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  • Il metodo

    Come non perdere fiducia e stare bene nel (grande) pentimento della Great Resignation?

    Ho commesso il peggiore dei peccati che un uomo possa commettere. Non sono stato felice. Che i ghiacciai dell’oblio possano travolgermi e disperdermi, senza pietà“. 

    Da Il Rimorso di Jorge Luis Borges.

    Ho letto recentemente l’articolo di Economia del Corriere della Sera, datato 11 maggio 2023, in cui emerge che secondo i dati dell’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano, su un campione di 800 lavoratori:

    • Il 41% di chi ha cambiato lavoro in Italia si dice insoddisfatto, se non pentito, rispetto alla scelta fatta.
    • L’11% dice di stare bene
    • Il 42% si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di malessere psicologico e relazionale.
    • Solo il 7% si dichiara felice.

    Negli Stati Uniti intanto, secondo una recente ricerca condotta sa Paychex, 8 lavoratori su 10 affermano di essersi pentiti di aver lasciato il proprio posto di lavoro.

    Tra le principali motivazioni, quella più citata dai lavoratori è rappresentata dalla difficoltà riscontrata nella ricerca di una nuova occupazione. Un terzo degli intervistati, riferisce che la ragione del loro rammarico è dovuta alla nostalgia degli ex colleghi. Poi seguono una serie di motivazioni legate all’ambito economico: il 27% dichiara di non essere soddisfatto dello stipendio offerto dalla nuova azienda, il 23% preferisce il sistema di incentivazioni offerto dalla precedente azienda, Altri motivi del “rimpianto” sono legati alla mancanza di equilibrio vita privata-lavoro, smart working, flessibilità oraria e pasti gratuiti, ecc. ecc. ecc.

    Il quadro non è allettante, se continuiamo a guardarlo dallo stesso punto di vista.

    Perché perdere fiducia nel  (grande)pentimento? 

    La definizione che dà la Treccani del pentimento riguarda un sentimento di rimorso, dolore, rammarico per aver fatto cosa che si vorrebbe non aver fatto, o al contrario, per avere omesso di fare ciò che sarebbe stato doveroso o giusto fare; sentimento di dolore per le colpe e i peccati commessi in trasgressione delle leggi divine, dei comandamenti e precetti religiosi, della fondamentale legge dell’amore verso Dio e verso gli altri.

    Wayne Dyer, psicologo statunitense, scrittore di molti libri e docente, ritiene che “il senso di colpa, o pentimento, porti a sprecare i momenti del presente, perché ci immobilizza a causa di un comportamento passato“. Per questo motivo, propone di trasformare il senso di colpa in una lezione che ci porti a imparare dagli errori del passato: in questo modo non rimarremo immobili per colpa sua, ma riusciremo a trovare una soluzione per questa situazione che ci genera malessere. Non è così semplice voltare pagina quando quello che pensiamo essere il lavoro della nostra vita si trasforma in un incubo, o si rivela peggio di quello che abbiamo lasciato. Non c’è modo di dimenticare questa scelta, ma esiste un modo per superarla ed è provare a cambiare punto di vista e mettere da parte il rimpianto. Una volta compreso che tutto accade per un motivo, che le persone e le situazioni cambiano, che la vita segue il suo inesorabile corso, che ciò che esiste oggi, magari domani potrebbe non esserci più, che siamo umani e possiamo sbagliare, che non possiamo controllare tutto e che possiamo essere facilmente sostituiti da altre persone, a questo punto dobbiamo spostare lo sguardo: da fuori a dentro.

    Quali motivazioni ci spingono a cambiare lavoro?

    Ho cambiato lavoro a quaranta cinque anni, appena compiuti. È stata una delle scelte più sofferte della mia vita, ma oggi mi ritengo una donna e una professionista felice.

    Non si tratta di fortuna, come a volte qualcuno accenna a dirmi, mi sono fatta un gran mazzo e ho sempre pagato il prezzo di tutte le mie scelte, nessuno sconto per ricercare ed esplorare la mia mission personale.

    Ho sempre lavorato mettendo il focus sulla mia direzione, su che persona avrei voluto diventare.

    Se non si cambia lo sguardo da fuori a dentro, il rischio è di essere in balia degli eventi e, di conseguenza, perdere fiducia restando in balia del (grande)pentimento

    Di solito si cambia lavoro per:

    1)Insoddisfazione

    L’insoddisfazione ci fa sentire “fuori posto”.La soddisfazione nasce quando facciamo quello che pensiamo, quello che sentiamo e quello che agiamo nella nostra vita sono in coerenza. 

    E allora ci sentiamo al “posto giusto” al “momento giusto”

    2)Crescita economica

    Assolutamente lecito desiderarla, ma è necessario avere chiaro il fine? Cambiare azienda per la migliore offerta può portare un piacere momentaneo, ma cosa accade nel lungo periodo? Se non sai perché lo fai difficilmente ti accontenterai.

    3)Crescita professionale

    Anche in questo caso non ci scostiamo di molto. Posso desiderare una crescita professionale perché sono ambiziosa/o, perché sento di meritarmelo dopo tanti anni che lavoro, perché sento di poter dare di più.

    Qualunque sia la ragione, è importante chiarirsi perché lo stai facendo, qual è il tuo obiettivo e cosa ti spinge a farlo.

    4)Nuove sfide

    Fantastico, sono una sostenitrice delle nuove sfide, ma per quale fine?

    Avevo bisogno di crescere ed imparare di più, ero annoiata e mi stavo rassegnando, ecc.

    Se non entro nella comprensione di quella noia, molto probabilmente di lì a poco, noia e insoddisfazione riprendono il sopravvento anche nella nuova realtà.

    5)Ricerca di un nuovo equilibrio

    Oggi si parla tanto di work life balance, io stessa mi sento paladina del percorso fatto nella mia vita professionale, da work alcholic separated a work alcholic integrated

    Il work-life balance non è solo poter andare a prendere i figli a scuola, lavorare dal mare o fare il bucato tra una webcall e l’altra.

    Seppur facilitante, senza dubbio, in realtà ha a che fare con uno stato mentale, è un approccio alla vita diverso da quello a cui siamo abituati. 

    È pensare prima a noi stessi e poi al resto: non si tratta di egoismo, anzi si tratta proprio di sano egoismo che ti permette di essere aperto poi agli altri e al mondo.

    Che stile di vita vorresti? come ti piacerebbe trascorrere la tua giornata?

    6)Voglia di fuga

    La maggior parte delle persone che si sono pentite di aver cambiato lavoro, l’hanno fatto perché quando si sono dimesse, sono stato guidate dall’istinto.

    Il desiderio di mollare e scappare può anche essere un desiderio sano ma ha bisogno di una direzione e di assunzione di responsabilità per qualsiasi cosa possa accadere.

    Quali sono le emozioni che ci fanno perdere fiducia  in noi stessi?

    Fatica

    Anche se non la definirei una vera e propria emozione, ma più un comportamento.

    Di sicuro è un buon campanello d’allarme. Naropa,padre del buddismo tantrico, diceva che “la buona condotta è assenza di sforzo”.

    Ogni cambiamento comporta impegno, ma l’impegno ci apre al darci per qualcosa… mettere pegno nel senso di essere parte attiva per volere, desiderare qualcosa. 

    La fatica invece, dal latino fatiga, fatigare, è uno sforzo materiale che si fa per compiere un lavoro o svolgere una qualsiasi attività, e di cui si sente il peso e poi la stanchezza.

    Ecco che iniziare a riconoscere la differenza tra sforzo e impegno ci aiuta a comprendere se la direzione ci è chiara. Ciò non significa che chi si impegna non è mai stanco, ma è una stanchezza diversa che si rigenera più facilmente.

    Senso di inadeguatezza

    Quante volte ci è capitato nella vita di non sentirci all’altezza?

    Spesso ci diciamo di non sentirci all’altezza perché non riusciamo in ciò che facciamo e questo ci crea frustrazione. 

    Ma altrettanto spesso non ci sentiamo all’altezza perché non siamo al posto giusto. Magari abbiamo cambiato, per lo stipendio, perche’ più vicino a casa, perché abbiamo seguito un collega ecc.

    Paura di sbagliare

    Questa paura è la regina delle paure. Il timore del fallimento ha radici molto profonde, che riguardano il giudizio, le aspettative ecc.

    Se iniziassimo a cum-prendere (prendere con noi, portare dentro) che non ci sono errori e fallimenti ma solo correzioni, probabilmente riusciremmo a fluire meglio con il cambiamento.

    Non esiste il (grande)pentimento, ma solo correzioni

    Solitamente ci si pente come se la situazione, persone ecc. fossero altro da noi.

    Quale parte di noi sente di perdere fiducia ? Chi si pente?

    Si pente la nostra mente razionale, che ha bisogno di sentirsi apprezzata, approvata, che teme il giudizio e che ha paura di sbagliare.

    Il nostro Sé superiore o coscienziale non conosce il (grande) pentimento perché parte dal presupposto che tutto concorre alla nostra crescita ed evoluzione. Che l’esperienza umana che stiamo facendo sulla Terra, in questo contesto storico e in questa zona della Terra sia l’esperienza “giusta” per noi. Pertanto non ci sono errori, non ci sono fallimenti, ma solo una serie di correzioni da apportare per mantenere  la “bussola” nella direzione della nostra “mission” personale e professionale.

    C’è separazione, ma non c’è distinzione tra ciò che succede fuori, rispetto a ciò che succede dentro di noi. La separazione c’è perché manca allineamento tra ciò che pensiamo e ciò che sentiamo, tra ciò che sentiamo e ciò che agiamo. Da qui la delusione e il rimpianto. Ma lavorare su di Sé con consapevolezza significa iniziare ad osservare che ciò che succede nella nostra vita fuori è un’opportunità per conoscerci meglio dentro, che tutto ciò che accade fuori ci fa da specchio

    per invitarci a vedere aspetti di noi che in altro modo non riusciremmo a contattare.

    Questa nuova prospettiva, ci cambia la vita.

    Allora il capo che abbiamo, che non sopportiamo, il lavoro che abbiamo lasciato e quello che abbiamo voluto, ci parlano di aspetti e modalità nostre intriseche.

    Perdere fiducia come conseguenza dell’evitamento

    A volte il tentativo di fuga, la ricerca di un nuovo equilibrio, nuove sfide che vogliamo vivere, ecc. se non ben osservate, si rivelano spesso soluzioni esterne (vedi cambio lavoro) per non portare lo sguardo interno, per non voler prendere consapevolezza che il malessere è prima di tutto interiore e che se non ne sono davvero consapevole, se non vado un po’ a fondo per scoprire meglio chi sono? e cosa voglio invece ?,al prossimo lavoro, fidanzato, ecc. nel giro di pochi mesi riaffiorano le stesse emozioni e inevitabilmente il pentimento.

    Quando divenni consapevole di tutto ciò  la mia visione della vita cambiò e iniziai a prendermi la responsabilità delle mie azioni e dei miei pensieri. Non solo, cambiò il mio atteggiamento di fronte alle cose perché anche nelle situazioni più difficili, in automatico oggi, dopo anni di lavoro personale, la prima domanda che affiora è:

    ·  Che significato ha per me questa situazione, questo incontro, questa difficoltà?

    ·  Cosa devo imparare?

    ·  Cosa voglio io invece?

    ·  Cosa posso scegliere di fare?

    Si aprono così nuovi scenari e la nostra energia e vitalità personali si potenziano, ritorniamo sempre a casa, nella nostra casa interiore, e questo ci dà un grande potere personale e ci richiama direttamente al senso, al nostro ikigai.

    In passato mi è capitato di fare un coaching ad una manager che era proprio arrabbiata con l’azienda perché, dopo tanti anni che lavorava lì e che, a suo modo di vedere, si era data totalmente anima e corpo, l’azienda non le faceva fare ulteriore carriera.

    Grazie al capovolgimento del punto di vista, abbiamo iniziato a lavorare su quali aspetti erano funzionali e quali erano disfunzionali in lei per il raggiungimento del suo avanzamento.

    In origine non vedeva alcun aspetto disfunzionale, perchè la rabbia aveva il beneficio secondario di non farle contattare la paura di scoprire magari di non essere all’altezza. Era più facile pensare fosse giunto il termine di cambiare società (e magari avrebbe potuto anche esserlo). E’ stato uno splendido lavoro su di Sé che le ha permesso di osservare e riconoscere su cosa doveva lavorare, questo ha sciolto moltissima rabbia, le ha riportato gioia, leggerezza e vitalità, abbandonando la rabbia.

    Da quel nuovo “spazio interiore” ora avrebbe potuto agire con più consapevolezza in entrambe le decisioni (restare o andare). Ha scelto di “andare dentro” e lavorare davvero su di Sè, ha ottenuto un riconoscimento ed una crescita, senza necessariamente cambiare azienda.

    Parliamo di responsabilità o owernship: capire che le nostre azioni e i nostri pensieri influenzano la nostra vita, cambia completamente il paradigma di come crediamo funzioni la nostra esistenza.

    Allora scopri che sei molto di più di quello che credevi di essere, soprattutto grazie alle tue correzioni!

    Se sei interessato a temi di ownership, fiducia e crescita personale il 22 settembre 2023  partirà HR Energy Training,  il primo percorso di crescita personale e benessere psicofisico dedicato agli HR manager.

    Per informazioni ed approfondimenti scrivici a info@myhara.it.

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