipit.

    • Complementarietà, 
    • Rispetto, 
    • Armonia, 
    • Unione, 
    • Inclusione 

    sono queste le 5 caratteristiche che approfondiremo una alla volta nelle prossime settimane.

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

  • Il metodo

    L’ufficio uccide o sostiene la creatività personale?

    L’individuo creativo è un individuo che possiede un’insolita combinazione di qualità opposte…E’ la tensione fra questi opposti e il bisogno di risolverla che forniscono la forza motivante della creazioneAntony Storr

    Cos’è la  “creatività personale”? 

    E’ la manifestazione concreta di una tensione intrinseca fra opposti, che abbiamo in dotazione dalla nascita. Dal momento in cui nasciamo ci separiamo da noi stessi. Prima eravamo un tutto unico. Nascendo abbiamo preso un corpo fisico e ci siamo immersi nel mondo della dualità: ci separiamo fisicamente  da chi ci ha generato, il nostro respiro è fatto da un inspiro ed un espiro, il nostro sistema nervoso è diviso in simpatico e parasimpatico, abbiamo un emisfero destro ed uno sinistro, entriamo in contatto con la vita e passiamo dal buio alla luce, dal caldo al freddo.

    Questa è l’esperienza di separazione che viviamo dal momento del parto. L’esperienza che facciamo in questa vita terrena, che tu sia religioso o no, è un viaggio a ritroso, per tornare, lasciando il corpo fisico, alla nostra unità. Questo percorso a ritroso di integrazione fra opposti è lungo e travagliato ed è caratterizzato da un’alternanza di flussi e riflussi ciclici. Il dualismo tra il nostro Sè  e la nostra personalità prima di essere superato, deve essere utilizzato. Quindi questa tensione è “fisiologica” perchè rende gli opposti necessari l’uno all’altro.

    Come facciamo questo viaggio e come integriamo e manifestiamo  la nostra tensione è la nostra unicità. Questa espressione è la nostra creatività personale. Ecco perchè appartiene a tutti.

    Ci è data in dotazione, non possiamo esimerci. 

    Non esiste la persona creativa, esiste la persona geniale, ma  creativi lo siamo tutti dal momento che,spinti dalla nostra tensione interna, aneliamo all’ integrità e unicità, al nostro Sè superiore.

    La creatività personale ci permette di  manifestare concretamente il senso della nostra esistenza.

    Quindi la creatività è strettamente collegata al senso, non a doti particolari.

    La Creatività  personale in 2 modalità

    Anche  se solitamente attribuiamo la creatività all’ artista, all’uomo di talento, a colui che produce opere eccelse nell’arte e nella musica, che sa scoprire nuove teorie nel campo della scienza… pensiamo che la creatività sia un privilegio, a cui pochi possono aspirare perchè implica talento, genialità, intuizione, inventiva…

    Di fatto questo è solo un aspetto della creatività che si manifesta in maniera unilaterale incanalandosi in una particolare direzione e si esprime  a seconda delle tendenze, capacità e grado di talento che l’individuo possiede in un campo specifico (arte, scienza, musica, psicologia, ecc.) 

    Angela Maria La Sala Batà, allieva e collaboratrice per vari anni dI Roberto Assaggioli  ideatore della Psicosintesi. la definisce “creatività specifica”. 

    Ma la tensione tra opposti,che anima tutti noi e che può variare per intensità, ha a che fare con la creatività personale, più generica e diffusa. Essa non è connessa con il genio o con una particolare talento, poichè rappresenta una potenzialità innata in ogni individuo, che può essere evocata, coltivata ed espressa. (creatività primaria)

    La creatività personale primaria è collegata alla capacità di essere Se stessi, di saper esprimere le proprie potenzialità, le proprie risorse genuine ed innate, la propria energia con spontaneità e libertà.

    La creatività specifica non sempre si accompagna alla salute psichica, spesso coesiste con disturbi psicologici e sintomi nevrotici.  Addirittura alcuni studiosi hanno definito il temperamento dei grandi geni di tipo “schizoide”, cioè restano nella personalità divisa e scissa e non riescono a manifestare armonia ed integrità. ( es. Newton, Schopenauer, Van Gogh, Byron ecc)

    Al contrario invece, la creatività personale primaria favorisce la salute psichica, il benessere e tende all’armonizzazione di tutte le funzioni psicologiche, facendo emergere un senso di unità, di sintesi interna che proviene dalla propria forza interiore salda ed unica.

    • Che relazione hai con la tua creatività personale primaria ?
    • Quali sono le cose che fai bene senza che nessuno te le abbia insegnate?

    Clark Moustakas, psicologo americano e uno dei massimi esperti di psicologia umanistica e clinica, descrive così l’unicità dell’uomo:

    ogni aspetto dell’universo, ogni uomo, donna, bambino, contiene una sua identità particolare,una sua forma unica, una sua esistenza speciale. Ogni aspetto della natura e della vita contiene una scintilla di originalità che consegue e mantiene vitale unità e stabile coerenza di forma mediante la relazione con altre entità e forme

    il conformismo, i condizionamenti che ci livellano, che ci rendono tutti simili e costretti a seguire delle direzioni  e scelte collettive, sono nemici della nostra creatività perchè soffocano ed occultano la nostra identità.

    Così facendo volgiamo  le spalle a noi stessi e perdiamo moltissimo perchè in tale profondità c’e’ la fonte della gioia, della capacità di giocare e di essere creativi.

    Questo soffocamento della nostra identità può avere inizio nella primissima infanzia…ed è la nostra segreta morte psichica che può portare all’alienazione totale da se stessi e quindi, nei casi più gravi ad una nevrosi, oppure a rimanere un conformista incallito.

    Secondo Mouskas “ il conformista non usa le proprie risorse ed esperienze, ma assume la sua direzione basandosi su figure esperte e autorevoli. Lungo la sua strada in qualche punto egli ha abbandonato la sua identità effettiva e si è immerso in accettabili modi di gruppi. Respinto dagli altri come un Sè unico egli è giunto a respingere se stesso.”

    Sembrerebbe quindi che l’autorealizzazione  e la conseguente creatività siano incompatibili con l’adattamento sociale e ancor di più con quello aziendale.

    • Quindi si può essere creativi in azienda?

    La risposta è si! perchè l’adattamento sociale e l’autorealizzazione rappresentano ambedue delle esigenze innate dell’uomo, fanno parte di quella tensione di cui parlavamo all’inizio, e quindi possiamo conciliarle e proprio qui si gioca la partita della nostra creatività.

    Non esiste l’ufficio che uccide la creatività personale

    Sempre Angela Maria La Sala Batà ci parla di 3 tipi di adattamento sociale:

    1. l’adattamento passivo
    2. lo pseudo adattamento o compromesso
    3. l’adattamento creativo
    • Il primo è la completa perdita della propria identità sotto l’influenza pressante della società
    • il secondo è il compromesso, la formazione di una maschera, “persona”, come la chiama Jung,  che all’inizio è una forma consapevole  di adattamento sociale, per potersi inserire nella società e per poter avere rapporti armonici con gli altri ma che a poco a poco diventa un automatismo inconscio che ci condiziona e ci impedisce di essere noi stessi, creando un io fittizio, una falsa personalità con la quale ci identifichiamo
    • Il terzo tipo di adattamento, quello creativo, rappresenta la capacità di trasformare ogni situazione, ogni rapporto in un’occasione particolare che ci consente di esprimere le nostre capacità latenti. 

    Ogni rapporto, ogni situazione diviene così un’esperienza creativa, perchè fa emergere da noi stessi nuove qualità e capacità. Noi possediamo nel profondo di noi stessi, insospettabili possibilità.

    Abbiamo una ricchezza inimmaginabile di energie, facoltà, e qualità alle quali poter attingere.

    Quando sappiamo attuare l’adattamento creativo abbiamo un  forte senso di  identità, restiamo centrati e fedeli a noi stessi nelle varie situazioni. 

    Nei contatti con gli altri non perdiamo noi stessi ma esprimiamo noi stessi.

    Quindi la creatività primaria è strettamente connessa all’autenticità e alla capacità di autoespressione. https://www.energyogant.it/intelligenza-creativa-il-meglio-e-nemico-del-bene/

    Come poter sviluppare la creatività personale?

    I suggerimenti per raggiungere questo atteggiamento sono:

    • Assenza di paura
    • Accettazione di Sè
    • Superamento dei conflitti interni

    Coltivando queste qualità possiamo a poco a poco liberarci dai condizionamenti che abbiamo ricevuto e imparare ad esprimerci basandoci sulle nostre reali capacità.

    Possiamo imparare a sentire e ad amare non influenzati da schemi, abitudini, modelli, immagini collettive, ma secondo la nostra reale sensibilità affettività, capacità di rapporto.

    Noi spesso non sperimentiamo i nostri veri sentimenti, le nostre reali emozioni, i nostri affetti profondi, ma le etichette dei sentimenti, delle emozioni, degli affetti.

    Noi non usiamo le nostre vere energie, ma i concetti e le idee che suscitano queste energie.

    Le nostre convinzioni, non sono nostre, ma convinzioni altrui che ci siamo abituati a considerare nostre, per pigrizia, per passività, per paura delle responsabilità.

    Noi non siamo veramente consapevoli che il nostro Vero Io, la nostra identità nascosta è molto più bella, creativa, luminosa di qualsiasi imitazione o copia, perchè è vera, autentica, pulsante di vita ed energia.

    Per essere creativi quindi dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi.

    La persona creativa ha un’individualità forte ed inconfondibile, ma è anche capace di instaurare rapporti di qualità. 

    Nei rapporti con gli altri non perde se stesso, ma esprime se stesso: è sicuro di Sè, ma senza orgoglio. Non ha paura di mostrare i suoi limiti. Si adatta agli altri e ad ogni situazione creativamente. Questa è la creatività personale primaria che tutti possediamo latente dentro di noi e che si manifesta quando cerchiamo di realizzarci e divenire noi stessi.

    Questo tipo di creatività nasce dall’interno e dall’alto ed anche se si esprime in cose piccole e semplici, rivela di essere l’espressione del Sè che lentamente e gradatamente pervade ogni parte del suo strumento trasformando l’inerzia della meccanicità della materia in vita pulsante.

    Fa emergere la coscienza superando tutti i dualismi e le dicotomie in una sintesi superiore, silenziosamente e quasi inavvertitamente. 

    Questa creatività personale primaria non nutre l’orgoglio, l’ambizione, la presunzione. 

    Sgorga come acqua fresca e fa fluire l’energia creativa.

    Di fatto quindi non è l’azienda che uccide o sostiene la creatività, siamo per primi noi stessi, quando ci neghiamo la nostra creatività e, guarda caso, ma il caso non esiste, da quello stato attiriamo un’azienda, una situazione, un partner ecc.  che risuona con noi e con le nostre convinzioni. Sarà quindi un’azienda burocratizzata al massimo, dove il singolo collaboratore è un numero ecc.

    Ma se cambi tu, se pulisci e liberi la tua creatività, allora non riuscirai a stare neanche un giorno in più in un’azienda che tende a sopprimere la creatività e, per risonanza, attirerai aziende più allineate al tuo Sè vero.

    Non c’e’ scampo e non c’e’ spazio: la creatività comincia da noi, dal nostro spazio interno.

    Fatti quindi delle domande:

    • Cos’e’ per me la creatività personale?
    • Quante volte nella giornata esprimo creatività?
    • Che credenze ho io sulle persone creative?
    • Chi nella mia vita ha favorito la mia creatività?
    • Chi nella mia vita ha bloccato la mia creatività?

    I blocchi mentali che limitano la creatività personale

    Un blocco mentale è un atteggiamento che porta a pensare seguendo sempre gli stessi schemi, rendendoci ciechi alle strade alternative.

    In psicologia, i più frequenti sono:

    1. La risposta esatta: NO, non c’è n’è una sola.
    2. “Ma non ha senso”: specie nella fase di incubazione di una nuova idea/ progetto, MAI scartare le idee che non appaiono logiche.
    3. Seguire le regole: è quello che ci insegnano fin da bambini. Ora abbiamo la necessità di abbandonare questo schema
    4. E’ funzionale?: non chiediamocelo troppo presto. Questo accade perchè ci concentriamo troppo su ciò che sappiamo già
    5. Il gioco è solo per bambini: Le idee più geniali ci  vengono  quando ci stiamo divertendo.
    6. Non è il mio settore: la maggior parte della gente pensa di non poter contribuire in nessun modo al di fuori della propria area di competenza e/o specializzazione. E’ proprio nella combinazione fra settori diversi che scattano le scintille più grandi
    7.  Evitare le ambiguità: Le  ambiguità possono essere viste  come possibilità di vedere in modi diversi uno stesso problema
    8. Siate folli!  Dobbiamo avere  il coraggio di essere anche “diversi”. Tendiamo al conformismo, ma se siamo come tutti gli altri, penseremo come tutti gli altri.
    9. Sbagliare è sbagliato: se non permettiamo a noi stessi di sbagliare, non stiamo provando minimamente a pensare creativo. L’errore è la dimostrazione che stiamo provando qualcosa di nuovo.
    10. Ma io non sono un creativo: Diamoci una possibilità, soprattutto alle nostre idee. Se non pensi di essere un creativo, non lo sarai.

    Non dobbiamo escludere nessuna possibilità e non dobbiamo avere paura di sbagliare!

    Suggerimento per favorire la creatività personale

    Utilizziamo la mente immaginale!

    La parola “immaginazione” che oggi molto spesso si usa con sufficienza, ha le sue origini nel termine sufi “himma”, il cui significato è “il potere creatore del cuore”. Utilizzare un approccio immaginale significa, anzitutto, lavorare con le immagini. Ma un lavoro con le immagini può avvenire secondo tantissime modalità: un lavoro grafico, pittorico, cinematografico, scultoreo o comunque artistico; un lavoro eidetico, uno di carattere più introspettivo e psicologico ed uno, infine, più “estatico”.

    Estatico nel senso che  riguarda la percezione e gli stati di estasi. Cosa sono le estasi?
    In teoria in uno stato di estasi  la nostra coscienza “e’ fuori”. Quando la coscienza è “fuori” essa è in uno dei nostri “al di là” possibili, in uno spazio dove gli è possibile vedere e vedersi in un modo diverso. Immaginiamo  che esista un intero universo invisibile che è allo stesso tempo, origine e copia di quello che vedi, una specie di negativo fotografico intangibile. L’immaginale è lo specchio stesso, il confine tra i mondi, il ponte tra visibile ed invisibile. Nella nostra cultura aziendale siamo abituati a vederne principalmente il mondo della materia (fatti/risultati).ma esistono moltissimi mondi.

    esercizio 

    Chi sono? Un uomo e una donna? due donne? Come si chiamano? Che lavoro fanno? Dove si trovano e perché sono lì? Cosa stanno facendo? Immaginate, insomma, la loro storia, ogni dettaglio nella fotografia è un indizio.

    Continuate ad allenare la creatività, è l’unico modo per far sì che anche nelle giornate più nere la vostra pagina di lavoro non rimanga bianca.

    A volte le parole non bastano.E allora servono i colori.E le forme.E le note.E le emozioni.” Alessandro Baricco

    Se sei interessato a lavorare su di te per potenziarle, farle fiorire ed essere poi tu l’ambassador nella tua azienda e con i tuoi collaboratori, puoi iscriverti al nuovo percorso myHARA HR ENERGY TRAINING che inizierà il prossimo 26 maggio.

    Per informazioni puoi scriverci a info@myhara.it

  • Il metodo

    L’HR Director ha una grande fortuna: essere leader senza autorità!

    Nell’era dell’agile, della flessibilità, della cura e dell’ascolto, della leadership non più top-down, essere leader senza autorità è un privilegio.

    Chi meglio dei manager delle risorse umane, grazie e/o a causa della pandemia e di tutto il pre e il post, sono stati capaci di agire concretamente la trasform-azione (cambiamento di forma)? Proprio tutti? Sicuramente no.

    Quali caratteristiche aiutano chi si occupa di risorse umane ad essere un leader di successo senza autorità?

    Ovviamente, lungi da me l’idea di avere la formula o i 4 ingredienti magici per essere un leader di successo senza autorità. Soprattutto perché mi sto rivolgendo a persone che investono la loro giornata lavorativa su questi temi.

    Ma, forse, proprio perché mi trovo, “fuori dai giochi”, ma tutto sommato “anche dentro”, riflettere insieme può offrirci uno spunto di maggiore chiarezza.

    Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattro. Qui la risposta ci arriva da un modello, la società lakota, che aveva un concetto di leadership molto interessante e, a mio parere, archetipico del genere umano. Sicuramente un modello ben diverso dal nostro europeo ma, proprio perché il nostro cervello limbico e creativo ha bisogno di divergere per poi convergere, proviamo ad andare un po’ “lontano”. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.

    Partendo dal significato etimologico di leadership, voce inglese, dal verbo to lead, ‘guidare’, ‘condurre’, di fatto, nella società lakota non si accenna all’autorità, ma a caratteristiche diverse.

    D’altro canto, da noi, un  capo, un politico, un manager, un sindaco sono automaticamente leader?

    Nel libro di Marshall si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Addirittura, nella loro società, non esisteva né il concetto, né  la “parola” autorità. Un capo lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.

    Non aveva neppure i social, poverino!

    Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. E la storia ci conferma che i lakota non mancavano di capi.

    Essere leader delle risorse umane come un lakota, senza autorità

    Nel “potere dei quattro” si menzionano quattro filosofie, così le definisce, che i lakota applicavano per essere capi capaci:

    1) Conosci te stesso

    Mi piace molto condividere la nostra consapevolezza di cosa significhi essere leader senza autorità, ritrovando le fonti nella storia e nelle discipline orientali. Come ritroviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo – con l’efficacia mediatica che avevano a quel tempo i santuari – che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così successivamente la valorizzazione dell’interiorità offrirà motivi di riflessione a Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Ma non solo, lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.” Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze, ma per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.

    Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, così che è necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, in modo da ordinare i mezzi nel modo migliore. Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il nemico, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di capitalizzare ogni nostro vantaggio. Realismo costruttivo, questa è l’ottica, l’unica verso la quale la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.

    Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita, la consapevolezza di sé, quindi, dovrebbe essere una continua disciplina. Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto. Questo è sintetizzato dal pensiero lakota che un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva. Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore. Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.

    E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante. Un percorso per scavare dentro di noi, giocare con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli. Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi è uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.

    La mente conscia, a cui noi appelliamo grandissimo potere nella nostra vita professionale agisce solo per il 7% delle nostre potenzialità? 

    Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?

    Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?

    2) Conosci i tuoi amici

    I leader non possono fare niente da soli. Compito del leader è identificare le persone dedite a uno scopo e in possesso degli strumenti e delle capacità per raggiungerlo e motivarle a realizzarlo. Alleanze e amicizie non sono fatte per i momenti belli. Le creiamo per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò ci garantisce che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro. Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader

    In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.

    Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.

    Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità. Essere leader significa migliorare la chiarezza di obiettivi, ispirare e comunicare la vision e la mission aziendali, ma osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.

    Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle criticità.

    L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.

    Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di me. Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Perché dire che l’altro è uno specchio di me, significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.

    Se andiamo oltre la separazione, con cui siamo stati per lo più educati (bene e male, io e gli altri,ecc ), e andiamo oltre le nostre credenze subconsce che hanno creato l’altro, perché come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino e allora io non ho creato l’altro, ma ho creato il fatto che l’altro con me si esprime in quel modo, che io gli attivi quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo, perché noi raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che ci attivano. Esempio molto semplice: il maschio e la femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa perche’ attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.

    L’altro ci attiva sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e grazie a questa attivazione ce lo rivela. A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta, ma tu ti dai rispetto? ti rispetti? rispetti i tuoi bisogni?

    Hai mai sentito parlare della legge dello specchio?  Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, di cui anch’io sono certificata facilitatrice definisce 3 tipi di specchio:

    –   La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.

    –   Un secondo specchio sono le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi, ognuno ha i suoi, e, quelli che lo fanno, creano in me un sentimento di sottile invidia, mi stanno poco simpatici. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale che noi da adulti non ci diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare ma non ci riusciamo. A meno che siamo davvero in pace con questa parte di noi.

    –   Mi da fastidio delle altre persone quello che faccio anch’io, ma non me ne accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio mi danno fastidio le persona ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo, non ci riesco e mi danno fastidio le persone ritardatarie. Sono le cose non così ovvie, perché hanno a che fare con il subconscio, sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.

    Ecco allora che conoscere i tuoi amici ed essere leader senza autorità ci dà il più grande potere autentico e cioè quello che ci riporta, ancora una volta, a noi stessi e ad uno spazio di libertà interiore da cui agire.

    3) Conosci i tuoi nemici

    Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Anche il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria. Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana o sano in ogni relazione, anche in quella dove magari il collaboratore se ne va o il mio capo mi fa vedere potenziali miei inespressi che mi creano disagio. Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze. Di questo non dobbiamo mai avere dubbi. Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare il meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.

    Quando andiamo in protezione, trattiamo male gli altri perché sono un pericolo.

    Quindi prendersi la responsabilità della relazione con il “nemico” significa che lui può fare solo così e io posso rispondere in modo consapevole a quel tipo di comportamento e ciò significa cambiare la nostra vita. Attenzione all’accezione che sto utilizzando con il termine “cambiare”: significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così  e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità. E così noi mettiamo in pratica la quarta filosofia, essere d’esempio.

    4) Dai l’esempio

    Se accettiamo la definizione di essere leader come una persona che influenza le azioni e gli atteggiamenti degli altri, la logica domanda è: come diventiamo leader se non con l’esempio? Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio che abbiamo appena visto, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita. Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi. Non possiamo trasformare le nostre credenze, al fine di diventare adeguati alle aspettative di un altro. Possiamo solo diventare sempre più noi stessi. Ed è un posto comodissimo dove stare. Altrimenti se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono. E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?

    Personalmente trovo gli strumenti di PSICH-K efficaci e veloci per dialogare con il nostro subconscio. Il subconscio è velocissimo, 40 milioni di volte più veloce della mente conscia. Se noi siamo in grado di delegare l’elaborazione di qualcosa alla mente subconscia è fantastico perchè ci permette di fare cambiamenti velocemente ed efficacemente.  PSICH-K è molto rispettoso perché chiede il permesso alla nostra mente conscia, al nostro potere automatico (subconscio) e alla nostra mente spirituale (superconscia) e il risultato è sempre molto potente.

    I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:

    Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.

    Se sei interessato a queste tematiche, seguici nelle prossime settimane per scoprire le prossime novità.

  • Il metodo

    Il cambiamento organizzativo è vita

    Lunedi scorso 13 giugno ho avuto il piacere di tenere uno speech sul cambiamento organizzativo in un’azienda multinazionale a fianco a Simone Pianigiani, famoso allenatore internazionale di pallacanestro.

    Confrontare la squadra sportiva con la squadra aziendale è sempre d’ispirazione e stimolante, soprattutto quando vengono condivise visioni interculturali che nella complessità sono orientate verso lo stesso obiettivo.

    Quest’ opportunità mi ha permesso di fare alcune riflessioni,di cui sono grata.

    L’occasione del 13 giugno rispondeva al desiderio dell’azienda di celebrare la ripresa della vita lavorativa con le nuove modalità (lavoro da casa, lavoro in presenza, ripensamento di nuovo spazi aziendali, accelerazione ed integrazione digitale) e soprattutto dare un segno visibile dell’importanza della relazione umana.

    Una relazione umana che per certi versi stenta a ripartire.

    Una relazione umana che deve crescere.

    E a tal proposito, sempre più mi stride la parola “dipendente”.

    Ma dipendente da chi?

    Per certi versi siamo tutti dipendenti.

    Ma si tratta di altri tipi di dipendenza: dal fumo, dai social, dal cibo,ecc.

    Ma se pensiamo alla vita aziendale, la parola di per sé “dipendente” non valorizza l’unicità, la creatività, la vitalità dell’espressione umana.

    Ma dipendente da chi? Chi dipende?

    I dipendenti dipendono dall’azienda, ma allo stesso tempo anche l’azienda dipende dalle persone che ci lavorano. Quindi?

    Da dipendenza ad ‘inter-dipendenza’ nel cambiamento organizzativo

    La dipendenza implica una mancanza di libertà e autonomia, significa essere sempre in balìa degli umori degli altri, dell’economia, delle circostanze. Significa spostare la responsabilità all’esterno.

    Nel concetto di inter-dipendenza, soprattutto l’azienda, spinge il desiderio del cambio di mindset dei collaboratori.

    Si vorrebbe sempre avere persone di valore che mettono il proprio tempo, la propria energia e le proprie capacità a disposizione di un’azienda in cui credono, verso uno scopo che abbia veramente un senso per loro.

    Come ci si può aspettare spirito imprenditoriale, creatività e innovazione da persone che non si sentono libere e sono sempre in ansia per ciò che potrebbe succedere?

    E se il concetto di ‘dipendente’ fosse un freno per l’azienda stessa e per il cambiamento organizzativo?

    A chi piace davvero essere definito “dipendente”?

    Lo sappiamo bene che essere dipendente mette le persone in area di comfort, ha a che fare con la sicurezza psicologica e con la paura, emozione principale che sempre sottende le nostre azioni e le nostre non azioni. Noi agiamo o non agiamo per paura.

    La paura di perdere la sicurezza mi tiene agganciata a cio’ che conosco anche se non mi fa più vibrare, la paura di sentirmi “tarpare le ali” mi spinge ad andare, a cercare sempre qualcosa di meglio.

    Una sicurezza tra l’altro oggi sempre più fragile. Una delle evidenze è il movimento dimissionario che oggi sembra essere così diffuso. La possibilità oggi di lavorare everywhere da remoto mette in atto pulsioni  a campi infiniti di possibilità.

    Cosa cambierebbe se le persone in azienda non fossero dei ‘dipendenti’, bensì dei co-creatori, dei leader e perché no magari anche dei soci?

    Quando condivido questi temi, alcuni Amministratori Delegati e Direttori delle Risorse Umane si irrigidiscono e mi considerano un’idealista aziendale. Mi dicono subito che se tutte le persone fossero leader ci sarebbe una completa anarchia e poca propensione al cambiamento organizzativo.

    Chi si occuperebbe del lavoro operativo? Chi prenderebbe le decisioni?

    Eppure mai come in questo periodo si continua a parlare di nuova leadership, di leadership inclusiva, trasversale, di senso ecc. E se ci stesse impedendo di vedere altre possibilità?

    Se la vera leadership fosse più evoluta di ciò che abbiamo pensato fino a oggi?

    E’ possibile essere un Leader senza fondare la propria leadership sull’ego ?

    Si può definire ‘leader’ una persona che è capace di lavorare con gli altri in modo costruttivo nonostante le differenze, per trovare insieme soluzioni realizzabili e sostenibili?

    Un leader è separato dagli altri oppure è interconnesso con gli altri?

    Un leader che non è capace di gestire i propri pensieri, emozioni e comportamenti può gestire le persone e la propria azienda in modo efficace e costruttivo?

    Ecco perché un lavoro di crescita personale è necessario per creare una nuova modalità di vivere ed essere leader.

    Nel mondo dell’interdipendenza 

    Se ogni persona in un’azienda pensasse, si sentisse e si comportasse come un vero Leader, il cambiamento organizzativo passerebbe dal fatto che:

    • Ogni persona si assumerebbe la responsabilità per il proprio operato – che si tratti di lavorare in Cassa, in Officina, o nel Consiglio Direttivo.

    Questo quale impatto avrebbe sui risultati dell’azienda?

    • Ogni persona si focalizzerebbe sul trovare Soluzioni insieme agli altri, invece di lamentarsi dei Problemi.

    Questo quale impatto avrebbe sulla crescita dell’azienda?

    • Ogni persona gestirebbe le proprie emozioni e reazioni di fronte alle avversità e ai conflitti in modo più consapevole e costruttivo.

    Questo quale impatto avrebbe sulle relazioni interpersonali e il clima aziendale?

    Se nessuno vede nessuno

    Le persone non sono abituate a vedere se stesse come leader, e molti capi non sono abituati a vedere i loro dipendenti come leader. Ma tutte le abitudini si possono cambiare. E’ possibile sviluppare l’abitudine di pensare, sentirsi e comportarsi come un vero leader – indipendentemente dal proprio titolo o funzione.

    Come diceva Goethe ‘Sia che tu credi di farcela o di non farcela, hai ragione’.

    Cambia il senso di squadra

    Nella visione di un cambiamento organizzativo autentico, Il fare squadra ha a che fare con il senso di appartenenza e obiettivi condivisi.

    E implica qualcosa di molto profondo che SONO i Valori.

    Quali valori?

    Spesso anche individualmente facciamo fatica ad identificare quali sono davvero i nostri valori. Sono valori con cui dobbiamo fare i conti, perchè magari non ci appartengono più. Non li sentiamo più aderenti alla nostra pelle e, peraltro, fino a quando non li riconosciamo e li lasciamo eventualmente andare, inficiano la nostra energia e la nostra vita personale ed aziendale.

    Il nostro ikigai, quell’intento che ogni mattina ci fa alzare e pensare alla nostra giornata come a qualcosa di nuovo e incredibile da sperimentare.

    Aprirci ad una mentalità di cambiamento organizzativo ci fa stare bene perchè  ci permette di metterci in gioco e di vederci ogni giorno come nuovi, davanti ad un film di vita professionale che possiamo sempre modificare.

    Quindi il primo passo è verificare quali sono oggi i nostri valori e la nostra vision personale e confrontarla con quella aziendale.

    Come faccio ad identificare i miei valori oggi?

    I nostri valori spesso hanno a che fare con le nostre credenze.

    ​​Le credenze sono le fondamenta della nostra personalità e del nostro benessere.

    Il tuo valore o la mancanza di questo, la tua competenza o incompetenza, il tuo essere fiducioso o sospettoso, socievole o asociale, autonomo o dipendente. Flessibile o tendente a giudicare, trattato con rispetto o come vittima.

    Le credenze influenzano la tua vita a lungo termine, influiscono sull’umore le relazioni, le prestazioni lavorative ecc.

    Prendiamo qualche credenza depotenziante… ve ne propongo qualcuna

    ·  Se parlo tanto non mi ascoltano…

    ·  Siamo sempre in riunione e non abbiamo tempo di fare altro…

    ·  Ho già 50 anni dove vuoi che vada? chi mi prende …

    ·  Sono giovane e non ho potere…

    Trasformiamola in potenziante…

    Quando i miei valori sono allineati a quelli aziendali si rafforza il senso di appartenenza, che quindi è biunivoco.

    L’azienda è chiamata a comunicarli con chiarezza e a testimoniarli, il collaboratore deve fare un lavoro di tipo Imprenditoriale su di sé per osservarli, riconoscerli e scegliere di testimoniarli.

    Il senso di appartenenza si alimenta grazie all’incontro dei BISOGNI (BI-SOGNI) di entrambe le parti. La parola bisogno ha a che fare con 2 sogni, quello del collaboratore e quello dell’azienda.

    Nell’incontro si genera l’interdipendenza da uno stato di consapevolezza ed empowerment di entrambi.

    Il secondo passaggio sono sicuramente gli obiettivi condivisi che creano la premessa per integrare e accogliere le diversità come nutrimento e ricchezza. Non è necessario per forza essere amici nella squadra, come sottolineava Simone Pianigiani durante il nostro confronto del 13 giugno, ma avere stima, rispetto e fiducia, riconoscere i valori e gli obiettivi condivisi sì!

    La fiducia la costruisco nelle piccole cose, sapendo che posso contare su di te e che siamo insieme a servizio di un progetto più grande, dove il meglio conta meno del bene.

    E dove grazie e attraverso il contributo prezioso di tutti la squadra ottiene il risultato.

    Ma la crescita del senso di appartenenza fiorisce grazie alla culture del sostegno e dell’apprezzamento.

    La cultura del sostegno aziendale è linfa vitale

    Dare i compiti giusti alle persone giuste, permettere loro di lavorare con una pressione non troppo accentuata, e soprattutto rivolgersi sempre con gentilezza, rispetto e cortesia, mettono il dipendente nella condizione di rendere al meglio di essere parte attiva del cambiamento organizzativo, e di non sviluppare ansia da prestazione e stress.

    La cultura del sostegno passa attraverso:

    ·  Dialogo

    ·  Ascolto

    ·  Fiducia

    ·     Feedback strutturati

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

  • Il metodo

    Cosa davvero ci impedisce di mantenerci concentrati al lavoro?

    Essere concentrati al lavoro sembra sempre più difficile, per non dire impossibile.

    Stamane durante una sessione di coaching ad un manager di una multinazionale, è emerso ancora una volta, il tema della concentrazione al lavoro. Dico ancora una volta, perché potrei riassumere quali sono le tematiche principali, che emergono nelle sessioni di coaching individuale e, sicuramente, la difficoltà di concentrarsi quando l’agenda condivisa viene riempita continuamente di riunioni e webcall è uno dei main topic.

    “La concentrazione ed il vuoto mentale sono il preludio della vittoria”.

    Bill Russell

    La definizione di Russell sembra qualcosa di utopistico o quanto meno non di questo sistema aziendale, dove siamo troppo indaffarati. Gli antichi sciamani dicevano “l’intento può nascere dal silenzio interiore” significa che finchè sei oscurato a livello emotivo le azioni sono paralizzate o reiterate come uno schema da cui non si può uscire.

    L’intento mantiene alta la concentrazione al lavoro, cascasse il mondo

    Se ci pensiamo bene, la stessa sensazione che viviamo in ufficio, spesso non è molto diversa anche a casa, soprattutto se abbiamo famiglia e magari figli piccoli. Certo le motivazioni e il coinvolgimento affettivo sono diversi ma dobbiamo sempre fare i conti con le interferenze.

    La nostra organizzazione al mattino, per esempio, quando vorremmo uscire di casa ed accompagnare i figli a scuola rilassati ed organizzati, non subisce spesso lo stesso tipo di pressione? Il figlio che non si alza, la figlia che non si veste, il marito o la moglie che si stanno preparando e ci occupano il bagno, il traffico, il parcheggio, la merenda che ci siamo dimenticati, la firma per l’autorizzazione che non abbiamo fatto, ecc.

    Sono sempre tutte interferenze.

    Possiamo sempre scegliere di restare in balia delle interferenze o di agire per restare coerenti al nostro intento.

    Ma cos’è l’intento?

    L’intento è il nostro focus, dove mettiamo l’attenzione. 

    Per essere concentrato e mantenere alta l’attenzione bisogna sempre sapere per quale motivo lo si fa: per questo pensare ai tuoi obiettivi è un passo fondamentale. Ma prima di pensare agli obiettivi aziendali, proviamo a concentrarci su cosa muove le nostre giornate.

    Il suggerimento personale è, quando ancora sei a letto alla mattina, prima di alzarti, prenditi qualche istante, quando ancora le onde stanno passando da alfa a beta, e fai 2 cose:

    • Esprimi subito gratitudine per questa giornata, nuova di zecca. Una gratitudine che si apre con gioia e curiosità al nuovo, proprio pensando al nuovo giorno come un nuovo inizio. 
    • Formula il tuo intento. Abbiamo già visto più volte l’importanza dell’intento.

    Oggi mi interessa sottolineare l’importanza della forza di volontà.

    L’intento mi aiuta a mantenere alta la mia forza di volontà. Ti ricordo solo le 5 caratteristiche dell’intento:

    Un intento potente ha 5 caratteristiche:

    1. riguarda me stesso e non gli altri
    2. è espresso in forma positiva 
    3. è al presente e in prima persona
    4. semplice e chiaro
    5. fa bene a me e sostiene gli altri e il sistema vivente

    Qual è il mio INTENTO in azienda e nella mia vita di tutti i giorni?

    Non esiste azione efficace senza intento chiaro

    Ti suggerisco, una volta identificato il tuo intento, di alzarti e dopo esserti lavato la faccia, prenditi dai 3 ai 5 minuti di presenza immobile, seduto a terra o su una sedia, in assoluta immobilità restando in ascolto solo del tuo respiro, dell’inspiro che riempie ed espande e dell’espiro che lascia andare tutto ciò che non vuoi, tensioni, conflitti, preoccupazioni ecc.

    Personalmente lo pratico da diversi anni e aggiungo al mio intento una pratica costante mattutina che coinvolge la mia mente, il mio corpo e le mie emozioni.

    Tieniti in forma. Stanchezza e concentrazione non vanno molto d’accordo. Se tieni veramente al lavoro che devi fare, tieniti in forma: migliora il tuo sonno, rendi l’attività fisica un’abitudine irrinunciabile. “I 5 RITI TIBETANI” da fare appena svegli sono un ottimo allenamento per il corpo e soprattutto per la forza di volontà. Si inizia da tre ripetizioni per ogni esercizio ed ogni settimana ne aggiungi 2 fino ad arrivare a 21, puoi saltarne al massimo un giorno, altrimenti dovrai diminuire di 4 se salti due giorni, di 8 se salti da 3 fino a 7 giorni e così via…
    sicuramente ci sono delle mattine che non hai voglia di farli, ma l’idea di perdere ciò che hai conquistato ti fa ignorare i pensieri pigri.

    Un altro suggerimento che ti propongo è di  leggere tutte le mattine 5 pagine (non di più) di un libro che preferibilmente contribuisce alla tua crescita personale.

    Perché ti dico questo?

    Perché allenare in questo modo disciplina e motivazione all’inizio della giornata, sono di grande aiuto, per non dire fondamentali, per riuscire più facilmente a mantenere la rotta durante la giornata. 

    E’ un allenamento a mantenere la presenza. Non basta essere presenti, bisogna esser-ci.

    Non basta essere in ufficio davanti al computer, bisogna allenarsi ad esser-ci con il proprio potere personale. Altrimenti il risultato è che a fine giornata ci sentiamo prosciugati come la canna del pompiere che ha trascorso la sua giornata a spegnere incendi e non ha più acqua.

    L’intento quindi mi richiama al SENSO della mia giornata e alle priorità che devo mettere in campo mantenere concentrazione ed efficacia.

    Una volta formulato il tuo intento, per ognuno è diverso e non è indelebile, può cambiare nel tempo, ma deve sempre essere forte ed incisivo per te e per la vita che vuoi vivere.

    Esempio: io sono calmo e gioioso.

    Come posso mantenere questo intento quando appena arrivo in ufficio, anzi prima ancora di arrivarci, la mia agenda è già piena di dieci attività non previste?

    Il mio intento diventa un continuo richiamo a non farmi distrarre e mantenere la mia direzione, perché ho scelto di voler vivere così la mia giornata. Ebbene sì, si tratta di scelta. 

    Noi scegliamo sempre.

    Come fare? Scrivi una lista di cose che per te, in quella giornata, sono assolutamente importanti. Verificane l’urgenza in termini di priorità. 

    Verifica anche se le tue priorità riguardano solo te o che tipo di ripercussioni hanno sugli altri.

    Una volta identificate le tue priorità secondo criteri “sostenibili” per te e per la tua organizzazione, sposta e posticipa ciò che non rientra in questa categoria.

    Fallo subito ad inizio di giornata e comunica la tua intenzione ai diretti interessati.

    Anche se in principio questo passaggio ti sembra imbarazzante, ti garantisco che offri un’opportunità anche agli altri e, dopo un po’ di tempo, l’intera organizzazione si autoeduca ad un nuovo mindset dove, peraltro, verificherai che ti ritroverai con molto più tempo.

    Lavoriamo tutti come se fossimo i primari del reparto del pronto soccorso del San Raffaele di Milano.

    Una volta scritte le tue priorità, inizia a svolgere il primo compito della lista impostando un timer di 25 minuti. In quei 25 minuti, dovrai impegnarti solamente su quel compito: non sarà ammessa nessuna distrazione. Una volta portato a termine il compito, prenditi una pausa di 5 minuti. Dopodiché, passa al compito successivo.

    Qual è il peggior nemico della mancanza di concentrazione al lavoro?

    Ti sei mai chiesto che differenza c’è tra pausa ed interruzione?

    La pausa è rigenerante, l’interruzione è una distrazione. Noi durante il giorno facciamo tante interruzioni, ma non facciamo pause.

    Per mantenere la concentrazione al lavoro, abbiamo bisogno di pause.

    La pausa è rigenerativa e ha la caratteristica di spostarci da quello che stiamo facendo, aprendoci ad uno “spazio” diverso. Nella pausa devo fare qualcosa che ci nutra, che nutra la nostra energia. Oltre a banalmente bere dell’acqua, allenarsi a momenti di mindfullness, dove esercitare l’esser-ci, la presenza, entrando in contatto con il corpo e le sue tensioni e con il respiro consapevole è un potente e trasformativo strumento per non restare prosciugati a fine giornata.

    Un suggerimento per mantenere la concentrazione è quello di tenere un block notes sulla scrivania. Abbiamo detto che le interruzioni sono il peggior nemico della tua concentrazione. Che si tratti di una richiesta urgente del tuo capo, di una nuova e-mail o dell’sms di un tuo amico, ogni volta che interrompi la tua sessione di lavoro, ritrovare la giusta concentrazione richiede dai 10 ai 15 minuti. Scrivi quindi sul block notes l’attività che stai svolgendo (quando inizi), a che punto sei arrivato (se e quando vieni interrotto), cosa devi fare (se vieni interrotto per qualche richiesta urgente). 

    Mi rendo conto della noiosità di questo esercizio ma è molto utile, perché tenendo traccia delle attività che stiamo svolgendo e delle interruzioni, ci rendiamo conto di quante volte passiamo da un’attività all’altra, faticando a concluderne una. Inoltre, utilizzando gli appunti tornerai più velocemente al tuo lavoro, esattamente dal punto in cui avevi interrotto.

    Un altro esercizio semplice accessibile a tutti per mantenere concentrazione al lavoro è il respiro quadrato:

    Quando liberiamo il nostro respiro, liberiamo le nostre tensioni.” Gay Hendricks

    Sama vritti Pranayama, chiamata anche “Respirazione quadrata”, deriva dal sanscrito “sama” che significa uguale e “vritti” che significa “movimenti o fluttuazioni”. E’ una respirazione in grado di alleggerire e rilassare il flusso dei pensieri che popolano la nostra mente, e ci riesce favorendo la concentrazione su una serie di movimenti – o fluttuazioni, o costruzioni – immaginarie.

    La respirazione quadrata ha anche altri benefici:

    • Ha un’azione calmante sul sistema nervoso
    • Aiuta ad affrontare situazioni difficoltose e impegnative
    • Regolarizza la pressione arteriosa e il battito del cuore
    • Rinforza il sistema immunitario
    • E’ utile per combattere l’insonnia

    La caratteristica principale della respirazione quadrata consiste nell’immaginare di disegnare un quadrato con la mente, e di abbinare alla “costruzione” di ogni lato un atto respiratorio, mantenendo per lo stesso lasso di tempo l’inspirazione, l’espirazione, e le due pause che le separano. Non ha importanza se la durata di lati del tuo quadrato è di 2, 3 o 4 secondi, ciò che importa è trovare il proprio ritmo di respirazione e mantenerlo per tutto l’esercizio.

    • Inspirando, misura la durata del tuo respiro e immagina di disegnare un lato di un quadrato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il secondo lato del quadrato;
    • Espirando, disegna il terzo lato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il quarto lato.

    Dovresti avvertire la sensazione di poter continuare questa pratica all’infinito, senza stanchezza. Appena ti accorgi che non riesci più a mantenere l’equilibrio con il ritmo della respirazione, interrompi la pratica senza andare oltre. Se hai difficoltà a mantenere le pause del respiro, puoi trasformare i quadrati in rettangoli! Puoi  inspirare per 4 secondi, trattenere per 2, espirare per 4, trattenere per 2. Ti invito a disegnare col respiro almeno quattro quadrati.
    In genere qualche minuto di pratica è sufficiente per calmare la mente. Ricordati di non avere fretta di finire. E’ sempre meglio fare 2 quadrati fatti bene, che dieci senza concentrazione. Durante la gravidanza bisognerebbe evitare di fare le ritenzioni del respiro ma è possibile procedere a disegnare i quadrati inspirando per 2, 3 o più respiri ed espirando per lo stesso lasso tempo. Funziona comunque! Ci sono anche delle varianti che potresti adottare: puoi disegnare i quadrati partendo una volta in senso orario e una volta in senso antiorario, oppure puoi immaginare di disegnare il quadrato una volta di un colore, e una volta di un altro, oppure ogni lato di un colore diverso.

    Quando cedo il mio potere personale la concentrazione al lavoro diminuisce

    A chi si cede il proprio potere personale?  A tutte quelle situazioni esterne a cui lasciamo prendere il sopravvento: l’invasione delle mail, il collega che mi interrompe, la telefonata, whatsapp, i social ecc.

    Ogni volta che provi un’emozione come rabbia, frustrazione, impazienza, tristezza, ansia, paura, invidia o qualsiasi altra emozione che NON sia affine a gioia, senso di rilassamento, pace, quiete, gratitudine, amoreallora significa che hai ceduto il Tuo Potere Interiore a qualcuno o qualcosa di esterno a te. Una persona, una situazione, un agente esterno può avere potere su di Te solo quando tu glielo concedi. Ogni volta che ti ritrovi inconsapevolmente in un’emozione negativa, lasciando che in modo subdolo si insinui dentro di te, stai cedendo il tuo potere, stai perdendo la tua energia. Quale energia? La tua energia innovatrice, creatrice, risolutrice. Stai lasciando che i ladri di potere approfittino del tuo momento di debolezza. E i ladri di potere sono anche tutte quelle situazioni summenzionate, ma non solo. I ladri di potere sono moltissimi, molti più di quanti immaginiamo.

    Esercizi per mantenere la concentrazione al lavoro

    Ci sono diverse tecniche per imparare a non distrarci e a mantenere la nostra concentrazione al lavoro. Di seguito te ne suggerisco alcune.

    Tecnica del mandarino:

    Per applicare questa tecnica di concentrazione dovrai seguire alcuni semplici passi:

    1. Immagina di stringere in mano un mandarino. Concentrati sui dettagli: immagina la consistenza del mandarino, il suo odore, il suo peso, la sua temperatura, liscio, ruvido, ecc.
    2. Passa il mandarino da una mano all’altra, saggiandone ogni piccola sfumatura.
    3. Ora afferra il mandarino con la tua mano destra (la sinistra per i mancini!) e portalo a toccare la parte posteriore della tua testa. Lascia il mandarino in questa posizione: è un mandarino magico, non preoccuparti non cadrà.
    4. Chiudi gli occhi e lascia che il mandarino galleggi in equilibrio la dove lo hai lasciato. Concentrati sul tuo stato fisico e mentale. Probabilmente ti sentirai rilassato ma concentrato allo stesso tempo.
    5. Sempre con gli occhi chiusi immagina che il tuo campo visivo si espanda e riesca ad abbracciare tutto ciò che ti circonda.

    Tecnica del pomodoro

    Applicare la tecnica del pomodoro prevede  5 semplici passi:

    • Scegli un’attività da completare.
    • Imposta il timer a 25 minuti .
    • Lavora sulla tua attività senza distrazioni finché il timer non avrà suonato.
    • Prenditi una pausa di 5 minuti.
    • Ogni 4 “pomodori” prenditi una pausa più lunga di 15-30 minuti.

    Tecnica del mancino

    Secondo uno studio della Case Western Reserve University, piccoli cambiamenti nelle nostre routine quotidiane possono aumentare gradualmente la nostra forza di volontà. La tecnica del mancino è consigliata dalla “neurobica” (una sorta di ginnastica mentale) per favorire la creazione di nuove sinapsi (collegamenti tra le cellule del sistema nervoso), facendo qualcosa di diverso dal solito.

    Ecco alcuni esempi pratici:

    • La mattina appena sveglio, lava i denti utilizzando la mano sinistra (la destra se sei mancino).
    • Sostituisci il primo gesto che compi ogni mattina (fumare una sigaretta, accendere il computer, etc.) con un’azione più sana.
    • Se hai la tentazione di controllare la posta elettronica o Facebook, rimanda di qualche minuto.
    • Rifai il letto.
    • In generale, abituati a fare ciò che non sei abituato a fare, solo perché decidi di farlo; proprio come se dovessi scrivere come un mancino.

    Tecnica del silenzio

    • Ne parla Robin Sharma nel “Il monaco che vendette la sua Ferrari”. La tecnica consiste nel non parlare per un giorno intero, se non in risposta a domande dirette.
    • Rimanendo in silenzio per un’intera giornata non fai altro che condizionare te stesso a fare ciò che decidi consciamente di fare, senza limitarti a reagire continuamente.
    • Più controllo sarai in grado di avere sulla tua forza di volontà, più questa si accrescerà.

    Esercizio del Triangolo

    Per allenare la concentrazione è utilissimo anche l’esercizio del triangolo. Disegna su un pezzo di carta un piccolo triangolo e coloralo di qualunque tonalità. Prendi ora il foglio su cui hai disegnato il triangolo, mettilo davanti a te e concentra tutta la tua attenzione sul disegno che hai creato. In questo momento, non devono esserci pensieri nella tua mente se non la forma geometrica che stai osservando. Mantieni la tua attenzione sul disegno ed evita di pensare a qualsiasi altra cosa. Respira, restaci da 1 a 3 minuti e poi riprendi l’attività.

    Concludendo mantenere il proprio potere personale vuol dire allenare la propria forza di volontà.

    Come dice Miranda Sorgente in “Riprenditi il tuo potere”, noi viviamo sempre in contemporanea 2 realtà, quella esterna e quella interna. Quando c’è contrasto tra le 2 realtà (es. sei in un posto meraviglioso, nel posto in cui volevi proprio essere, eppure nella tua realtà interna stai vivendo qualcos’altro) la realtà interna VINCE sempre. Il viaggio più affascinante che possiamo fare nella vita è dirigerci sempre verso il nostro faro, senza farci troppo distrarre dalle sirene!