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  • Il metodo

    Il cambiamento organizzativo è vita

    Lunedi scorso 13 giugno ho avuto il piacere di tenere uno speech sul cambiamento organizzativo in un’azienda multinazionale a fianco a Simone Pianigiani, famoso allenatore internazionale di pallacanestro.

    Confrontare la squadra sportiva con la squadra aziendale è sempre d’ispirazione e stimolante, soprattutto quando vengono condivise visioni interculturali che nella complessità sono orientate verso lo stesso obiettivo.

    Quest’ opportunità mi ha permesso di fare alcune riflessioni,di cui sono grata.

    L’occasione del 13 giugno rispondeva al desiderio dell’azienda di celebrare la ripresa della vita lavorativa con le nuove modalità (lavoro da casa, lavoro in presenza, ripensamento di nuovo spazi aziendali, accelerazione ed integrazione digitale) e soprattutto dare un segno visibile dell’importanza della relazione umana.

    Una relazione umana che per certi versi stenta a ripartire.

    Una relazione umana che deve crescere.

    E a tal proposito, sempre più mi stride la parola “dipendente”.

    Ma dipendente da chi?

    Per certi versi siamo tutti dipendenti.

    Ma si tratta di altri tipi di dipendenza: dal fumo, dai social, dal cibo,ecc.

    Ma se pensiamo alla vita aziendale, la parola di per sé “dipendente” non valorizza l’unicità, la creatività, la vitalità dell’espressione umana.

    Ma dipendente da chi? Chi dipende?

    I dipendenti dipendono dall’azienda, ma allo stesso tempo anche l’azienda dipende dalle persone che ci lavorano. Quindi?

    Da dipendenza ad ‘inter-dipendenza’ nel cambiamento organizzativo

    La dipendenza implica una mancanza di libertà e autonomia, significa essere sempre in balìa degli umori degli altri, dell’economia, delle circostanze. Significa spostare la responsabilità all’esterno.

    Nel concetto di inter-dipendenza, soprattutto l’azienda, spinge il desiderio del cambio di mindset dei collaboratori.

    Si vorrebbe sempre avere persone di valore che mettono il proprio tempo, la propria energia e le proprie capacità a disposizione di un’azienda in cui credono, verso uno scopo che abbia veramente un senso per loro.

    Come ci si può aspettare spirito imprenditoriale, creatività e innovazione da persone che non si sentono libere e sono sempre in ansia per ciò che potrebbe succedere?

    E se il concetto di ‘dipendente’ fosse un freno per l’azienda stessa e per il cambiamento organizzativo?

    A chi piace davvero essere definito “dipendente”?

    Lo sappiamo bene che essere dipendente mette le persone in area di comfort, ha a che fare con la sicurezza psicologica e con la paura, emozione principale che sempre sottende le nostre azioni e le nostre non azioni. Noi agiamo o non agiamo per paura.

    La paura di perdere la sicurezza mi tiene agganciata a cio’ che conosco anche se non mi fa più vibrare, la paura di sentirmi “tarpare le ali” mi spinge ad andare, a cercare sempre qualcosa di meglio.

    Una sicurezza tra l’altro oggi sempre più fragile. Una delle evidenze è il movimento dimissionario che oggi sembra essere così diffuso. La possibilità oggi di lavorare everywhere da remoto mette in atto pulsioni  a campi infiniti di possibilità.

    Cosa cambierebbe se le persone in azienda non fossero dei ‘dipendenti’, bensì dei co-creatori, dei leader e perché no magari anche dei soci?

    Quando condivido questi temi, alcuni Amministratori Delegati e Direttori delle Risorse Umane si irrigidiscono e mi considerano un’idealista aziendale. Mi dicono subito che se tutte le persone fossero leader ci sarebbe una completa anarchia e poca propensione al cambiamento organizzativo.

    Chi si occuperebbe del lavoro operativo? Chi prenderebbe le decisioni?

    Eppure mai come in questo periodo si continua a parlare di nuova leadership, di leadership inclusiva, trasversale, di senso ecc. E se ci stesse impedendo di vedere altre possibilità?

    Se la vera leadership fosse più evoluta di ciò che abbiamo pensato fino a oggi?

    E’ possibile essere un Leader senza fondare la propria leadership sull’ego ?

    Si può definire ‘leader’ una persona che è capace di lavorare con gli altri in modo costruttivo nonostante le differenze, per trovare insieme soluzioni realizzabili e sostenibili?

    Un leader è separato dagli altri oppure è interconnesso con gli altri?

    Un leader che non è capace di gestire i propri pensieri, emozioni e comportamenti può gestire le persone e la propria azienda in modo efficace e costruttivo?

    Ecco perché un lavoro di crescita personale è necessario per creare una nuova modalità di vivere ed essere leader.

    Nel mondo dell’interdipendenza 

    Se ogni persona in un’azienda pensasse, si sentisse e si comportasse come un vero Leader, il cambiamento organizzativo passerebbe dal fatto che:

    • Ogni persona si assumerebbe la responsabilità per il proprio operato – che si tratti di lavorare in Cassa, in Officina, o nel Consiglio Direttivo.

    Questo quale impatto avrebbe sui risultati dell’azienda?

    • Ogni persona si focalizzerebbe sul trovare Soluzioni insieme agli altri, invece di lamentarsi dei Problemi.

    Questo quale impatto avrebbe sulla crescita dell’azienda?

    • Ogni persona gestirebbe le proprie emozioni e reazioni di fronte alle avversità e ai conflitti in modo più consapevole e costruttivo.

    Questo quale impatto avrebbe sulle relazioni interpersonali e il clima aziendale?

    Se nessuno vede nessuno

    Le persone non sono abituate a vedere se stesse come leader, e molti capi non sono abituati a vedere i loro dipendenti come leader. Ma tutte le abitudini si possono cambiare. E’ possibile sviluppare l’abitudine di pensare, sentirsi e comportarsi come un vero leader – indipendentemente dal proprio titolo o funzione.

    Come diceva Goethe ‘Sia che tu credi di farcela o di non farcela, hai ragione’.

    Cambia il senso di squadra

    Nella visione di un cambiamento organizzativo autentico, Il fare squadra ha a che fare con il senso di appartenenza e obiettivi condivisi.

    E implica qualcosa di molto profondo che SONO i Valori.

    Quali valori?

    Spesso anche individualmente facciamo fatica ad identificare quali sono davvero i nostri valori. Sono valori con cui dobbiamo fare i conti, perchè magari non ci appartengono più. Non li sentiamo più aderenti alla nostra pelle e, peraltro, fino a quando non li riconosciamo e li lasciamo eventualmente andare, inficiano la nostra energia e la nostra vita personale ed aziendale.

    Il nostro ikigai, quell’intento che ogni mattina ci fa alzare e pensare alla nostra giornata come a qualcosa di nuovo e incredibile da sperimentare.

    Aprirci ad una mentalità di cambiamento organizzativo ci fa stare bene perchè  ci permette di metterci in gioco e di vederci ogni giorno come nuovi, davanti ad un film di vita professionale che possiamo sempre modificare.

    Quindi il primo passo è verificare quali sono oggi i nostri valori e la nostra vision personale e confrontarla con quella aziendale.

    Come faccio ad identificare i miei valori oggi?

    I nostri valori spesso hanno a che fare con le nostre credenze.

    ​​Le credenze sono le fondamenta della nostra personalità e del nostro benessere.

    Il tuo valore o la mancanza di questo, la tua competenza o incompetenza, il tuo essere fiducioso o sospettoso, socievole o asociale, autonomo o dipendente. Flessibile o tendente a giudicare, trattato con rispetto o come vittima.

    Le credenze influenzano la tua vita a lungo termine, influiscono sull’umore le relazioni, le prestazioni lavorative ecc.

    Prendiamo qualche credenza depotenziante… ve ne propongo qualcuna

    ·  Se parlo tanto non mi ascoltano…

    ·  Siamo sempre in riunione e non abbiamo tempo di fare altro…

    ·  Ho già 50 anni dove vuoi che vada? chi mi prende …

    ·  Sono giovane e non ho potere…

    Trasformiamola in potenziante…

    Quando i miei valori sono allineati a quelli aziendali si rafforza il senso di appartenenza, che quindi è biunivoco.

    L’azienda è chiamata a comunicarli con chiarezza e a testimoniarli, il collaboratore deve fare un lavoro di tipo Imprenditoriale su di sé per osservarli, riconoscerli e scegliere di testimoniarli.

    Il senso di appartenenza si alimenta grazie all’incontro dei BISOGNI (BI-SOGNI) di entrambe le parti. La parola bisogno ha a che fare con 2 sogni, quello del collaboratore e quello dell’azienda.

    Nell’incontro si genera l’interdipendenza da uno stato di consapevolezza ed empowerment di entrambi.

    Il secondo passaggio sono sicuramente gli obiettivi condivisi che creano la premessa per integrare e accogliere le diversità come nutrimento e ricchezza. Non è necessario per forza essere amici nella squadra, come sottolineava Simone Pianigiani durante il nostro confronto del 13 giugno, ma avere stima, rispetto e fiducia, riconoscere i valori e gli obiettivi condivisi sì!

    La fiducia la costruisco nelle piccole cose, sapendo che posso contare su di te e che siamo insieme a servizio di un progetto più grande, dove il meglio conta meno del bene.

    E dove grazie e attraverso il contributo prezioso di tutti la squadra ottiene il risultato.

    Ma la crescita del senso di appartenenza fiorisce grazie alla culture del sostegno e dell’apprezzamento.

    La cultura del sostegno aziendale è linfa vitale

    Dare i compiti giusti alle persone giuste, permettere loro di lavorare con una pressione non troppo accentuata, e soprattutto rivolgersi sempre con gentilezza, rispetto e cortesia, mettono il dipendente nella condizione di rendere al meglio di essere parte attiva del cambiamento organizzativo, e di non sviluppare ansia da prestazione e stress.

    La cultura del sostegno passa attraverso:

    ·  Dialogo

    ·  Ascolto

    ·  Fiducia

    ·     Feedback strutturati

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

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