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    La leadership inclusiva abbraccia tutte le forme di intelligenza

    Come la leadership inclusiva  aumenta profitto e benessere in azienda

    In un momento storico come questo, dovuto a scenari pandemici, economici spesso incontrollabili, quella che i leader stanno vivendo nelle organizzazioni è una delle sfide più grandi di sempre: far sì che le persone, pur essendo delocalizzate, lavorando a distanza e spesso in preda ad emozioni di ansia, possano sentirsi comunque unite e motivate.

    Si inizia a ripensare ad un nuovo modello di leadership all’interno delle organizzazioni che è una leadership legata all’essere creatori di senso.

    Oggi trovare il senso da parte del leader vuol dire, nonostante tutti i cambiamenti, rispondere ad alcune significative domande: Come devo vivere? Qual è il valore del mio lavoro e dell’organizzazione presso cui lavoro? Come azienda, che contributo possiamo dare alla società? In cosa facciamo la differenza? 

    Cosa si intende per senso? 

    Il senso ha a che fare con la DIREZIONE (proprio come un cartello stradale ci indica la strada) e il SIGNIFICATO di ciò che facciamo. Se conosco il significato riesco a convogliare tutte le mie energie in ciò che faccio. Nota la differenza tra vagabondo e pellegrino: ha a che fare con il significato.Il vagabondo gira senza meta, il pellegrino ha una meta.

    Ma chi è un leader oggi?

    Il leader è colui che guida, guarda avanti, sa ascoltare e comunicare con tutti coloro che lo seguono ed anche con chi non lo segue, ma potrebbe seguirlo più avanti, qualcuno che vede prima la possibilità di cambiare, in senso positivo.

    Si può essere leader nel proprio gruppo familiare, con amici e in azienda, piccola o grande che sia.

    Formare un leader oggi significa fornire un’educazione intellettuale, associata ad una parte etica ed emotiva.

    Come dice Don Bosco l’educazione è un’azione di cuore.

    Quindi l’istruzione intellettuale deve essere affiancata ad un’educazione emotiva, capacità di ascolto, rispetto verso l’altro, empatia, flessibilità per interagire con tutti, capacità di vedere il cambiamento che arriva e saperlo trasformare, praticare valori come la gratitudine, la contemplazione e la gentilezza.

    Ogni potere deve essere sempre controbilanciato dalla responsabilità.

    Il leader oggi deve integrare, includere tutte le parti di Sé maschile e femminile. Valori come la gratitudine, la gentilezza ecc. sono per lo più legati all’energia femminile. A differenza delle caratteristiche di profitto, determinazione e competitività,  tipici della leadership tradizionale, maschile.

    Il leader oggi deve superare l’ego.

    Il leader oggi deve spingere gli altri al senso del “noi”.

    La leadership inclusiva è un cambio di paradigma

    La leadership di senso o inclusiva si sposta da una precedente visione up down ad una espressione più trasversale e per fare questo passaggio è indispensabile:

    • attingere a nuovi accordi
    • decidere per assenso
    • celebrare 
    • agire
    • dare feedback 

    Il nuovo concetto di leadership risponde a “è abbastanza buono e abbastanza sicuro per provare e lascia spazio al margine d’errore“.

    Non risponde all’idea di perfezione che, peraltro non esiste e ha sempre creato competitività e frustrazione.

    La nuova leadership deve tenere conto che ognuno è una scintilla “divina” ed ognuno è stato ferito. E’ così.

    L’obiettivo della nuova leadership deve tutelare l’equivalenza e l’equanimità. Tutti sono coinvolti.

    Una leadership di senso coinvolge un lavoro di crescita personale. Cambiare dentro per manifestare fuori.

    Significa lavorare con il giudizio. Il primo giudice interiore siamo noi stessi. Il giudizio è una reazione automatica della mente.

    Non possiamo spegnere la mente. Possiamo però osservare lo spazio tra un pensiero e l’altro e nutrirci di quello spazio, perché lì avvengono le migliori intuizioni e chiarezze.

    Abbiamo detto cambiare dentro per manifestare fuori: la gratitudine è la benzina per creare la manifestazione.

    Coltivare la gratitudine e trasformare il giudizio sono 2 aspetti fondamentali per la leadership inclusiva

    E’ necessario trasformare il giudizio in ascolto, rispettare il cammino di ognuno, portare la propria passione e la propria luce.

    Il nostro mondo è palesemente in una crisi di leadership resa manifesta – pienamente e senza eccezioni in tutto il mondo – dal collasso sanitario e sistemico scatenato dal virus COVID19 e dalla conseguente pandemia che ci affligge da qualche mese.
    Le sfide che già stavamo affrontando – il cambiamento climatico, i sempre più frequenti e terribili disastri naturali, l’esaurimento delle risorse, le costanti emergenze sanitarie nei paesi in via di sviluppo, le crisi etiche nelle aziende di tutto il mondo, il sovraffaticamento e burnout dei lavoratori nei paesi sviluppati – dipingono un quadro cupo.
    Aggravato, in moltissimi casi, da una implacabile spinta alla redditività a breve termine, da programmi sociali che si basano sulla crescita continua per garantirne il finanziamento, dal potere – ancora in espansione – delle grandi corporation. Oggi è difficile azzardarsi a ‘prevedere’ un futuro, ma tutti stiamo, ciascuno a suo modo, provando a immaginare, la ripresa nella direzione di una maggiore sostenibilità e un maggiore benessere del pianeta.

    La leadership inclusiva prevede persone – e leader – che possano accedere al meglio di ciò che sono per mettersi/o continuare ad essere al servizio degli altri e creare un cambiamento positivo e duraturo.

    Cosa intendiamo qui per leadership?

    Non è solo l’abilità di guidare, ispirare, influenzare qualcuno, ma è colui che scegli di fare un cammino di crescita personale.

    Siamo sicuri che la leadership inclusiva riguardi solo i “capi”? 

    Direi di no. Tutti noi, per prima cosa, ogni giorno, ‘guidiamo’ noi stessi, diamo una direzione al nostro agire.

    Ciascuno poi, all’interno del proprio contesto sociale, influenza in qualche modo la vita degli altri, nel privato, nel lavoro in maniera consapevole o inconsapevole.

    Quindi a tutti è richiesto di avere leadership, di mettere in campo la propria capacità di guidare altri, sia questo per un giorno, per un anno, per tutta la vita.
    Essere il proprio leader significa cercare di assumersi la piena responsabilità di se stessi, della propria motivazione, della salute, della felicità, dello sviluppo e degli sforzi per ispirare e motivare se stessi (e gli altri) a raggiungere un obiettivo o uno stile di vita dotato di senso.

    La figura dei leader sta evolvendo dall’essere l'”eroe” posto su un piedistallo, all’imparare ad essere anche “ospite” creatore di contesti in cui sia possibile facilitare lo sviluppo della self-leadership nelle altre persone.

    Ecco che il nuovo paradigma di leadership implica un ‘movimento autentico del Sé inside-out’ (da dentro a fuori di noi) integrando e valorizzando le proprie parti maschili e femminili di ognuno e concependola più armonica e completa.

    La leadership di senso risponde alla domanda: «Qual è il mio contributo al Mondo?».

    Presupposto indispensabile per esercitare una leadership di senso, sia verso se stessi che verso gli altri, è sviluppare la percezione e la conoscenza e di sé e curare il proprio sviluppo in un’ottica sistemica. L’individuo va considerato, quindi, nella sua completezza, come risultato di una integrazione di tutte le dimensioni – mentale, emotiva, fisica – che, riguardando l’intero Essere. 

    Le competenze fondamentali della leadership inclusiva

    Apprendere la leadership inclusiva  significa includere ed integrare a tre competenze fondamentali:
    1) ‘presenza autentica (mente). La presenza autentica può essere coltivata attraverso diverse pratiche contemplative, come ad esempio la meditazione, lo yoga o il movimento, che aiutano ad allenare la mente e ad accedere alla propria esperienza peculiare e unica.
    2) relazione autentica (cuore). La relazione autentica si attiva attraverso il dialogo, l’ascolto attivo, le pratiche sistemiche di risoluzione 

    3) azione autentica (corpo). L’azione efficace consiste nel guidare il cambiamento e nel saper mobilitare, dall’interno, le risorse per riuscire, per ‘farcela’. E’ l’azione forte e radicata, perché fondata, maturata, nelle prime due che la rendono possibile.

    Coltivare la propria leadership di senso è oggi una pratica e necessita di disciplina, esercizio costante e consapevole teso al miglioramento continuo, al superamento quotidiano di un limite, all’evoluzione del proprio Sé. 

    La leadership inclusiva o di senso è anche etica. Ovvero è necessario che ciascuno – soprattutto quando si trovi a guidare anche altri – non solo curi i propri interessi e quelli della propria organizzazione ma si ‘prenda cura’ del Bene comune.

    I leader etici promuovono la cultura etica e favoriscono la crescita delle organizzazioni e delle comunità, offrono buone risposte ai bisogni reali della società, hanno la capacità di affrontare i problemi prima che diventino disastri e, di conseguenza, risultano anche competitivi rispetto ai rivali, facendo da traino e da esempio per gli altri.
    I leader virtuosi praticano, quelle che Hackett e Wang2 hanno definito come le sei virtù fondamentali estrapolandole da una gamma di 54 virtù confuciane e aristoteliche. Queste sono: il coraggio, la temperanza, la giustizia, la prudenza, l’umanità e la sincerità.
    Nella loro pratica i leader etici trovano la propria felicità, la propria soddisfazione e anche l’efficacia del proprio agire.
    – Il coraggio è la capacità di agire in modi che superano l’opportunità costituita dal momento per capitalizzare il potenziale e l’impatto della visione sistemica a lungo termine. Il coraggio è la capacità di agire in un modo che serve il bene superiore, quando c’è un’immensa pressione a servire sè stessi e la ‘bottom line’. Il coraggio ha a che fare con cor-agire, azione del cuore.
    – La temperanza è il potere di controllare sè stessi in modi che portano a risultati morali e benefici per tutti.
    – La giustizia è la capacità di agire in modo equo, di ascoltare e difendere coloro che sono spesso indifesi, o in uno stato di difficoltà. La giustizia è la capacità di usare il potere personale e quello derivante dalla posizione ricoperta in modi che mirano a realizzare il bene comune piuttosto che un guadagno egoistico. “Il mondo è il mio regno e non c’è nulla che ne resti fuori” diceva Draco Daatson
    – La prudenza è la capacità di far leva sulla saggezza per scegliere non solo il buono per le persone, il pianeta e l’economia, ma anche il meglio.
    – L‘umanità è la capacità di esercitare il principio africano ‘Ubuntu’. Ubuntu significa semplicemente che “io sono in virtù di molti”. È ospitalità reciproca e non solo. Ubuntu, o umanità, suggerisce che «quando tu vinci, io vinco, e quando tu fai del male, io faccio del male».
    – La sincerità è la capacità di agire in modo autentico, di parlare onestamente e di sforzarsi di sostenere e fare il bene, anche quando queste azioni possono essere impopolari o difficili.


    Socrate ha detto: «La vita non esaminata non è degna di essere vissuta per un essere umano». Nei tempi di grande incertezza e ambiguità che stiamo attraversando è necessario, da parte di tutti coloro che si occupano dell’apprendimento della leadership, anche saper creare il giusto spazio per consentire alle persone di trascorrere più tempo nella riflessione e nell’autosviluppo e saper difendere un tale spazio dagli attacchi quotidiani della velocità e dell’urgenza.

    “Se hai un problema grosso vuol dire che tu sei piccolo, non sei sufficientemente ampio da contenere il problema. Se davvero vuoi cambiare concentrati sulla dimensione tua, non sulla dimensione del problema” Salvatore Brizzi.

    La leadership inclusiva  non è un optional.

    Quando si attraversa un mare in tempesta la leadership di senso ci garantisce l’entrata in porto.

    La leadership di senso deve essere creata, generata, nutrita.

    E’ stata fatta una ricerca in Google quasi 200 team: Qual’era il fattore più importante che determinava il successo della produttività? Al di là della performance individuale, ciò che ha fatto la differenza sono state 2 cose: la fiducia e la gentilezza. I team che avevano sviluppato più fiducia e gentilezza hanno prodotto di più in azienda.

    Questo perché è significativo? Perché per la prima volta possiamo invertire un paradigma e mettere i valori al servizio del numero e fare esattamente il contrario e mettere il numero al servizio dei valori.

    Il leader gentile quindi crea più successo, crea più salute, più benessere, più inclusività. 

    Padre Brescianini, monaco benedettino camaldolese che ha scelto di diffondere la sua spiritualità attraverso il coaching, definisce la leadership di senso attraverso 4 aree fondamentali:

    • Prendersi Cura
    • Educare
    • Bene comune
    • Visione

    Ora ti invito a fare un esercizio:

    Prova a prendere carta e penna e scrivere una descrizione di:

    • Cosa significa per me prendersi cura?
    • Cosa significa per me educare?
    • Cosa significa per me bene comune?
    • Cosa significa per me visione?

    Poi ad ogni area, associa un simbolo/ disegno simbolico

    La leadership inclusiva  è una necessità evolutiva. Non si tratta di una rivoluzione, ma di un’evoluzione.

  • Il metodo

    Assenso e consenso aumentano la leadership e amplificano l’unione nel team

    L’assenso e consenso non sono la stessa cosa. Il consenso riguarda un accordo legale e vincolante: es. dò il consenso ai trattamento dei dati, ecc. L’assenso invece è un accordo e, come tale, non è unanimità, bensì una decisione che viene presa quando non ci sono obiezioni, quando non si vedono più motivi per non agire in quel modo. L’assenso è lo spirito che informa il processo, ovvero la volontà di venirsi incontro, più che la forma del processo stesso.

    Ho trovato diverse definizioni di vocabolari, dove spesso le definizioni assenso e consenso sono utilizzate indifferentemente.

    Per il mio argomentare in questa sede, mi affascina restare più significativamente vicina alla definizione etimologica, assensus, da assentire, essere del medesimo avviso. Acquietamento della mente ad una cosa che viene proposta o affermata.

    Che bella cosa! Acquietare la mente, non disperdere più altra energia in inutili commenti, lamenti ecc. e concentrarsi per dare espressione al proprio Sé.

    In quest’ultimo periodo sento il bisogno di ascoltarmi più intensamente, cercando di non disperdere le mie energie, chiedendomi, in particolare, cosa posso fare, cosa devo comprendere, di più e meglio, grazie al lavoro di coach nella relazione di aiuto, per poter essere uno strumento di luce, affinchè tutto ciò che faccio sia allineato al massimo bene e porti i migliori risultati per me e per tutti gli esseri.

    Il tema del lavoro a distanza o del lavoro ibrido, che sta creando un nuovo assestment nelle aziende, e la difficoltà di far sentire i team coesi e compresi tra loro e con gli altri stakeholder, da ormai qualche settimana mi attiva interiormente soprattutto ricollegandomi al tema a me tanto caro del SENSO di quello che faccio e di come lo faccio.

    Definire cosa è bene e cosa è male per un’azienda e per le persone che vi lavorano ha a che fare con i valori e con la volontà del singolo manager di voler scrivere una pagina di storia dell’azienda di cui è entrato a far parte. Il bene di un’azienda spesso viene fatto coincidere con i risultati di lungo periodo. Il “long term” costituisce spesso l’ultima spiaggia nelle discussioni su situazioni di business complesse e controverse. Non sono convinta che questo sia esaustivo. Al mondo d’oggi, come ci insegna la geometria, il lungo periodo non è che una retta composta da un’infinita sequenza di tanti brevi periodi.

    Il bene di un’organizzazione ha piuttosto, secondo me a  che fare con la coerenza e l’alleanza verso l’esecuzione della strategia. Se un team crede nella propria strategia, questa stessa diventa il bene da proteggere.

    La strategia per definizione si propone o di superare una barriera (ammesso che questa sia stata ben identificata) o di cogliere un’opportunità significativa. In ambedue i casi la strategia ha lo scopo di traghettare l’azienda verso la prosperità.

    La prosperità, secondo il vocabolario, è “uno stato di benessere e di sviluppo, uno svilupparsi e svolgersi felicemente e con buoni frutti” 

    La prosperità porta buoni frutti quando il terreno è fertile.

    A tal proposito vorrei citare Igor Sibaldi quando ci parla di successo facendo riferimento alla felicità e ci chiede se il potere è legato al successo. Successo come participio passato di succidere, far succedere, creare, far germogliare…

    Sibaldi continua ponendo l’attenzione sulla differenza degli aggettivi contento (da continere, trattenere, contenere) e felice (da felix nel senso di fertile, che crea le condizioni per far succedere). La persona contenta non può avere successo. Solo la persona felice ha successo.

    Avere un terreno fertile è la prima preoccupazione anche dei permacultori.

    La permacultura è un insieme di pratiche mirate per progettare e gestire paesaggi antropizzati che soddisfino i bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali.

    L’azienda è un sistema vivente e l’assenso e consenso sono linfa vitale

    Oggi l’azienda è decisamente un sistema vivente integrato e mai come ora vedo nella  contaminazione con altri sistemi organizzativi spunti di crescita stimolanti.

    Nel mondo no profit, in quello associazionistico, nei nuovi modelli di ecovillaggi e nella permacultura viene spesso applicato il metodo dell’assenso e consenso che ha origini in Olanda negli anni 70, con la sociocrazia.

    Ho fatto la scorsa estate 2021, in Umbria, un ‘esperienza molto interessante, con un facilitatore della sociocrazia nei sistemi no profit che mi ha molto affascinato, perchè esperendola, in prima persona, ho compreso non solo il mio cambiamento di coinvolgimento e partecipazione, ma il mio sentirmi responsabile rispetto all’altro collega, applicando il metodo dell’assenso. Il risultato per me e per il mio gruppo è stato entusiasmo, impegno e condivisione, ma soprattutto sentirci parte importante di un Tutto che senza di noi non avrebbe avuto risoluzione. Alla base di questo senso di appartenenza c’era una condivisione di valori comuni.

    Con l’assenso, la decisione finale, di solito, non coincide con la prima preferenza di ciascun individuo del gruppo, e ci saranno persone a cui il risultato finale non piacerà parzialmente o del tutto, ma sarà una decisione a cui tutti avranno acconsentito e a cui ciascuno sarà disposto, a livelli diversi, a cooperare. 

    ll metodo dell’assenso è una forma per prendere decisioni di modo che esse siano cooperative e non coercitive.

    L’ assenso e consenso è definito come “nessuna obiezione”, le obiezioni sono valutazioni sull’efficacia della linea guida nel realizzare gli scopi dell’organizzazione. I membri che discutono di un’idea, e che si basano sul principio dell’assenso, si chiedono se è “sufficientemente buona per ora, sufficientemente sicura per essere provata”. Se la risposta è negativa, vuol dire che c’è un’obiezione da porre, che inizia la ricerca di un adattamento e una evoluzione della proposta originale per risolvere l’obiezione e trovare l’assenso.

    Questo scenario ci apre a 2 spunti di riflessione:

    1. L’ubuntu. E’ un principio etico africano che ho sempre incontrato durante le mie passate spedizioni africane con le organizzazioni umanitarie. Un valore esistenziale che spinge all’interconnessione, alla convivenza e al rispetto. Tra i nativi dell’Africa meridionale esiste un bellissimo detto popolare che recita “umuntu, ngumuntu, ngabantu” e che può essere tradotto come “una persona è una persona a causa degli altri”.

    2. L’azzeramento del margine d’errore o comunque la sua riduzione ed eventualmente facile gestione. Arrivare alla decisione “sufficientemente buona per ora, sufficientemente sicura per essere provata” comporta consapevolezza che non è perfetta e che può essere ancora modificabile, ma anche sicurezza di avere tutti dalla stessa parte e di essere abbastanza saldi nel poter intraprendere al meglio la decisione presa. Si tratta di far emergere nella fase delle obiezioni tutte le paure che bloccano sia mentalmente che emotivamente le persone ad andare avanti, ed è molto stimolante che il gruppo sostenga e faccia proprie timori e resistenze comuni. In questo modo automaticamente si rafforza e aumenta la capacità di resilienza.

    Come si prendono decisioni con l’assenso e consenso?

    1. Identificare elementi dello scenario che vogliamo prendere in considerazione (Qual è il quadro della situazione?)

    2. Creare una proposta (quale sarà il nostro approccio?) Solitamemte si chiede ad una o più persone di preparare una bozza di proposta e farla circolare perché sia commentata e rivista prima dell’incontro successivo.

    A. Analisi del problema / delle opportunità [Bisogni / Risorse / Limiti]

    B. Dialogo con i portatori di interesse / persone informate

    C. Stesura della proposta con elementi essenziali (5W – What, Who, Where, When, Why )

    D. Feedback con criteri/obiettivo

    1. Assenso alla proposta (qual è la nostra decisione?)

    a. Presentare la proposta

    b. Chiarificazione (giro di) (solo domande di chiarificazione) “La proposta è chiara?”. “Ci sono domande?” “E se…?”

    c. Reazioni rapide (giro di) un feedback veloce sulla proposta, se necessario modificare la proposta in base alle reazioni Vi interessa questo argomento? C’è energia?” (Breve reazione, anche solo una parola, un gesto o una frase breve – focus se l’argomento è di interesse – c’è energia/interesse rispetto al problema/opportunità affrontato)

    a. Assenso (giro di): Se ci sono obiezioni vanno registrate su un foglio /lavagna senza aprire il dibattito, finche il giro non sarà completato. Se necessario modificare la proposta e ripetere il giro dell’assenso (aprire un confronto libero a volte può essere utile per far emergere modifiche in risposta alle obiezioni). “Ci sono obiezioni a questa proposta?” Dopo aver finito il giro si chiedono le motivazioni a chi ha portato un’obiezione

    6 Ragioni per obiettare:

    1. Uno o più aspetti della proposta confliggono con lo scopo del cerchio;

    2. uno o più punti deboli o aspetti non affrontati, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio;

    3. non sono espressi criteri o date di valutazione/misura future;

    4. potenziali conseguenze inaspettate se la proposta viene implementata, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio;

    5. uno o più aspetti non sono ben pensati o sono espressi in modo confuso;

    6. uno o più aspetti non permettono di portare avanti i tuoi compiti, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio.

    6 modi per risolvere le obiezioni

    ·   DURANTE LA RIUNIONE

    ·   A. Aggiungere le preoccupazioni in forma di nuovi criteri di valutazione,

    ·   e/o avvicinare la data della prima valutazione;

    ·   B. il facilitatore modifica la proposta;

    ·   C. chi ha scritto la proposta la modifica;

    ·   D. le persone che hanno obiettato, uno o più, o tutto il cerchio modificano la proposta;

    ·   E. un giro con la domanda: “come lo risolvereste?”;

    ·   F. “fishbowl” con due o tre persone al centro del cerchio.

    Proposta modificata

    Riparto dal punto 4.

    Annunciare la decisione presa e celebrare

    ⇒ SUCCESSIVAMENTE ALLA RIUNIONE

    A. Affidare ad un gruppo di ricerca;

    B. affidare ad un gruppo di risoluzione;

    C. affidare ad un cerchio superiore.

    Nuova proposta

    Riparto dal punto 1.

    Annunciare la decisione presa e celebrare

    Implementazione (Fare)

    Feedback

    Quando si usa l’assenso non è necessario avere “vincitori e vinti” in una discussione: potrà esserci un’idea totalmente nuova che terrà insieme le prospettive ed i desideri di tutti e tutte.

    La sociocrazia dell’assenso e consenso in azienda

    La Sociocrazia è un modello organizzativo molto vicino alla gestione agile caratterizzata da livelli diversi di scopo, responsabilità e competenza: questo modello è fortemente caratterizzato dal principio che ogni persona per competenza e ruolo ha diritto ad essere ascoltata e presa in considerazione nei processi decisionali che la riguardano. Proprio in questo vedo una forte assomiglianza con l’ubuntu africano.

    Il modello si sostanzia in alcuni semplici principi di funzionamento volti a conciliare efficacia, efficienza e qualità dei modelli organizzativi, partendo da un’ idea di leadership diffusa verso tutte le persone che partecipano all’organizzazione; si tratta di un modello che incoraggia la valorizzazione e distribuzione della leadership per aree di competenza, secondo principi dinamici e modalità di decisione in gruppo che fanno leva sul l’ascolto diretto e consapevole e sul coinvolgimento delle persone, nonché sulla condivisione delle informazioni e del potere in modo equilibrato.

    Sociocrazia deriva dal latino socius, che significa compagno, collega o associato, e dal greco kratein che significa potere. Il termine fu coniato nel 1851 dal sociologo Auguste Comte. Comte supponeva che un governo guidato da sociologi avrebbe usato metodi scientifici per soddisfare i bisogni di tutte le persone, non solo quelli della classe dominante 

    Il sociologo americano Lester Frank Ward ampliò successivamente il concetto e riteneva che la democrazia si sarebbe così evoluta in una forma più avanzata di governo, la Sociocrazia.

    Nota anche come Governance Dinamica, è un sistema di gestione che ha lo scopo di arrivare a soluzioni che creino sia un ambiente socialmente armonioso, che organizzazioni ed imprese produttive. Utilizza l’ “assenso” piuttosto che il voto di maggioranza nel momento della presa di decisioni, e per il momento di dibattito che avviene, prima del momento decisionale, tra le persone coinvolte che hanno un rapporto di collaborazione, conoscenza e uno scopo comune.

    Il pacifista olandese, educatore e operatore di pace Kees Boeke e sua moglie, l’attivista pacifista inglese Beatrice Cadbury, aggiornarono e ampliarono le idee di Ward a metà del XX secolo, implementando la prima struttura organizzativa sociocratica in una scuola a Bilthoven, in Olanda. 

    Boeke vide nella Sociocrazia una forma di management che presupponeva l’equivalenza degli individui e si basava sul consenso. Questa equivalenza non è espressa con la legge democratica di “un uomo, un voto” ma piuttosto dal gruppo di individui che, ragionando insieme, arrivano ad una decisione che soddisfi ognuno di loro.

    Boeke definì tre “regole di base”:

    1. Gli interessi di tutti i membri devono essere considerati e l’individuo deve rispettare gli interessi della collettività.

    2. Nessuna azione può essere intrapresa se non c’è una soluzione che tutti possano accettare,

    3. Tutti i membri devono accettare queste decisioni quando prese unanimemente.

    Qualora un gruppo non riuscisse a prendere una decisione, questa è data in carico ad un gruppo di rappresentanti di “livello superiore”, scelti da ciascun gruppo. Le dimensioni di un gruppo decisionale non dovrebbero superare le 40 persone, con commissioni più piccole formate da 5-6 persone che prendano decisioni più di “dettaglio”. Per gruppi più numerosi, viene scelta, dallo stesso gruppo, una struttura di rappresentanti per poter prendere decisioni. Questo modello dà molta importanza al ruolo che gioca la fiducia. Affinché il processo risulti efficace, i membri che formano il gruppo devono fidarsi l’uno dell’altro e, viene affermato, che questa fiducia si costruisce nel tempo, a condizione che si utilizzi questo metodo decisionale. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, Gerard Endenburg, un ingegnere elettronico ed ex allievo della scuola di Boeke, sviluppò ulteriormente e applicò i principi nell’azienda di ingegneria elettronica/elettrotecnica di proprietà dei suoi genitori, che avrebbe poi ereditato. Endenburg volle replicare in un ambiente di lavoro l’atmosfera di cooperazione e armonia che aveva sperimentato nella scuola di Boeke. Inoltre riconobbe che in un ambiente produttivo di tipo industriale, con una forza lavoro varia e mutevole, non ci si poteva aspettare che i lavoratori si fidassero l’un l’altro prima che potessero prendere decisioni. Per risolvere questo problema, Endenburg lavorò per analogia per integrare la sua comprensione della fisica, della cibernetica e del pensiero sistemico con lo scopo di sviluppare ulteriormente le teorie sociali, politiche ed educative di Comte, Ward e Boeke. Attingendo alla sua competenza nei principi di funzionamento di sistemi meccanici ed elettrici, la applicò ai sistemi umani.

    Endenburg sviluppò un metodo organizzativo formale chiamato Metodo Sociocratico di Organizzazione in Cerchi, basato sul processo di feedback (retroazione circolare), quindi fu chiamato “processo di feedback causale circolare”, ora definito comunemente come processo di feedback loops.

    L’approccio è basato su una gerarchia di cerchi corrispondente a unità o reparti di un’organizzazione, ma è una gerarchia circolare: i collegamenti tra ciascun cerchio si combinano per formare circuiti di feedback che collegano tutta l’organizzazione.

    Il metodo di Endenburg  fu originariamente diffuso sulla base di quattro principi essenziali.

    1 Assenso e consenso consenso governano il processo decisionale sulle linee guida

    Le decisioni vengono prese quando c’è un assenso informato da parte di tutti i partecipanti. Le obiezioni devono essere ragionate, argomentate e basate sulle competenze di chi lavora proficuamente alla realizzazione degli obiettivi dell’organizzazione. Tutte le decisioni sulle policy aziendali sono prese con l’assenso. Tuttavia,le decisioni operative quotidiane vengono normalmente prese nel modo tradizionale.

    2 Organizzazione in cerchi

    L’organizzazione sociocratica è composta da una gerarchia di cerchi semi-autonomi.

    Questa gerarchia, tuttavia, non costituisce una struttura di potere poiché l’area di responsabilità di ogni cerchio è delimitata. Ogni cerchio ha la responsabilità di eseguire, misurare e controllare i propri processi nel raggiungimento dei propri obiettivi. Ha inoltre l’autorità su uno specifico ambito all’interno delle linee guida dell’intera organizzazione. I cerchi sono anche responsabili del loro proprio sviluppo formativo. Il cerchio e i suoi membri sono tenuti a determinare ciò che devono sapere per rimanere competitivi nel loro campo e raggiungere gli obiettivi del loro cerchio.

    3 Doppio collegamento

    Gli individui che agiscono da collegamento sono membri a pieno titolo nei processi decisionali sia del proprio cerchio che del cerchio collegato superiore. Il leader operativo di un cerchio è per definizione un membro del cerchio superiore collegato rappresenta l’organizzazione nel suo insieme nel processo decisionale del cerchio che conduce. Ogni cerchio elegge anche un rappresentante per rappresentare gli interessi del cerchio nel cerchio superiore collegato. Questi collegamenti formano un circuito di feedback tra i cerchi.

    Al livello più alto dell’organizzazione, esiste un “cerchio superiore” (“top circle”), analogo a un consiglio d’ amministrazione tranne per il fatto che funziona seguendo le linee guida dell’organizzazione in cerchi invece che imporsi al di sopra di essi. 

    4 Elezioni per assenso

    Gli individui vengono eletti a ruoli e responsabilità tramite una discussione aperta e trasparente, seguendo gli stessi criteri dell’assenso usati nelle decisioni sulle linee guida. I membri del cerchio possono nominare se stessi o altri membri del cerchio argomentando le ragioni della loro scelta. Dopo questa fase, le persone possono (e spesso lo fanno) cambiare le loro nomine; la persona che facilita la discussione, a questo punto propone la persona per la quale sono state presentate le argomentazioni più rilevanti. I membri del cerchio possono obiettare a questa proposta e può seguire un’ulteriore discussione

    La Sociocrazia fornisce stabilità al processo di autoregolazione: ciò avviene attraverso la doppia rappresentanza per ogni gruppo, un sistema di feedback continuo (riscontri periodici sull’andamento di ogni singolo gruppo e tra gruppi che interagiscono) e le linee guida per due processi fondamentali per ogni organizzazione: quello elettivo e quello decisionale.

    Un’altra caratteristica fondamentale della Sociocrazia è che essa è ispirata e per certi versi simile ai principi della Comunicazione Non Violenta: chi assume il ruolo di facilitatore cura le dinamiche con cui le persone parlano, lasciando a tutti i partecipanti un adeguato tempo per esprimersi ed evitando che nella conversazione entrino dinamiche non pertinenti o in grado di influenzare in modo violento il processo decisionale. 

    Vantaggi e Svantaggi dell’assenso e consenso in azienda

    La Sociocrazia è un processo veramente orientato all’uomo.

    Gli Svantaggi potrebbero essere:

    ·   Richiede uno scrupoloso piano di adozione con un facilitatore esperto

    ·   Necessita di formazione in nuovi concetti

    ·   Può suscitare emozioni interne e diverse durante l’adozione (scetticismo, entusiasmo, ansia ecc)

    ·   Può risultare inizialmente difficile per chi non è abituato a condividere la responsabilità di decisioni difficili

    Ma i benefici sono decisamente maggiori:

    ·   Promuove la creatività e la capacità di risoluzione a tutti i livelli dell’organizzazione

    ·   Supporta gli interessi di investitori, management e personale

    ·   Velocizza l’adattamento al cambiamento

    ·   Coinvolge e utilizza l’energia di ogni membro dell’organizzazione

    ·   Genera prodotti e servizi di alta qualità

    ·   Aumenta l’impegno e il senso di appartenenza dei collaboratori

    ·   Riduce il numero delle riunioni, rendendole anche più piacevoli

    ·   Riduce l’assenza di malattia

    ·   Aumenta la consapevolezza dei costi

    ·   Riduce le probabilità di born out

    ·   Sruttura l’auto disciplina

    ·   Supporta la leadership evoluta tra pari

    Un aspetto decisamente interessante è la circolarità del feedback. Il feedback viene dato da tutti i partecipanti al cerchio, in modalità responsabilizzante e costruttiva, evidenziando cosa poteva essere migliorato, modificato e/ o addirittura variazioni pratiche, Nel feedback agisce fortemente il sostegno dei membri.

    Decisamente è un contributo per lavorare sulla complessità o come qualcuno dice per tagliare a fette l’elefante. Questa volta però come tagliarlo lo si decide insieme ed ognuno taglia!

    La Sociocrazia è un processo, un processo di gruppo. Ogni volta diverso, nonostante struttura definita, perché la mente e i sentimenti delle persone cambiano continuamente.

    Il collante forte che si attiva nella sociocrazia è lo scopo comune condiviso e la fiducia.

    Pratica possibile:

    Riprendendo un po’ da dove sono partita, e cogliendo la difficoltà di creare consolidamento e comprensione lavorando a distanza o con il nuovo modello ibrido si potrebbe pensare ad allargare un poco, soprattutto nei web meeting, lo spazio breve di intro e di chiusura sul proprio stato emotivo:

    ·   1 minuto in apertura per dire agli altri con quale stato d’animo o pensieri si approda in riunione – 1 minuto in chiusura per sapere cosa si portano a casa.

    Buon assenso a tutti!

  • Il metodo

    DIRE FARE ABBRACCIARE: l’inclusione lavorativa è un abbraccio di vitalità e benessere

    Come può l’inclusione lavorativa essere considerata un abbraccio strategico? 

    Abbracciare è una parola “poliedrica” in azienda, che va dall’abbraccio fisico tra colleghi, alla pacca sulla spalla, all’accettazione ed accoglienza, sino all’inclusione e trasformazione.

    Abbracciare è una parola di ampio respiro.

    C’è un denominatore comune in tutte queste definizioni, abbracciare=apertura.

    Quindi, se mi apro respiro.

    Se non abbraccio, non mi apro, resto chiuso e non respiro.

    Se non respiro sto male e “muoio”.

    Se abbraccio poco, respiro male.

    Abbracciare quindi è un compito vitale per l’essere umano.

    L’ Inclusione lavorativa quindi ha a che fare con l’abbracciare  e significa:

    • accogliere
    • accettare
    • includere/integrare
    • amare
    • trasformare

    Accogliere racchiude tutte le sfumature dell’apertura all’altro. Dal latino: accolligere, derivato da colligere- raccogliere. A sua volta composto da co– insieme e lègere- raccogliere. Dunque accogliere significa “raccogliere insieme”, ricevere qualcuno o qualcosa, accettare, creare un legame.

    Accogliere vuol dire mettersi in gioco, che esprime una sfumatura maggiore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità.

    Accogliere è un atto di saggezza, nel senso di:

    • imparare che nella vita ci sono cose che non puoi controllare e che ti tocca invece imparare a gestire, dandogli un significato.

    Accogliere significa dunque aprire la porta a chi ti sta bussando, che si tratti di un ospite in casa o di un collega in ufficio. 

    Accogliere per fare entrare, per condividere un’esperienza, per creare scambio.  

    A volte è piacevole ed è molto semplice, altre invece ci chiediamo che senso abbia farlo… 

    Perché dovrei accettare e accogliere l’età che passa, una persona che non mi ispira o gli eventi imprevedibili che arrivano nella mia vita per esempio? 

    Perché fare la fatica di accogliere anche gli errori, i fallimenti o un ambiente che non mi aggrada?

    Talvolta accogliere significa ascoltare non solo ciò che vogliamo sentire, ma anche ciò che ci fa arrabbiare, che non condividiamo o che vorremmo zittire. 

    Per me accogliere è decisamente  più difficile dell’accettare. Significa aprirsi all’ipotesi che, forse, avevamo bisogno di quello che è accaduto per imparare qualcosa di nuovo. Personalmente  vorrei, a volte, imparare senza ripetizioni, buona la prima, invece di essere “ rimandata a settembre”.

    Tuttavia nell’inclusione lavorativa, con l’accezione che ci stiamo dando di accoglienza e accettazione, ci sono sempre 2 aspetti fondamentali:

    • Bellezza e Apprendimento. 

    La bellezza della scoperta, dell’incontro tra persone e culture diverse, l’arricchimento dello scambio, l’apprendimento di esperienze nuove.

    Inclusione lavorativa  significa avere il desiderio profondo di conoscere chi ci sta di fianco, che può essere che ci camminiamo a fianco da anni ma che in realtà non gli abbiamo mai stretto le mano. O non lo abbiamo mai abbracciato. Che siamo rimasti fermi alla prima impressione, o alla seconda, o all’immagine che avevamo di lui anni fa. Mentre fortunatamente evolviamo tutti, ogni giorno, e talvolta dobbiamo fermarci per riconoscerci di nuovo.

    Perché ci risulta così difficile l’inclusione lavorativa

    Quando mi trovo di fronte a questo dilemma, nel lavoro come nella vita, ringrazio il mio amore e la mia passione per lo yoga.

    Nella tradizione orientale Santhosa (= accoglienza, accettazione) è il secondo Nyama (disciplina) degli 8 principi dello yoga. Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e tosha, che significa “soddisfazione” o “accettazione”.

    Questa pratica è caratterizzata da un generale appagamento e contentezza per ciò che è così com’è. Santosha è strettamente legata all’equanimità, in quanto praticarla permette di accettare qualunque circostanza si presenti, inclusi piacere, dolore, successo o fallimento.

    L’Hatha Yoga Pradipika, uno dei testi più antichi della filosofia dei Veda, la descrive così: “Santosha significa appagamento in qualunque circostanza. Possiamo possedere molto o nulla, guadagnare o perdere ma in ogni caso dovremmo coltivare la consapevolezza di possedere più che abbastanza. La situazione opposta è l’insicurezza, che genera stanchezza e instabilità…”. Letteralmente può essere tradotto con “contentezza”: stato d’animo (e le relative dimostrazioni) di chi è molto soddisfatto o si rallegra di una situazione o di un fatto.

    Santhosa consiste nell’arte di sentirsi contenti e appagati, indipendentemente dalle condizioni esterne. 

    Come si fa?

    Non significa non provare mai tristezza, rabbia ecc. ma coltivare la capacità di vedere le cose per come sono, anche se non sono come vorremmo noi e coglierne l’aspetto positivo.

    La perdita del lavoro, le relazioni difficili, le difficoltà economiche rendono spesso arduo coltivare l’accettazione ma Santosha vuol dire anche sviluppare la speranza mantenendo un atteggiamento positivo verso il futuro: se adesso stiamo attraversando un periodo duro, non è detto che duri per sempre. 

    Sviluppare fiducia, equanimità, non farsi sopraffare dalle aspettative ma osservare ciò che la vita ci offre, vedere sempre la metà piena del bicchiere, non scoraggiarsi se le difficoltà perdurano, sono tutti aspetti che riguardano il Santosha.

    Spesso la non-accettazione nasce dalla paura, dal non sentirti all’altezza, pensare che non hai la forza o le capacità per superare una determinata situazione. 

    Nel Sutra 42 di Patanjieli troviamo questa bellissima definizione “il risultato dell’appagamento (santhosa) è la felicità totale”

    Dunque accogliere, in questa ottica, risponde ai nostri scettici perché. 

    Accogliere non equivale a subire passivamente gli eventi, ma diventa una scelta strategica: accolgo quello che ho davanti, perché solo accettandolo posso conoscerlo meglio. E quando conosco meglio qualcosa o qualcuno, le mie difese si abbassano e riesco anche ad essere più lucido e creativo, riesco a trovare nuovi spunti e soluzioni.

    Lavorare sull’inclusione lavorativa significa ispirare, innovare e creare

    Dovrei lasciare che le cose siano così come sono? 

    Dovrei rinunciare al cambiamento e rassegnarmi che tutto rimanga com’è?

    L’idea che l’accettazione sia rassegnazione è molto forte perchè tendiamo ad avere una visione cristallizzata delle posizioni emotive. Così se accettiamo rimaniamo fermi ad accettare per sempre, se rifiutiamo, rifiutiamo per tutta la vita. 

    L’idea che la posizione emotiva sia un passaggio di un processo che si sviluppa e muta sembra improbabile.

    Accettare è un passaggio emotivo in cui riconosciamo che qualcosa è avvenuto; qualcosa che è già avvenuto. Non abbiamo il potere di rifiutarlo perchè è già presente. Non lo cambieremo attraverso il rifiuto, che, spesso è proprio anche il rifiuto della sua esistenza. 

    Lo cambieremo attraverso il riconoscimento del fatto che c’è già nella nostra vita.

    Accettare = fare i conti con quello che è già avvenuto con tutto l’impatto che ha su di noi. 

    Non significa che dobbiamo mantenerlo con noi per sempre, né significa rassegnarsi alle sue conseguenze. 

    Se desideriamo che il cambiamento sia possibile, il punto di partenza fondamentale è accettare ciò che è già avvenuto, e focalizzarci sull’inclusione lavorativa con una visione aperta a tutto ciò che è.

    Altrimenti continueremo a combattere contro i mulini a vento, per negarlo. 

    La strada dell’accettazione è un percorso, non una meta, e inizia proprio dalla non-accettazione, dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla voglia di mandare tutto a quel paese.

    L’inclusione lavorativa è proprio  l’opposto dell’evitamento esperienziale, significa aprirsi all’esperienza di tutte le emozioni e i pensieri, senza cercare di combatterli o scacciarli a forza. 

    Quali sono le strategie automatiche che mettiamo in campo per “evitare di sentire”?

    Qual è stata l’ultima volta che ti sei accorto di compensare con qualcos’altro per non abbracciare l’emozione che stavi vivendo?

    D’altro canto, anche l’approccio occidentale di una terapia comportamentale di terza generazione mette al centro del percorso di inclusione e trasformazione lavorativa l’accettazione e l’impegno. Si tratta dellAcceptance and Commitment Therapy, conosciuta anche come ACT (pronunciata come una singola parola, in inglese “azione”). L’ACT è stata fondata da Steven C. Hayes, professore di Psicologia dell’Università del Nevada, negli Stati Uniti.

    L’Acceptance and Commitment Therapy, (ACT)  trae le sue origini dalla psicologia comportamentista ed è ispirata dalla psicologia buddhista.  L’ACT è una psicoterapia basata su evidenze sperimentali, che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento. 

    I processi fondamentali sono sei e sono interconnessi gli uni con gli altri.

    1. il contatto con il momento presente 
    2. la defusione
    3. l’accettazione
    4. il Sè come contesto
    5. i valori
    6. l’azione impegnata

    L’interazione di questi 6 processi determinano la flessibilità psicologica, che è la capacità di stare nel momento presente con piena consapevolezza e apertura alle esperienze interne ed esterne, e di intraprendere azioni orientate da ciò che per noi è realmente importante.

    1. “Essere in contatto con il momento presente” significa essere pienamente consapevoli di ciò che ci sta accadendo momento per momento. E’ molto difficile nella nostra quotidianità rimanere nel momento presente. Molto spesso veniamo infatti rapiti da preoccupazioni che ci portano a preoccuparci del futuro o a rimpiangere il passato.
    2. Per defusione si intende quella particolare capacità della mente, tipica degli stati di meditazione, di potersi osservare mentre sperimenta il suo stesso funzionamento. Defondeersi significa togliersi dalla fusione con quell’emozione, stato, situazione ecc., fare un “passo indietro” ed osservare i propri pensieri guardandoli per quello che sono.Significa prendere la distanza senza reprimere le emozioni che stiamo vivendo, ma riducendo così l’impatto che queste hanno sulla nostra vita. Riuscire a prendere questa distanza aiuta a gestire meglio pensieri ed emozioni e a migliorare lo stato psicologico generale della persona.
    3. Il processo cardine è anche per ACT Accettare Significa aprirsi e fare spazio a sentimenti, emozioni e sensazioni anche dolorose. Significa smettere di combattere le emozioni negative, smettere di non volerle sentire e lasciare che semplicemente si manifestino per quello che sono.Secondo l’ACT infatti la causa di gran parte della sofferenza psicologica che proviamo è legata al nostro tentativo di evitare di provarla.
    4. Il Sè come contesto detto anche il “sé che osserva” è quella parte di noi che osserva la nostra mente mentre questa è in azione. Mentre tutti abbiamo consapevolezza del sè che pensa (quello con cui ragioniamo, progettiamo, immaginiamo e ricordiamo), molta meno consapevolezza abbiamo di un’altra parte della nostra mente che è in grado di osservarci mentre ragioniamo, progettiamo, immaginiamo etc. E’ il sé come contesto, quella parte della nostra mente che osserva il suo stesso funzionamento.
    5. Valori chiarificazione dei valori personali. Ogni persona ha infatti i propri valori, ma spesso, soprattutto quanto siamo molto sofferenti, facciamo fatica a ricordarli o vivere in accordo con questi.Fare chiarezza sui valori personali e operare di conseguenza delle scelte orientate da questi è uno degli aspetti centrali del percorso.
    6. Action Plan un’azione decisa mirata verso una nuova  direzione maggiormente soddisfacente. 

    Cosa fare concretamente per allenarci a migliorare l’inclusione lavorativa?

    Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Da questa breve riflessione fatta possiamo considerare come tutto, da qualsiasi approccio ci si avvicini, tutto ci riporta all’importanza di lavorare su di Sè.

    Non possiamo parlare di inclusione lavorativa  considerandola come una strategia da acquisire dall’esterno. Utilizzare Santosha in pratica significa lavorare su 3  diversi livelli:

    • Intento: impegnati al massimo in qualsiasi tua azione, quindi accetta qualsiasi risultato ne derivi. Potremmo riassumere questo principio nella frase “fai del tuo meglio.”
    • Stato interiore: adotta una mentalità di appagamento supportata anche da altre virtù come la compassione, l’assenza di invidia e il non rubare.
    • Espressione: la manifestazione esteriore di santosha è la serenità e la totale soddisfazione, senza desideri superflui.

    Uno dei modi per “fare spazio” e accettare pensieri e emozioni è attraverso la pratica della mindfulness.

    La mindfulness, pratica meditativa nata in oriente più di 2000 anni fa, consente infatti di sviluppare un atteggiamento curioso e non giudicante verso i propri contenuti mentali.

    l’accettazione  è un atteggiamento che va sviluppato e va scoperto; significa imparare ad accogliere quello che viviamo, con atteggiamento proattivo e aperto. Anche di fronte a momenti difficili della vita. La pratica della mindfulness può aiutarci in questo, a sviluppare un atteggiamento più aperto, per riconnettersi con se stessi e favorire un maggiore slancio nel cammino della vita.” Dott. Maffini, psicologo e psicoterapeuta

     “Non c’è colpa più grande che assecondare i desideri. Non c’è sventura più grande che non sapersi accontentare. Non c’è difetto più grande della sete di guadagno. Perché chi sa che abbastanza è abbastanza ha sempre a sufficienza.”

    Lao Tse

    Ascolta ora questa meditazione direttamente dalla voce di Simona e prova a seguirla e praticarla fino alla fine:

    Meditazione del fiume

    ​​

     Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    . Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    . IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    TRASFORM-AZIONE VERA: Il FARE e la MIA routine quotidiana

    Mi sveglio ogni giorno facendomi un regalo: la mia routine quotidiana.

    Tutti i giorni mi faccio un regalo. Tutti i giorni. 

    E come si sta solitamente quando ci facciamo o riceviamo un regalo? 

    Benissimo, anzi, strabene direbbe mia figlia.

    Dei benefici della routine del mattino abbiamo parlato la settimana scorsa in questo articolo che ti invito a leggere, se ancora non lo hai fatto.

    Pronti quindi a passare all’azione del fare consapevole, che ha il “magico” potere di cambiare in meglio la nostra giornata?

    Tu come cominci la tua nuova giornata?

    Eh si, perchè un’altra grande motivazione, che mi spinge ad alzarmi desiderosa di vivere la giornata, è  la consapevolezza che ogni giorno è un nuovo inizio e che anche la routine non è mai la stessa, perchè io non sono mai la stessa. 

    Per esempio ieri mattina avevo un dolore al ginocchio che ha inficiato tutta la mia pratica…oppure qualche giorno fa mi sono alzata più a fatica del giorno prima ecc.

    Una cosa però non cambia mai: il risultato. Anche se prima di iniziare approccio con  differenti stati sia fisici che d’animo, dopo la routine quotidiana, sto sempre meglio, la mia energia è più alta e sono più leggera, gioiosa e …con più energia in circolo.

    La mia Routine Quotidiana è un tempo sacro, sacrum facere!

    Spesso mi viene chiesto quale è la mia pratica mattutina.

    Come già anticipato, ricordo che la routine quotidiana è personale e allineata ad uno stato di benessere che va ricercato e costruito giorno dopo giorno, in assenza di sforzo, ma con determinazione e costanza. Sono ormai più di vent’anni che mi sveglio al mattino con una routine. All’epoca non esistevano libri, non se ne parlava nemmeno, se non in alcuni specifici contesti (ritiri di crescita personale, seminari di yoga ecc.)

    Non esiste la routine giusta e quella sbagliata. Esiste quella giusta per ognuno di noi. Quindi la mia abitudine del mattino vuole solo essere una condivisione e, nel migliore dei casi, un’ispirazione per chi avesse bisogno di uno stimolo per  iniziare.

    Ecco la mia routine quotidiana oggi :

    • Sveglia alle 06:00 (a volte anche 05:45). Ogni giorno tranne la domenica, giorno in cui non utilizzo la sveglia. Svegliarsi a quest’ora mi permette di dedicare 2 ore piene a me stessa.
    • Intento o Sankalpa: resto qualche minuto sotto le coperte e mi focalizzo su una visualizzazione: come voglio essere, come mi voglio sentire durante la mia nuova giornata?  Metto un intento. es. Oggi voglio essere disponibile e attenta. L’intento mi dà la direzione, sposta la mia attenzione su cosa voglio e come voglio essere.
    • Gratitudine: se non ho scritto 3/5 motivi di gratitudine per la giornata trascorsa la sera prima sul quaderno accanto al comodino, ci penso al mattino appena sveglia. Allenarmi alla gratitudine mi ha aiutato a spostare l’asse della mia attenzione dal lamento all’opportunità.
    • Lettura: 15/20 minuti, leggo libri di crescita personale e/o spirituale che mi sostengono e rafforzano il mio intento. Ho appena finito “Le abitudini della felicità”di Brian Colbe e quello precedente è stato “Mente Zen, mente di principiante” di Shunryu Suzuki-roshi. Alcuni recenti studi considerano che puoi leggere circa 29 libri all’anno, leggendo solo 5 pagine al giorno. Solitamente le leggo in bagno, non dico dove.
    • Nettalingua: come ci insegna la medicina ayurvedica, durante la notte il corpo si rigenera e, attraverso il metabolismo notturno, si deposita una patina sulla nostra lingua, frutto di residui del giorno prima. Pulisco la lingua con un nettalingua (puo’ andar bene anche la parte inferiore di un cucchiaino da caffè, o lo spazzolino) faccio 7 movimenti dal fondo della lingua alla punta e 7 risciacqui con l’acqua fresca. In questo modo mi preparo sia fisicamente che energicamente a lasciare completamente andare la giornata precedente, senza portarmi residui e mi apro alla nuova giornata con un senso di maggiore leggerezza e pulizia.
    • Un bel bicchierone di acqua calda:  A volte anche 2 bicchieri e solitamente alterno l’utilizzo di un limone spremuto, in 2 stagioni dell’anno: primavera e autunno. L’acqua al mattino è importante per reidratare il corpo dopo la notte e liberare le tossine dall’intestino.
    • Meditazione: alterno la meditazione ad esercizi di respirazione. In genere almeno 20 minuti. Mi aiuta ad iniziare la giornata con calma, senza fretta e ansia. Resto per un po’ di minuti ancorata al mio respiro, seguendone il sentiero di entrata ed uscita e osservandolo in termini di temperatura, fresco quendo entra più tiepido quando esce.Mi aiuta a “fare spazio” a ”riempirmi di vuoto”. Mi torna molto utile poi anche nei momenti di sovraffollamento mentale.
    • Frase di potere. Leggo o ripeto  le mie affermazioni positive che mi aiutano a ricordare le mie priorità e ad impostare il tono della giornata. Sono frasi di potere che nel corso degli anni ho scritto e fatto mie a seconda dei momenti della vita. Quella di questo momento è: Sono luminosa, in fiducia e leggera.
    • Pratica yoga: in genere un’ora tutte le mattine. Inizio con i 5 riti tibetani, procedo con 21 saluti al sole e poi, a seconda della giornata, aggiungo sempre delle asana diverse su cui voglio concentrarmi e migliorare. E’ incredibile come la costanza nel tempo mi ha dato risultati nel corpo fisico ed energetico che non avevo neanche a 30 anni.
    • Frizioni a secco: un semplice guanto di spugna frizionato senza acqua su tutta la pelle del corpo aiuta ad eliminare le tossicità accumulate sulla pelle e ad energizzare il corpo, rendendo la pelle morbida.
    • Doccia energetica: gli ultimi 3 minuti, passarli sotto l’acqua fredda. Vi ricordo che è bene fare la doccia ( rapida per non consumare troppa acqua) 2 volte al giorno: la sera calda per lasciare andare tensioni e tutto il peso della giornata, la mattina fredda ed energizzante per cominciare con un buon livello di energia. Se posso al mattino faccio la doccia ascoltando musica.
    • Colazione da Re: colazione da re, pranzo da principe, cena da povero…questo è il mio mantra da oltre 20 anni. Se qualcuno fosse interessato, lascio qui la ricetta della mia colazione del mattino, che seguo dal  luglio 2019. Ottima, per quanto mi riguarda, perché nutre senza farmi sentire appesantita, mi da molta energia per la giornata e non ho mai buchi allo stomaco per la fame, posso tirare tranquillamente anche le 14:00 senza accorgermi. Insomma, una bomba!

    E’ una proposta di una nutrizionista che si chiama Miam O Fruit di  France Guillarme.    

    Ingredienti :

    • 3 mezzi frutti di stagione, di cui uno però deve sempre essere mezza mela
    • mezza banana;
    • 3 cucchiai  di semi oleaginosi misti ( girasole, zucca, papavero,  chia, ecc.);
    • un cucchiaio di olio di lino e un cucchiaio di olio di sesamo;
    • il succo di 1 limone;
    • 3 cucchiai misti di frutta secca ( preferibilmente noci e mandorle );

    Preparazione:

    Prima di tutto schiacciate mezza banana almeno mezz’ora prima di mangiare … e lasciatela ossidare all’aria. Dopo almeno mezz’ora aggiungere 2 cucchiai di olio e mescolate bene in modo che la banana assorba bene tutto l’olio … non lo sentirete neanche e in questo modo verrà trasportato velocemente a tutto il sistema epiteliale. Aggiungete poi il succo di limone spremuto e continuate a mescolare.

    A parte preparate: la frutta di stagione lavata e tagliata a pezzetti per poi metterla in un recipiente + semi ( almeno 2 cucchiai di semi misti) + frutta secca ( almeno 2 cucchiai tra noci e mandorle ). Unire tutto il composto alla banana schiacciata e mescolare.

    Ecco pronta la vostra colazione a chiusura della routine quotidiana!

    Benefici di questa colazione:

    E’ un tesoro di nutrienti e vede al primo posto una riserva di sali minerali eccellente soprattutto nella quantità di potassio, calcio, ferro, magnesio, zinco e fosforo. Inoltre è ricchissima in acidi grassi essenziali come omega 3 e omega 6 oltre che di antiossidanti polifenolici e vitamine sia idro che liposolubili. 

    Tra le vitamine troviamo in particolare la vitamina A, la E, la F e nello specifico il succo di limone è un ricco di vitamina C che è utile per sostenere il sistema immunitario e ha altre numerose attività benefiche per il nostro organismo.

    Ancora la presenza di frutta di stagione e semi porta una carica di zuccheri lenti  a indice glicemico medio basso. 

    La presenza di fibre è ottima e in particolare sono comprese anche le fibre non solubili. Infine anche la porzione di proteine è molto cospicua ed è tutta di origine vegetale.

    Ti  invito a provarla e farmi sapere se anche a te apporta benefici di energia personale e concentrazione.

    Così davvero tutte le mattine? Siiii… così tutte le mattine. Fantastico.

    Non mi pesa per nulla, anzi, mi sveglio proprio presto perchè per me è un godimento! ho voglia di alzarmi e praticare!

    Mi piace vivere la gioia del mattino, di silenziosi pensieri e di emozioni espanse, che mi aiutano e mi sostengono anche quando il momento non è dei migliori.

    Durante il giorno poi è sempre tutto più concentrato e “ristretto”.

    La gratitudine del mattino, per esempio, sposta subito la mia energia su pensieri di prosperità che mi accompagnano anche durante il giorno e mi sono particolarmente di aiuto quando mi trovo in situazioni dove, in apparenza, è difficile cogliere spunti di gratitudine.

    Ma la gratitudine va allenata, esattamente come un muscolo!

    Non potrei più fare a meno di questo momento prezioso del mattino. Le poche volte che mi succede di saltarla, immediatamente sento la difficoltà di mantenere vigile la presenza, il contatto con la voce del mio sentire e di ritrovarmi immediatamente assorbita da FARE.

    E’ un FARE però che mi allontana da me, è un FARE che si traduce nell’azione esterna e, quando succede, mi sembra di aver vissuto la giornata di altri, ma non la mia!

    Mi ha sempre sostenuto un pensiero che 20 anni fa imparai da una mia coach: 

    Quando in certe mattine fredde e piovose, mi manca la motivazione, mi appello alla disciplina. Certo, quando ci sono entrambe, ho fatto bingo! 

    Con la mia routine quotidiana il tempo si espande. 

    Aggiungo tempo al tempo e sto bene. 

    Si innalza il livello della mia energia, il mio buon umore e la chiarezza mentale.

    Il mio corpo “ risponde” e partecipa alla vita.

    Intense ed ispirazionali le parole di Daniel Goleman

    “L’unico tratto che accomuna davvero tutti i leader efficaci, se mai ne esiste uno, è la motivazione, una forma di gestione del sé che ci consente di mobilitare le nostre emozioni positive per proiettarci verso un obiettivo.”

    Cosa ti impedisce ancora di creare la tua nuova sana routine del mattino?

    Nel prossimo appuntamento di questo percorso di allenamento al benessere, concreto, facile e di sicuro successo parleremo di nutrimento e cibo.

    Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    . IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    . IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    . IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    . IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    . IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in  azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    Migliorare la performance aziendale con la disintossicazione digitale

    Nell’articolo della settimana scorsa abbiamo parlato di  J.O.M.O. (Joy of missing out) che è la gioia di perdersi qualcosa ed accettare la realtà. 

    La scelta di chi pratica J.O.M.O è la gioia di perdersi con quello che è, lasciando andare la paura di non essere abbastanza (F.O.M.O.)

    Per migliorare le performance aziendale bisogna scegliere.

    Scegliere di allenarsi a stare nel flow e allentare lo stato di tensione continua, che si manifesta con la sensazione di non essere mai abbastanza, di dover dimostrare, di essere in balia del giudizio altrui.

    Stare nel flow ai giorni nostri, implica una digital detox, implica vivere, come lo definisce Mihaly Csikszentmihalyi  “un’esperienza di gioia vivissima, un sentimento di estasi apparentemente senza motivo, dove la concentrazione è così intensa che non rimane più attenzione da dedicare ad altro.”

    Durante lo stato di flusso, le persone in genere sperimentano un profondo godimento, creatività e un totale coinvolgimento con la vita, ed entrano direttamente in contatto con il proprio Sé e con il senso di pienezza.

    Tutto ciò ha a che fare con 2 elementi fondamentali: l’attenzione e lo stato di pienezza.

    Lo stato di flow sta all’attenzione, come l’attenzione sta alla digital detox.  

    L’attenzione migliora la performance aziendale attenuando l’ansia

    L’attenzione e’ localizzata nella neo corteccia pre-frontale.

    Quando la nostra attenzione si focalizza su un determinato oggetto, interno od esterno, c’è un addensamento di neuroni (aumenta lo spessore).

    Grazie alla neuroplasticità cerebrale, più attenzione portiamo, più il nostro cervello diventa capace di attenzione stabile. 

    In questo modo aumentano i neuroni che si traducono in brain wellness.

    L’attenzione può essere diretta in modo volontario oppure in modo automatico.

    Nella nostra quotidianità accade spesso che le componenti di orientamento volontario e quelle di orientamento automatico dell’attenzione siano compresenti. 

    Ad esempio, se il nostro obiettivo è cercare qualcosa, soprattutto nel mondo web, capita spesso che la nostra attenzione venga distratta dalla presenza di un altro oggetto. 

    In generale, si ritiene che l’attenzione possa essere catturata automaticamente da eventi, stimoli e informazioni irrilevanti, rispetto allo scopo e al compito del soggetto.

    Per attenzione stabile si intende la capacità di concentrarsi sull’oggetto di interesse, e di elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti, per il raggiungimento di uno specifico scopo. 

    L’informazione a cui si presta attenzione viene selezionata ed elaborata in maniera più efficiente, ha accesso alla coscienza e guida la risposta.

    L’attenzione stabile entra in gioco solo quando bisogna selezionare una risposta da emettere. 

    In tal senso, l’attenzione stabile consente di controllare l’accesso dell’informazione alla coscienza, ci porta all’interno di noi, ci fa stare nella presenza e genera benessere.

    I vantaggi dell’attenzione stabile sono :

    • Efficienza ed efficacia operativa: dedicati al 100% all’attività specifica entrando in stato di flow
    • Miglioramento della qualità delle relazioni umane: quando siamo più attenti, siamo presenti
    • Attivazione della contemplazione: meraviglia, ampliamento della percezione, senso di appartenenza e benessere 
    • Osservazione di Sé: migliora la consapevolezza perchè impariamo a notare le nostre esperienze mentali, fisiche ed emotive

    Quindi :

    +contenuti mentalI-attenzione = stress.

    -contenuti mentali (o meglio contenuti mentali scelti ), +attenzione= migliori performance aziendali.

    Lo stato di pienezza migliora la performance aziendale, non c’è dubbio

    Che differenza c’è tra pensare ed agire da uno stato di pienezza o da uno stato di bisogno?

    Il 20 aprile del 1986 nella partita tra Boston Celtics e Chicago Bulls  il giovane 23enne Michael Jordan segnò 63 punti, attuale record dei playoff.

    Quel giorno Jordan era in chiaro stato di flow, qualsiasi tiro gli entrava, schiacciava in testa a tutti e non sbagliava mai, sembrava un adulto che giocava con dei bambini e questi erano i grandissimi Boston Celtics (che poi vinsero il titolo NBA dell’86).

    Il grande Larry Bird dopo quella partita disse: “Ho visto Dio travestito da Michael Jordan”.

    Questa performance lasciò un segno e la ricordiamo raccontata nella famosa serie di Netflix “The Last Dance”.

    Quando sei nel flow si nota! 

    Perchè le tue prestazioni migliorano notevolmente.

    Csikszentmihalyi spiega come il forte focus mentale porta a un senso di estasi, un senso di chiarezza, hai il pieno controllo della situazione, ti dimentichi di te stesso. Ti senti parte di qualcosa di più grande. In questo spazio anche la percezione del tempo si trasforma.

    Ti è mai capitato di lavorare, studiare o giocare così intensamente da perdere la cognizione del tempo? 

    Ovviamente non dobbiamo essere tutti Michael Jordan e neanche grandi scienziati.

    Se le nostre abilità non sono all’altezza della sfida avremo uno stato di ansia e stress e al contrario saremo troppo rilassati.

    Quando abbiamo un livello medio di conoscenza, ma poche sfide, entra in gioco la noia.

    In qualsiasi campo siamo occorrono anni per raggiungere il giusto livello di esperienza/conoscenza: esso è la base per attivare lo stato di flusso.

    “Mi ci sono voluti quattro anni per dipingere come Raffaello, ma una vita per dipingere come un bambino”. Pablo Picasso

    Lo stato di pienezza ha a che fare con la passione e il senso

    Sono pieno e pago di me. 

    Non significa che sono arrogantemente nella presunzione di non aver più nulla da imparare. 

    Tutt’altro, significa che sono in un flusso tra il mio amore per ciò che sono e la mia voglia di scambiare, tra la mia passione che mi spinge a migliorarmi sempre più e il desiderio di rendere utile agli altri, di fare sharing.

    Quando lo scambio avviene da uno stato di pienezza ad un altro stato di pienezza, il risultato è arricchente per entrambe le parti.

    Avviene sia nelle relazioni affettive, che nelle relazioni lavorative.

    Quando l’ansia da prestazione, la paura di non essere all’altezza, sottende il mio agire, lo scambio parte sempre da una vibrazione di scarsità o di bisogno e si mantiene ad una frequenza bassa, o addirittura prosciuga energia da una o da entrambe le parti.

    A quel punto scatta la fear of missimg out (FOMO) che spesso riguarda più la nostra parte egoica.

    Voler generare, è diverso da dover generare

    Volere è potere, ma dovere non è volere.

    Il volere avvicina al senso. Il dovere allontana dal Sé.

    Ognuno di noi può percepire la propria giornata come una serie di attività che deve svolgere, o che vuole svolgere, anche quando ha la sensazione che tutto sia un to do list.

    Cosa succede se alla parola “devo” sostituisco la parola “ voglio”? 

    Che emozione si muove dentro di me, quando inizio osservando la sensazione?

    Questo non significa che tutte le nostre prestazioni lavorative debbano essere tese a migliorare la performance ma che l’intento, la volontà e la disciplina con la quale svolgiamo i nostri compiti, siano allineati al nostro sentire e alla nostra unicità.  Anche nel limite e nell’errore che, vale la pena ricordarlo, sono parte fondamentale di ogni processo migliorativo.

    Quando a scuola ci fecero leggere questa poesia di Douglas Malloch, l’insegnamento trasmesso fu quello di risplendere della propria migliore luce per il proprio benessere, e quello di chi con noi si relaziona.

    Se non puoi essere un pino in cima alla collina, sii una macchia nella valle,

     ma sii la migliore, piccola macchia accanto al ruscello; 

    sii un cespuglio, se non puoi essere un albero.

    Se non puoi essere un cespuglio, sii un filo d’erba,e rendi più lieta la strada;

    se non puoi essere un luccio, allora sii solo un pesce persico, ma il persico più vivace del lago!

    Non possiamo essere tutti capitani, dobbiamo essere anche un equipaggio,

    C’è qualcosa per tutti noi qui, ci sono grandi compiti da svolgere e ce ne sono anche di più piccoli,

    e quello che devi svolgere tu è li, vicino a te.

    Se non puoi essere un’autostrada, sii solo un sentiero, se non puoi essere il sole, sii una stella;

    Non è grazie alle dimensioni che vincerai o perderai: sii il meglio di qualunque cosa tu possa essere.

    Oggi spesso sostituiamo al nostro Sé, la sua imitazione: ci esibiamo e ci mostriamo attraverso una narrazione di superficie, uno storytelling che sia accettabile dagli altri, che comunichi il nostro senso (accettabile) di benessere e che ci dia visibilità.

    L’esistenza oggi significa presenza, ma non a se stessi: soprattutto agli altri.

    A volte succede perchè molti di noi faticano a ad avere chiarezza su chi sono e cosa vogliono.

    Nella vita, come sul lavoro.

    Il significato etimologico di performance ‹pëfòomëns› s. ingl. [der. di (to) perform «compiere, eseguire», dal fr. ant. performer «compiere», che è dal lat. tardo performare «dare forma», ci riporta quindi al senso non solo di compiere, ma generare, dare forma, che è ancora prima della creatività.

    Cosa attiva la paura di performare in azienda?

    Lasciare andare una dimensione che non ci appaga e non ci soddisfa, ma della quale conosciamo limiti e vantaggi, è più facile che mettere in atto un cambiamento: decidere di “metterci sempre la faccia” e portare al mondo il nostro valore, condividerlo per migliorare se stessi richiede coraggio!

    Coraggio nel dimensionare le nostre aspettative su noi stessi, nel confrontarsi realmente con gli altri ed essere predisposti ad accogliere critiche e commenti.

    Oggi, nel grande cambiamento, abbiamo un’occasione unica: possiamo attingere da tecniche di consapevolezza, centrarci e immetterci nel flusso che si muove verso una nuovo setting del mondo del lavoro e della vita.

    Senza dimenticare che non siamo soli.

    Questo ci dovrebbe ricordare che, in una visione cosciente e solida del Sé, l’altro ci completa sempre, non ci mina ne ci boicotta. L’altro è sempre messaggero di opportunità di miglioramento.

    L’essere connessi, se prodotto di una scelta consapevole, ci sostiene nel migliorare la performance della nostra vita. 

    Inclusione, relazione, condivisione, crescita collettiva sono gli obiettivi oggi realmente conseguibili.

    E’ tempo dunque di lasciare andare ciò che ci siamo imposti di essere o che gli altri hanno scelto per noi, e stare.

    E’ tempo di valorizzare il diamante grezzo che si cela dentro di noi: stare in silenzio ad ascoltare, stare in ascolto del Sé, stare in pacifica attesa affinché il valore, i talenti, possano trovare lo spazio necessario per manifestarsi.

    E poi agire.

    Dalla disintossicazione digitale al benessere digitale per migliorare la performance aziendale

    E’ quindi necessario, alla luce di quanto sin qui detto, prendersi una pausa. 

     «Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione» così scriveva Platone (più o meno 2400 anni fa).

    Chiunque intenda intraprendere una disintossicazione digitale dovrebbe:

    • avere una motivazione: non importa che sia riprendere finalmente contatto con la natura, avere un po’ più di tempo per sé o per la famiglia e gli amici ecc.
    • accettare un limite di tempo per il proprio rehab: perché sia di qualche utilità, si dovrebbe stare lontani dai social non meno di ventiquattro ore. 

    Una bella sfida potrebbe essere farlo per una settimana. In questo caso potrebbe essere necessario avvertire in anticipo i propri contatti e reinventarsi modi un po’ “vintage” per non restare isolati e far sì che la propria sfera affettivo-relazionale non ne risulti danneggiata.

    • Programmare le proprie giornate analogiche e riempire il tempo normalmente dedicato ai social: si potrebbe fare una lunga passeggiata, approfittarne per visitare quel museo in cui non si è mai stati, per rivedere amici di vecchia data, finire i libri dimenticati sul comodino, scrivere una lettera a qualcuno, ecc. 

    Gli step visti fin qua dovrebbero aiutare a godersi davvero la propria pausa dagli ambienti digitali: all’inizio è normale provare un senso di smarrimento e la voglia di tornare immediatamente al mondo e alle proprie abitudini digitali; bisogna pazientare però perché, passato lo sconvolgimento iniziale, si comincerà a godere della sensazione di essere finalmente disconnessi e di riprendersi il proprio potere, il potere del Sé.

    Anche il ritorno al mondo digitale potrebbe essere straniante, non fosse altro che per le numerose notifiche accumulate, le email arretrate a cui rispondere, le informazioni e le news da recuperare. 

    Fare selezione è altrettanto importante in questa fase e il proprio rehab dovrebbe aver insegnato, del resto, a sentirsi più centrati, nella propria forza, ad aver recuperato consapevolezza rispetto al digitale come strumento e non come fine.

    Riprendersi il proprio potere significa tornare in azienda con quello stato di flow e di pienezza che caratterizza il migliorare le performance e renderle la conseguenza dell’ essere vicini alla nostra unicità, con passione  e vitalità in tutti gli aspetti della nostra vita.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    JOMO in azienda: la gioia di perdersi qualcosa per ottenere il meglio

    Quando la paura di perdersi qualcosa, si sostituisce con la gioia di perdersi (JOMO) per ritrovarsi?

    Ultimamente mi capita spesso di oscillare tra questi due stati emotivi. 

    Sono curiosa e appassionata per natura, da ragazza raccoglievo qualsiasi volantino trovavo per strada o in cassetta postale, accumulandosi sulla scrivania, convinta ci fosse sempre qualcosa di interessante da scoprire o qualche opportunità da cogliere.

    Magari velocemente, ma riuscivo sempre a leggerli tutti ed inevitabilmente tre quarti venivano cestinati.

    Sono cresciuta con l’amore per lo studio e la convinzione di essere sempre allieva di qualcuno.

    Ho sempre vissuto con questo afflato, considerandolo anche una mia qualità.

    Ma oggi come un boomerang, se non sono centrata e attenta, tutto ciò scatena in me un senso di bulimia, a volte quasi compulsiva.

    Non avrei mai pensato che questo oggi potesse anche trasformarsi nel male di vivere.

    L’iperstimolazione schizofrenica in termini di contenuti webinar, e-book da scaricare, informazioni gratuite ecc., a cui siamo soggetti, mette a dura prova la nostra capacità attentiva, la nostra concentrazione, ma anche il senso del valore e del rispetto, in altre parole il nostro benessere psico-fisico-emotivo.

    La paura di non essere abbastanza o la paura di perdersi sempre qualcosa (definita più semplicemente FOMO (fear of missing out) oggi in particolare, sia in azienda, che nella vita privata, ha assunto proporzioni disumane, sia in termini di diffusione endemica, sia in termini di disagio personale. 

    Tanto da essere diventata uno dei più reali nuclei di sofferenza.

    Se sostituissimo alla FOMO un nuovo atteggiamento?

    Nell’era degli acronimi si parla di  J.O.M.O. (Joy of missing out) che è la gioia di perdersi qualcosa ed accettare la realtà. 

    Nelle tradizioni orientali millenarie si è sempre parlato di accogliere ciò che è, di vivere nella presenza per imparare a sentire non solo ciò che siamo, ma essere focalizzati sul senso e sulla direzione del nostro essere qui su questa terra, senza farci distrarre dalle sirene incantatrici. 

    In fondo nulla è cambiato nell’essere umano. Che risponde allo stesso modo alle aspettative esterne, provando a conformarsi per essere accettato.

    Laddove però gli standard sono eccessivi, per non dire impossibili, nonché trasformati da una logica “perversa” di un mercato impazzito, il senso di inadeguatezza raggiunge livelli di insostenibilità. 

    A tal punto da portare allo sviluppo di  un modus vivendi generalizzato caratterizzato da alti livelli di ansia da prestazione.

    Si tratta in questo caso di cose immateriali come contenuti, notizie, aggiornamenti, che abbiamo paura di perdere!

    Il timore principale è quello di rimanere tagliati fuori, di restare indietro.

    Ogni volta che perdiamo qualcosa siamo pervasi da emozioni negative come la sconfitta, la frustrazione, l’amarezza. 

    In cosa consiste la F.O.M.O. e come trasformarla in JOMO?

    E’ una forma di dipendenza ed indica una confusione psicologica dovuta ad una scarsa capacità di concentrazione e di insicurezza personale. 

    Una condizione psicologica creata, per lo più, da una bassa autostima  e da “un’eccessiva paura di essere tagliati fuori”. Lo smart working ha accentuato questa sindrome, proprio perché siamo sommersi da proposte on line, che ci arrivano costantemente, a cui dedichiamo pochissima attenzione, perché stiamo facendo altro. 

    Ma inevitabilmente siamo avviluppati in un vortice che, se non governiamo, ci assorbe e ci prosciuga.

    Oggi puoi imparare tutto, ovunque e in poco tempo.

    A quanti webinar / corsi ti sei iscritto nell’ultimo mese?

    E a quanti hai partecipato?

    Cosa si nasconde dietro questo comportamento? 

    Viviamo come consumatori seriali di contenuti digitali, ci iscriviamo a moltissime iniziative, spinti dalla voglia istintiva di conoscere, bramosi di non perderci nulla, ma di fatto poi non siamo in grado di partecipare, scarichiamo gratuitamente moltissimi e-book e non riusciamo mai a leggerli.

    Facciamo come i pesci rossi: ci voltiamo alla presenza di qualcosa che appare interessante, ma poi cambiamo subito direzione perché distratti da altro, senza portare a termine quanto intrapreso.

    Di fatto oggi i contenuti online soffrono un altissimo tasso di abbandono.

    Il tempo di permanenza delle persone su di essi è uno dei valori che contribuisce a determinare l’engagement ma, secondo un’indagine di Beckon solo il 5% dei messaggi riesce ad avere un tasso di coinvolgimento del 90%. 

    Nell’era della distrazione, la concentrazione delle persone è talmente fragile che abbandonare è diventata un’abitudine.

    Quali paure si nascondono dietro questi comportamenti che ci allontanano dallo stato JOMO?

    Personalmente credo ci siano 3 paure principali:

    • Paura di non essere importanti, di non essere visti: spesso queste paure hanno a che fare con la nostra vita infantile, quando da bambini facevamo di tutto per attirare l’attenzione e l’amore dei nostri genitori.
    • Paura di essere incompetenti, di non essere mai abbastanza: quando ricerchiamo questa sensazione di competenza e ne valutiamo il livello personale, mettiamo automaticamente in dubbio le nostre capacità.
    • Paura di non essere amabili, degni di amore: sorge dalla necessità di sentirsi apprezzati e ben voluti perché si è soliti affidare all’esterno il senso del proprio valore. Se gli altri non mi apprezzano, non valgo.

    Per chiunque è difficile vivere con sentimenti di insicurezza, e la nostra psiche è abilissima nel creare meccanismi di difesa, il cui scopo principale è la protezione e la sopravvivenza.

    Se ci impegniamo a modificare le nostre abitudini in vista degli obiettivi che vogliamo raggiungere, possiamo riuscire a organizzare meglio le nostre attività, a essere più produttivi e a godere di quel senso di soddisfazione che ci fa sentire appagati a fine giornata. 

    Gestire il proprio tempo significa gestire la propria vita.

    La voglia di conoscere deve essere supportata dalla volontà di concentrarsi.

    Nell’ultimo articolo abbiamo sottolineato come imparare sia un bisogno primario a sostegno dello sviluppo umano.

    “E’ l’unica cosa che la mente non riesca mai ad esaurire, mai ad alienare, mai a esserne torturata, mai a temere o a diffidare, mai a sognarsi di essersene pentita.”

    Avere una forte motivazione personale che ci spinge ad un miglioramento di noi stessi è una buona cosa.

    Una persona interessata alla vita, alle proprie passioni, al proprio benessere, è una persona che favorisce la crescita di chi le sta intorno, anche in ambito lavorativo.

    Nell’articolo abbiamo parlato di motivazione e disciplina. 

    La disciplina è la differenza tra tu che vivi una vita che non ti piace, e tu che vivi i tuoi sogni. 

    E’ la differenza tra chi sei e chi sarai. 

    La disciplina è l’alleata necessaria alla motivazione e all’azione.

    Armonizzare questi tre aspetti di ognuno di noi ci aiuta a stare bene, ad essere vitali e presenti.

    La motivazione ci spinge, l’azione ci muove e la disciplina ci dà lo strumento  spazio – tempo per crescere in quell’azione.

    Ognuno di noi suppone di avere chiara la visione di sé. Ma forse non è sempre così.

    La consapevolezza di chi siamo e di dove vogliamo andare ci permette di navigare nel mare magnum della Rete, verso contenuti che hanno valore per noi.

    La tendenza alla velocità, a voler fare tutto per sentirci completi, equilibrati e in pace con noi stessi ci sta portando nella direzione opposta, cioè a non fare nulla, impedendoci di definire delle priorità. 

    Di fronte a stimoli apparentemente uguali (il bisogno di fare una passeggiata, di tenerci informati, di coltivare le relazioni interpersonali) non riusciamo più a scegliere e finiamo esattamente così, come l’asino di Buridano:

    «Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore.»

    Pur di non scegliere, l’asino di Buridano è morto sia di fame che di sete.

    Lo stai facendo anche tu?

    Riprenderci il nostro tempo vuol dire agire con lentezza, fare meno cose, più lentamente, concentrandosi davvero solo su quello che stiamo facendo qui e ora senza il solito timore di perdere qualcos’altro. 

    E, allo stesso modo in cui ricaviamo spazi sufficienti a incastrare mille impegni in un solo giorno, dovremmo trovare anche il tempo per non fare nulla

    Senza aver paura di perdere.

    Perché per vincere il tempo, forse bisogna perderne un po’.

    Come coltivare la JOMO in azienda e nella vita privata per migliorare il nostro benessere

    1 – Accettare la realtà per quello che è. La prima cosa da fare per gioire del perdersi le sterminate opportunità è comprendere che non si può essere in due posti nello stesso tempo. La verità è che esistono troppi posti da vedere, cibi da assaporare, attività da fare.

    Se tentassimo di fare tutto, otterremo solo la frustrazione di non riuscirci.

    Accettare la realtà per ciò che è non ha nulla a che fare con essere passivi, ma tutt’altro significa stare nel flusso delle cose e fare del nostro meglio, senza giudizio e conflitto ma con flessibilità e accoglienza.

    2- Scoprire cosa è davvero importante per noi.

    Dopo aver capito che non si può provare tutto, il passo successivo è quello di decidere cosa si vuole provare davvero. Può essere utile creare una lista di priorità.

    Quali sono le esperienze più importanti per noi?  Se doveste eliminare qualche abitudine a quale rinuncereste per prima? Non importa ciò che pensano o vogliono gli altri. 

    E’ un atto di onestà con se stessi.

    3- Imparare a dire di no, quando non si vuole o non si può accettare un impegno. Per paura di ciò che gli altri pensano, per imbarazzo o scarsa autostima, ci ritroviamo in situazioni che spesso non ci piacciono. Imparare a dare valore alle nostre scelte, ci permette più facilmente di dire di “no” a tutto il resto.

    4- Sviluppare la contemplazione. Implica attenzione. Si raggiunge con un abbandono, che scatta dopo l’osservazione ( esempio davanti ad un’alba o un tramonto); provoca stupore, sorpresa, che genera gusto per la vita.  Ci possiamo stupire e meravigliare anche di piccoli altri dettagli della nostra quotidianità, se solo ci accorgiamo.

    5- Mindfulness. E’ una pratica che prevede un alto livello di concentrazione della mente e che può generare un benessere psicofisico della persona, perché ci allena a portare l’attenzione da fuori a dentro semplicemente.

    Nello stato di JOMO la solitudine diventa piacere, la capacità di gradire il tempo passato da soli, isolandosi volontariamente da tutto, soprattutto dallo smartphone e dal computer, per coltivare una dimensione più intima con se stessi, rigenerarsi e tornare nutriti, intuitivi e grati.

    Sapere cosa ci disturba è il migliore indicatore verso ciò che ci completa.

    Allora l’azione non sarà paura di “non sapere” di “rimanere indietro” di non colmare il vuoto con tutto quello che ci offrono, ma diventerà ricerca consapevole di approfondimento di ciò che è giusto per noi, per la nostra crescita personale, per il nostro miglioramento lavorativo.

    La paura di non essere, diventerà il piacere di riconoscersi in ciò che siamo, nelle cose che ci assomigliano, che ci sfidano, che ci illuminano.

    Quale è, a livello aziendale ,la strada per sostenere questa ricerca?

    I 4 indicatori del BSU (Benessere e Sviluppo Umano) in azienda è uno strumento immediato che ti mettiamo gratuitamente a disposizione per orientarti meglio, o semplicemente per avere più consapevolezza sullo stato di benessere attuale della tua azienda.  

    Se vuoi trasformare il benessere organizzativo e lo sviluppo umano delle tue persone nella risorsa più importante per il successo del tuo business è possibile attivare un confronto condiviso: questo è il primo passo che possiamo fare insieme, a costo zero.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.